Dopo lo tsunami Trump, i commenti ovviamente si sprecano. Nella carta stampata, nel web e nelle radio-televisioni si è scritto e sentito un po' di tutto. Per ora soprattutto commenti a caldo. Con calma dovrà essere fatto un più attento lavoro di analisi per capire in profondità le ragioni di un risultato che nessun autorevole esperto di fatti statunitensi riusciva ad ipotizzare, nonostante i fatti degli ultimi giorni della campagna elettorale.
Sta di fatto che il nostro tempo presenta una tale carica di novità rispetto al passato, che nemmeno i più acuti osservatori riescono a prevederne sino in fondo gli effetti. La globalizzazione è, a mio avviso, un processo irreversibile ma è un processo che richiede un grande impegno della classe dirigente per saperlo governare. E' inutile nascondersi che in questa fase storica, la globalizzazione sta ripercuotendosi in modo negativo sui ceti medio-bassi dei paesi industrializzati. Un disagio che - politicamente - si traduce in consensi per i movimenti populisti e antisistemici, che sanno parlare alla pancia della gente. Non importa poi se nel medio/lungo respiro queste scelte si riveleranno sbagliate; intanto gli effetti sono questi ed il campanello d'allarme è suonato forte e chiaro.
Un campanello d'allarme che ci dice che i populismi non si combattono con le chiacchiere ma con una politica alta, progettuale, di ampi orizzonti, come le sfide del presente richiedono. Una politica che certo non pretenda di negare, o peggio di riportare indietro le lancette della storia, ma che sappia cogliere le opportunità del presente, cercando di ampliare e non di restringere la parte di umanità in grado di trarne un miglioramento delle propie condizioni di vita.
Qualche utile spunto di riflessione è offerto dal testo che propongo ai lettori di Fucinaidee.
Paolo Razzuoli
Intervista di Lorenzo Bianchi
Il filosofo: Donald è anti sistema
«L'ELEZIONE di Trump illustra in modo spettacolare l'ascesa irresistibile del populismo nel
mondo. Ora è sbarcato anche in
America».
Alain de Benoist,
scrittore e filosofo francese, 72
anni, fondatore del movimento
culturale Nouvelle Droite (la
Nuova Destra), vincitore nel
1978 del Gran Prix D'Essai
dell'Académie Française con il
suo volume «Visto da destra», è
dell'idea che il voto «non è importante per il personaggio, ma
per il fenomeno che si è manifestato attraverso Donald
Trump».
D. - Che cosa è affiorato dalle
urne?
R. - «Lo stesso atteggiamento collettivo che ha provocato anche la
Brexit, il voto inglese favorevole
all'uscita dall'Unione Europea.
La classe media statunitense è
stata investita assieme alla classe
operaia dal vento della mondializzazione».
D. - Che ha fatto crescere le distanze fra i diversi ceti so-
ciali.
R. - «Le ha aggravate, allontanando
la borghesia e gli operai dalle élite finanziarie, economiche e dei
mass media. Ora l'ondata del populismo è passata dall'altra parte
dell'oceano Atlantico. Questo
conferisce all'elezione di Trump
una valenza storica».
D. - Qual è stata la caratteristica principale del vincitore?
R. - «Ha rappresentato il movimento
anti-establishment ossia la contestazione delle classi dirigenti. I
suoi elettori hanno bocciato un
sistema del quale la Clinton era
un simbolo».
D. - Quindi contro cosa hanno
votato?
R. - «Contro Washington, contro il
politicamente corretto, contro
George Soros, contro la banca
Goldman Sachs, contro i politici
di carriera che confiscano la democrazia. Un'eruzione di collera
ha portato Donald Trump al potere».
D. - Secondo lei anche negli
Usa ha preso corpo il risentimento della popolazione
contro gli immigrati, che sono stati un architrave della
democrazia americana?
R. - «Sì, ma non è stata la sola componente di questo sommovimento.
Trump è stato votato dalla classe operaia bianca. Però il
suo successo non è dovuto solo a
una questione etnica, ma anche
a un fattore di classe. Io penso
che abbia attratto anche voti di
elettori neri».
D. - Quindi il successo del magnate è un effetto della rivolta contro la globalizzazione.
R. - «L'elettorato si è diviso fra coloro che approfittano della mondializzazione e chi ne subisce i
danni ossia le periferie e le classi
popolari. La linea di separazione
fra destra e sinistra sta sparendo.
La sostituisce una linea di andamento verticale che divide i ceti
alti da quelli bassi».
D. - Ossia l'elite dalla classe
media e operaia.
R. - «Che diventa a sua volta un grande partito».
D. - Cosa ci riserva il futuro?
R. - «Quanto Hillary era prevedibile
altrettanto non lo è Donald
Trump. Sarebbe, credo, un errore determinare la politica che
metterà in essere alla Casa Bianca solo sulla base delle sue dichiarazioni più contundenti pronunciate durante la campagna elettorale».
D. - Si rivelerà diverso?
R. - «Potrebbe. Ma noi dimentichiamo sempre che il suo potere è limitato dalla Corte Suprema e
dal Congresso. Per giunta
Trump non è un ideologo, ma
un pragmatico che sa adattarsi alle circostanze. Con l'elezione di
Hillary ci sarebbe stato un confronto militare con altri Paesi.
Trump è il contrario, però non
possiamo ancora sapere quale sarà la sua politica».
(da La Nazione - 10 novembre 2016)