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Commento introduttivo

Appartengo a coloro che, quanto meno sul piano politico, ritengono che esiste uno stretto collegamento fra la riforma costituzionale e la nuova legge elettorale. Certo, sul piano tecnico sono due cose distinte; il risultato politico atteso, tuttavia, le pone in stretta connessione.
Sono rimasto pertanto perplesso, anzi più sinceramente disorientato, di fronte alla disponibilità di Renzi a modificare la legge elettorale approvata dal Parlamento: quella comunemente chiamata Italicum.
Ne capisco ovviamente le ragioni contingenti, legate alla situazione non proprio facile della campagna elettorale referendaria, ispirate dalla speranza di conquistare al fronte del Sì la parte recalcitrante del Pd.
Al di là del fatto che io penso che quella parte non voterà Sì, spostando sempre più in alto l'asticella con nuovi pretesti, occorre mantenere ben saldi i punti fermi dell'Italicum, pena la vanificazione della speranza di creare i presupposti per cercare di avviare la cura dei mali italiani.
La frammentazione del sistema politico riuscirebbe a vanificare anche i benefici del bicameralismo differenziato e le novità del procedimento legislativo. L'instabilità dei governi impedirebbe quelle politiche ad ampi orizzonti di cui il Paese ha bisogno. La debolezza della politica consentirebbe alle corporazioni di proseguire nelle loro logiche di interdizione e di ricatto. Delresto è proprio questo che anima, anche se non si dice, ampi settori del fronte del No.
Ovviamente gli elementi costituenti il provvedimento hanno una scala di priorità. su alcuni aspetti si possono trovare soluzioni diverse senza snaturarne in modo sostanziale il contenuto: vedi ad esempio i capilista. Su altri, ad esempio il ballottaggio con l'indicazione di una maggioranza sicura, non si può trattare. Se lo si facesse, i No avrebbero già vinto ancor prima del referendum.

Sulla correlazione fra riforma costituzionale e sistema elettorale, il Prof. D'Alimonte ebbe modo di soffermarsi nell'incontro di Lucca del 6 maggio u.s. Temi che Roberto D'Alimonte ripropone con chiarezza nel testo che propongo ai lettori di Fucinaidee.

Paolo Razzuoli

Perché la legge elettorale è importante quanto la riforma costituzionale

di Roberto D'Alimonte

La legge elettorale è meno importante della riforma costituzionale. Questa affermazione fatta da Renzi l’altro ieri a Perugia è sbagliata. È vero esattamente il contrario. Senza una buona legge elettorale la riforma costituzionale da sola non può favorire la cosa che oggi conta di più, e cioè la stabilità dei governi. Per cambiare l’Italia, per far fronte alle sfide della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica occorrono governi capaci di durare. Governi con un orizzonte temporale davanti. E per cercare di arrivare a questo risultato il sistema elettorale è una condizione necessaria anche se non sufficiente.
Certo, non basta la stabilità per assicurare la governabilità. Ma senza stabilità non possono esserci né governabilità né responsabilità. Governi instabili sono governi che non devono render conto agli elettori di quello che fanno o non fanno. Sono governi irresponsabili. E sono i sistemi elettorali che favoriscono o meno la stabilità dei governi.

In tempi difficili per i sostenitori del SI fa comodo separare la riforma costituzionale da quella elettorale. È tattica politica che si regge su un dato di fatto: il referendum riguarda la riforma della costituzione e non l’Italicum. La nuova legge elettorale è già stata approvata in parlamento in via definitiva, anche se solo per la Camera. E può essere cambiata con legge ordinaria. Quindi con una procedura più semplice di quella prevista per le modifiche della costituzione. Da qui la conclusione che il SI al referendum lascia comunque la porta aperta ad eventuali cambiamenti della legge elettorale. Come se le due riforme siano indipendenti l’una dall’altra.
Sulla carta è così. La riforma della costituzione è formalmente compatibile con qualunque sistema elettorale. Il bicameralismo differenziato può coesistere sia con un sistema proporzionale che con l’Italicum. La nuova ripartizione delle competenze tra stato e regioni prescinde dal sistema con cui verranno eletti i deputati. E lo stesso vale per i capitoli della riforma dedicati al potenziamento degli strumenti di democrazia diretta e alla riduzione dei costi della politica.

Tutto questo è vero, ma non coglie l’essenziale. In realtà le due riforme sono strettamente connesse. Tanto connesse che vivranno o cadranno insieme. La semplificazione del processo legislativo legata al superamento del bicameralismo paritario e l’introduzione del voto a data certa sui provvedimenti prioritari del governo servono a poco se i governi continueranno a durare meno di un anno come nella Prima Repubblica o meno di due anni come nella Seconda. È la combinazione di Italicum e riforma costituzionale - quello che con un brutto termine da chierici viene chiamato il “combinato disposto” - a creare le condizioni di un diverso modello di democrazia in cui stabilità e responsabilità del governo si combinano in modo equilibrato con la rappresentatività del parlamento.

Non è un caso che chi critica la riforma costituzionale lo fa non solo per i suoi contenuti ma soprattutto per il suo collegamento con la riforma elettorale.
La tesi sbagliata della deriva autoritaria, che adesso è stata trasformata in deriva oligarchica, trova il suo fondamento proprio nel collegamento tra le due riforme.

Questo lo sa bene anche Renzi. Ma il premier è preoccupato per l’esito del referendum. Le sue ultime dichiarazioni confermano la disponibilità a trattare sulla riforma dell’Italicum per aumentare le possibilità di vittoria del SI. Niente di male. La politica è la scienza del possibile. Ma ci sono dei limiti.
Va bene sostituire i capilista bloccati con un sistema di collegi uninominali proporzionali. Va bene modificare le candidature plurime. Alla fine va anche bene introdurre il premio alla coalizione. Tanto le coalizioni si potranno fare o non fare. Basta solo tener presente però che una modifica del genere aumenterà la frammentazione del sistema dando più spazio ai partitini e alle scissioni dei partiti più grandi. Tutto questo si può fare. Sperando che serva a vincere il referendum, il che non è affatto detto.
Quello che non si deve fare è la cancellazione del ballottaggio o il suo stravolgimento con accorgimenti come quelli indicati da Onida (vedi Sole 24 Ore - 15 settembre 2016).

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Il ballottaggio è il meccanismo più semplice, più trasparente e più democratico per cercare di favorire la creazione di governi stabili in condizioni difficili. Con il ballottaggio sono gli elettori a decidere. Sono loro, e non i partiti, gli arbitri della formazione del governo. Quanto meno all’inizio della legislatura.
Ma il ballottaggio dell’Italicum fa paura. Nel nostro paese la stabilità dei governi fa paura a molti. Questo è il punto. Con le riforme istituzionali degli anni novanta abbiamo risolto il problema della stabilità dei governi comunali e regionali. Sindaci e presidenti di regione non sono più alla mercé dei consigli e dei partiti. Manca ora l’ultimo tassello. Quello più difficile. Dare stabilità al governo nazionale. Se al referendum vinceranno i NO torneremo al proporzionale e a governi di coalizione, con l’aggravante della assenza dei grandi partiti della Prima Repubblica. Torneremo alla instabilità e alla irresponsabilità. Ma se Renzi cederà sul ballottaggio i NO avranno già vinto senza nemmeno il bisogno di andare a votare a dicembre.

(dal Sole 24 Ore - 2 ottobre 2016)

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