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11 Settembre, 15 anni dopo: nessuno può dimenticare quel giorno

di Paolo Razzuoli

Quindici anni fa, l'11 settembre del 2001, New York veniva colpita al cuore, con l'attacco alle Torri Gemelle. Ricordo benissimo quel drammatico giorno. In quelle ore mi trovavo alla mia scrivania nell'Ufficio di una importante istituzione lucchese di cui allora mi occupavo. Ad un certo punto entrò trafelata una collaboratrice che mi informò di quanto stava accadendo. Accesi immediatamente un televisore. I Tg stavano dando le informazioni di cui disponevano sui drammatici avvenimenti. Pur in presenza di un quadro ancora non deltutto chiaro, la sensazione che si ebbe fu che da allora nulla sarebbe stato più come prima...
Un fatto così grave avrebbe sicuramente costituito uno spartiacque nella storia del globo: non potevamo certo conoscerne le conseguenze ma si percepiva che si sarebbe aperta una fase di grande incertezza ed instabilità che ci avrebbe comunque coinvolti. E così è stato. Le tappe di questo drammatico percorso sono a tutti ben note.

A 15 anni da allora, New York si è risollevata e si è rafforzata ma resta ancora oggi una città blindata. Dal mirino non è mai uscita, anzi le minacce da cui si difende sono aumentate: non c'e' piu' infatti solo Al Qaeda. Dall'Isis agli estremisti 'cresciuti' in casa, la citta' ritenuta il simbolo del capitalismo è minacciata da più parti. Ma rispetto al passato, New York non è più sola e non è più la meta per eccellenza come ben sappiamo. Se fino a qualche anno fa era ritenuta, insieme al resto degli Stati Uniti, il nemico numero uno da colpire per i terroristi, ora le fa 'compagnia' l'Europa, meta preferita degli ultimi attacchi. Parigi, Bruxelles e Nizza ne sono un esempio. Jihadisti di vecchia militanza e lupi solitari di varia origine hanno ampliato il raggio d'azione, prendendo di mira il Vecchio Continente e mostrando come il mondo è profondamente cambiato. La primavera araba, la caduta dei dittatori in Nord Africa e nel Golfo Persico ha rivoluzionato gli equilibri, anche per i terroristi.
  Se Al Qaeda era fino a qualche anno fa il simbolo del terrorismo per eccellenza, ora è l'Isis che minaccia il mondo, conquistando un numero crescente di combattenti e ispirando giovani e non a combattere al suo fianco e a colpire nel nome dell'Islam.
  Attacchi e minacce, quelli dell'Isis, che - nei paesi occidentali, - stanno rischiando di mettere in crisi modelli, valori e stili di vita per noi irrinunciabili.

Sconfiggere il terrorismo è per noi obiettivo primario ed occorre mettere in campo tutto ciò che è necessario per questo scopo. Occorre farlo all'interno dei singoli Paesi, migliorando, laddove necessario, l'apparato di polizia per rendere sempre piu' efficace la prevenzione e la repressione degli atti terroristici. Occorre farlo mediante un piu' efficiente sistema di coordinamento fra le varie polizie, come viene delresto ampiamente sostenuto da tempo.
Oltre alla puntuale ed indispensabile azione repressiva, occorre però una ben maggiore capacità di lettura dei fenomeni, rispetto a quella messa in campo negli ultimi decenni.
Con orgoglio, riconosciamo che la civiltà occidentale, grazie alla sua lunga tradizione umanistica, ha raggiunto un livello di democrazia e di rispetto della libertà e della dignità dei cittadini che non ha eguali in altre culture antiche e/o contemporanee. Sappiamo che nella gran parte dei paesi islamici non è così e che coloro che combattono in nome dell'Islam, una vera guerra nello scacchiere Medio Orientale e con il terrorismo in Europa, vogliono abbattere proprio i valori fondanti della nostra civiltà. E' incalzando l'Islam su questi valori che si potrà e si dovrà fondare il dialogo con i settori di quella cultura disponibili ad integrarsi da noi. Tenendo quindi ben ferma la barra del timone sui capisaldi della nostra civiltà e cultura, non cedendo a quel relativismo che tanto piace a settori della sinistra radical shic europea.

Dobbiamo poi essere consapevoli che varie scelte fatte da paesi europei (vedi esempio della Libia) non hanno certo aiutato, così come non hanno aiutato certe letture affrettate di fenomeni politici avvenuti in aree del globo caratterizzate da culture molto diverse dalle nostre che meglio andavano analizzate e capite.
Gli avvenimenti successivi all'11 settembre 2001 dovrebbero averci insegnato che non ci sono modelli sociali e/o politici da esportare, così come dovremmo aver capito che non è più il caso di nascondere, sotto il mantello ipocrita della libertà e della democrazia, interessi di ben altra natura, soprattutto economica.
Dovremmo inoltre aver capito che anche circoscrivendo l'analisi al mero versante economico, interventi azzardati, mirati al perseguimento di un risultato immediato, possono rivelarsi, alla lunga, ben più costosi dei guadagni e, peggio ancora, possono creare dissesti sul versante della tenuta delle istituzioni sociali con conseguenze devastanti.

La capacità di capire in profondità i mutamenti del mondo, di cui la globalizzazione è causa ed effetto nel contempo, è presupposto indispensabile se si vorrà uscire da una "emergenza permanente", in favore di un equilibrio in cui si possa intravvedere un percorso di sviluppo per l'intera umanità.
La storia ci insegna che il mondo non è un Paradiso Terrestre: situazioni di crisi esisteranno sempre ma, se non circoscritte, potrebbero innescare un incendio capace di bruciarci tutti.
Le sfide del nostro tempo sono quindi straordinarie, così come sono straordinarie le opportunità di crescita e, di contro, il pericolo della distruzione totale. Le forze vive delle varie culture e società debbono prendere di questo piena coscienza, e debbono saper produrre una politica all'altezza delle sfide a cui l'umanità è oggi chiamata.
Speriamo che questa sfida possa essere raccolta e vinta....

Lucca, 11 settembre 2016

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