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Le risposte alla tragedia del sisma: Sicurezza e crescita, fare le cose con serietà

–di Guido Gentili

Dopo il dolore e il lutto, per evitare che dolori e lutti si ripetano, le parole andrebbero ridotte al minimo indispensabile. Se fatte seguire dai fatti, quattro sono sufficienti: Casa Italia e New Deal. Darebbero il senso della svolta, di energie che si mobilitano per costruire un futuro migliore, di uomini e donne, giovani e no, che alzano la testa e non si rassegnano alla stagnazione civile e economica. Casa Italia (copyright di Matteo Renzi) spiega come meglio non potrebbe un legame di ferro, un dato oramai identitario.

Gli italiani, che sono notoriamente un popolo di proprietari di case, sono essi stessi le loro case. Nel bene e nel male: il fascicolo di fabbricato che certifica anche le condizioni antisismiche, come ha detto cogliendo un punto di verità l’architetto Aldo Loris Rossi, è stato osteggiato dai proprietari che temono poi di non poter affittare la casa o di non poterla vendere. Sulle case, gli italiani hanno investito una ricchezza straordinaria, tutto si discute ma non la casa, dalla casa (quella dei genitori e dei nonni) si parte e ad una casa (quella dei sogni) si arriva, magari facendo sacrifici immensi.

E Casa Italia non è solo quella dei privati, 120 milioni di vani oggi, appena trentacinque milioni settant’anni fa, per la cui “ricostruzione” in sicurezza servirebbero decine di miliardi . Casa Italia è anche quella pubblica, a partire dagli ospedali e dalle scuole: quasi 26mila edifici costruiti in zone a rischio terremoti, cioè 24mila scuole, il 37% del totale, e 1.822 ospedali su 5.700 sparsi sull’intero territorio. La Protezione civile stima che occorrerebbero almeno 50 miliardi per cominciare a mettere al sicuro il patrimonio nazionale, ma ci sono previsioni che sfiorano il raddoppio se vengono considerate anche tutte le infrastrutture strategiche.

Insomma, ci sarebbe un gran lavoro da fare. Primo, per salvare le vite umane in un Paese che deve convivere col rischio sismico e che su questo terreno ha pagato e paga però un prezzo altissimo anche quando le scosse non sono devastanti ai massimi gradi. Secondo, perché conviene muoversi prima, con la prevenzione (a Norcia, dopo i disastri del 1979 e del 1997, le cose sono andate molto bene sotto ogni profilo) piuttosto che arrivare dopo, visto che nell’ultimo mezzo secolo (dal terremoto del Belice, per il quale paghiamo ancora un tributo fiscale sul prezzo della benzina, a oggi) sono stati spesi circa 150 miliardi per riedificare paesi e città terremotate. Già, ma come fare?

È qui che, dopo Casa Italia, entrano in pista le altre due parole: New Deal, letteralmente, in italiano, “Nuovo Corso”. Ne fu artefice, dopo la spaventosa crisi del ’29, il presidente Usa Franklin Delano Roosevelt, che grazie alle leva degli investimenti pubblici e a nuove istituzioni come la Tennessee Valley Authority (la Cassa del Mezzogiorno, prima di divenire un carrozzone, ricalcò in Italia quell’esperienza) riuscì a ribaltare una condizione che pareva disperata. Con una mole enorme di risorse, certo, ma anche facendo leva sullo spirito di un intero popolo e delle sue classi dirigenti che capirono al volo la necessità di costruirsi un futuro migliore.

Purtroppo la conferma è stata tragica, segnata da centinaia di vite perdute, ma proprio di una sorta di New Deal ci sarebbe necessità anche qui, nell’Italia terza economia d’Europa ma che non riesce a crescere e soffoca tra i suoi storici ritardi, l’invadente e ottusa burocrazia, una tassazione e una giustizia che disincentivano gli investimenti e il fare impresa. Casa Italia potrebbe essere l’occasione di una ripartenza collettiva, di una grande mobilitazione in positivo, se vogliamo di una grande sfida contro la crescita “zerovirgola” e certi vincolismi europei che mostrano la corda e che obbligano di fatto le stesse istituzioni continentali a chiudere un occhio, se non due, nei confronti dei paesi in difficoltà.

Naturalmente, la prima carta da giocare sarebbe quella della serietà. In Italia e altrove. Amatrice, magnifico borgo italiano tra i più conosciuti nel mondo, s’era appena accartocciata su se stessa che subito si sono levate altissime le richieste di maggiore flessibilità di bilancio. Questa in qualche modo arriverà “a maggior ragione” più elastica, ma si devono spiegare a Bruxelles (e agli italiani, ovviamente) i programmi, gli obiettivi, i mezzi per farvi fronte in un arco di tempo pluriennale, il profilo di una politica economica votata alla crescita, le riforme che ancora servono per far uscire il Paese dalla stagnazione. Si devono usare parole chiare, bisogna attrezzarsi ad un confronto duro nel merito, mettere in pista numeri, idee e impegni precisi. Il New Deal tricolore, in fondo, sarebbe questo.

(dal Sole 24 Ore - 28 agosto 2016)

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