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Il sultano islamico tra alleati e fratelli

di Angelo Panebianco

La crescente estraneità culturale fra la Turchia e l’Occidente, conseguenza di quella ri-islamizzazione della società iniziata con la conquista elettorale del potere avvenuta nel 2002, si è ora nettamente accelerata dopo il vittorioso contro-colpo di Stato di Erdogan

Ci saranno solo momentanee convergenze di interessi, da contrattare volta per volta. Conseguenza della crescente estraneità culturale fra la Turchia e l’Occidente, conseguenza di quella ri-islamizzazione della società turca, iniziata con la conquista elettorale del potere da parte del partito islamico nel 2002, favorita e condotta in modo prudente e strisciante per diversi anni, e ora nettamente accelerata a seguito del vittorioso contro-colpo di Stato di Erdogan.

Spetta agli specialisti, ai conoscitori della società turca, rispondere a un quesito: Erdogan riuscirà a schiacciare definitivamente la Turchia europea, la Turchia laica erede di Ataturk? Certamente, egli ha oggi dalla sua la maggioranza del Paese. È grazie alle masse islamiche, oggi maggioritarie, che Erdogan ha conservato il potere contro i militari. Ma che ne sarà di quella cospicua, assai numerosa, minoranza (quasi la metà del Paese) figlia di un secolo di politica laica, che ne sarà della Turchia che non ha fin qui mostrato alcuna voglia di ri-islamizzarsi? Basteranno le brutali epurazioni del regime a piegarla definitivamente?

È questa la chiave per capire come si muoverà sulla scena internazionale la Turchia del futuro. Se Erdogan non riuscisse a consolidare il suo potere a causa della impossibilità di soggiogare completamente la parte non islamica del Paese, allora la sua debolezza interna si riverbererebbe sulla sua azione internazionale: probabilmente favorendo, come è frequente quando i governi autocratici sono deboli, avventurismi e varie esplosioni di aggressività internazionale.

Se invece il sultanato islamico si consoliderà, se la Turchia europea verrà definitivamente spazzata via, allora bisognerà fare i conti con l’apparizione di una nuova potenza che, come ha fatto a lungo l’Iran sciita, userà la religione per alimentare «scontri di civiltà», per porsi come potenza-guida della rivoluzione islamista.

Diventerà in tal caso molto complesso il rapporto fra Turchia e mondo occidentale. Come conciliare, ad esempio, islamismo militante e permanenza nella Nato?
Il realismo imporrebbe di essere molto cauti al riguardo. Per molte ragioni di carattere strategico, ivi compreso il rischio che il neo-sultanato islamico si impadronisca delle armi nucleari presenti nelle basi della Nato sparse sul suo territorio. Al tempo stesso, sarebbe complicato trattenere nella Nato, mettendolo a parte dei segreti dell’organizzazione, un Paese che, a quel punto, non potrebbe più fare mistero della propria vocazione antioccidentale. Se il sultanato islamico si consolidasse, ci sarebbe anche un grosso problema per l’Europa. La Turchia diventerebbe il grande sponsor, protettore politico e finanziatore, di quei Fratelli musulmani che sono ben radicati nell’Islam europeo. Dopo il colpo di stato che ha estromesso la Fratellanza dal potere in Egitto, Erdogan è rimasto il loro principale punto di riferimento.

A differenza degli occidentali, essi non possono che applaudire la sua azione repressiva. È del resto naturale e comprensibile: per l’Islam politico, Ataturk e la sua eredità erano una aberrazione. Da cancellare, da spazzare via con ogni mezzo. Se il sultanato islamico si consolidasse, i rapporti fra i suoi sostenitori e le società europee in cui essi vivono diventerebbero piuttosto complicati.

(dal Corriere della Sera - 10 agosto 2016)

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