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Commento introduttivo

Da pochi giorni si è conclusa la tornata delle elezioni amministrative. I comuni in cui si è votato hanno un sindaco che potrà contare di una maggioranza del 60% in consiglio comunale. Una condizione che gli consentirà di governare senza defatiganti trattative e senza inciuci.
Se il sindaco, la giunta che egli ha il potere di scegliere e la maggioranza politica che lo sostiene saranno in grado di governare, senza spappolarsi anticipatamente, fra un quinquennio i cittadini potranno valutare il lavoro fatto per trarne le conseguenze del caso. Se invece matureranno condizioni politiche che porteranno allo sfaldamento della maggioranza, i cittadini saranno anticipatamente chiamati al voto, come in molti casi accade.

Il meccanismo della legge elettorale dei comuni consente un risultato chiaro, con un vincitore, che potrà assumere gli onori e gli oneri del governo in un rapporto di chiarezza con i cittadini.

Se anziche' con questa legge elettorale si fosse votato con il sistema vigente in Italia sino al 1993, ovvero il sistema proporzionale, le cose sarebbero andate ben diversamente. Infatti, con le percentuali che i candidati hanno preso al primo turno, quasi nessuno avrebbe avuto la maggioranza per poter governare. Si sarebbe aperto, come succedeva sino all'introduzione della nuova legge, il balletto delle trattative per creare in qualche modo una maggioranza che fosse in grado di esprimere sindaco e giunta che allora, giova forse ricordarlo, venivano eletti dal consiglio comunale.
Trattative che erano allora gia' estremamente logoranti, (lo ricordo perfettamente per averne condotta piu' d'una), con un sistema politico sostanzialmehnte statico, figuriamoci cosa sarebbe oggi, con uno scenario politico "liquido".

La Riflessione è di estrema attualità in vista del referendum per la riforma costituzionale del prossimo ottobre, e per poter valutare le posizioni di coloro che chiedono di modificare la nuova legge elettorale, la cosiddetta Italicum.
Questa legge propone un meccanismo simile a quello dei comuni. Per essere ancor piu' precisi, la maggioranza attribuita al vincitore è minore di quella di cui dispongono i sindaci (il 55% a fronte del 60%): un dato che è bene ricordare ai sostenitori della presunta involuzione autoritaria.

Ma sappiamo bene come in Italia la coerenza non è piu' di moda e si dice cio' che di volta in volta conviene.
Ebbene, coloro che accusano le riforme istituzionali (legge elettorale compresa) di prefigurare un disegno autoritario, con un meccanismo simile governano ora Roma, Torino, Savona ed altre città. Ed intendiamoci bene, il discorso non riguarda solo i pentastellati. Riguarda tutti coloro che antepongono gli interessi di bottega della propria parte agli interessi del Paese. La governabilità è sicuramente un interesse fondamentale per il Paese; interesse accentuato ancor piu' dalle sfide della globalizzazione e dalle incognite connesse ai fatti di questi ultimi giorni.

un altro esempio ci viene dalla Spagna, dove vige un sistema elettorale di natura sostanzialmente proporzionale: un sistema che ha ottenuto in passato una certa attenzione anche nel dibattito nostrano. La Spagna e' stata chiamata ad una nuova tornata elettorale, dopo un semestre di infruttuose trattative per la costituzione di un governo e di una maggioranza per sostenerlo. La nuova consultazione, che ha visto prevalere il Partito Popolare Spagnolo di Mariano Rajoy, non ha dato a nessuno la necessaria maggioranza parlamentare, lasciando quindi irrisolti tutti i nodi che hanno nei mesi scorsi bloccato il sistema politico. IL sistema spagnolo funzionava assai bene quando il loro scenario politico era sostanzialmente bipolare; oggi non funziona piu' perche' il quadro si e' frammentato. Cosa succederebbe in Italia se si votasse con il sistema proporzionale?

Paolo Razzuoli

Governabilità difficile senza maggioritario

di Roberto D'Alimonte

Roma oggi ha un sindaco con una maggioranza in consiglio di 29 seggi su 48. Non è il risultato di una estenuante trattativa svoltasi dopo il voto tra i partiti rappresentati nel consiglio comunale. Lo hanno deciso direttamente gli elettori. Adesso Virginia Raggi e il M5s hanno la possibilità di governare per cinque anni. Se ce la faranno, nel 2021 gli elettori giudicheranno i risultati ottenuti, le promesse rispettate o meno, e decideranno se confermare l’amministrazione in carica. Se invece la maggioranza pentastellata si sgretolerà prima e il sindaco sarà costretto a dimettersi, si tornerà a votare. Tutto molto semplice e trasparente.

Cosa sarebbe successo invece se si fosse votato con un sistema proporzionale, anziché quello attualmente in vigore che è una specie di Italicum comunale? Abbiamo simulato la composizione del consiglio comunale di Roma usando i voti ottenuti dalle liste al primo turno e applicando la versione D'Hondt del sistema proporzionale (il sistema che veniva usato per i comuni). Il M5s avrebbe ottenuto 20 seggi su 48 con il suo 35,3% dei voti. Da solo non sarebbe riuscito ad eleggere il sindaco pur essendo di gran lunga la lista più votata. Infatti servono 25 seggi per fare maggioranza. Avrebbe dovuto trovare alleati. Ma sappiamo che il M5s non ne vuole. Lo stare da solo fa parte della sua diversità e la sua diversità è un capitale cui il Movimento non intende rinunciare. Quindi, come si sarebbe eletto il sindaco? Con quale maggioranza?

Visti i numeri, e considerata la indisponibilità alle alleanze del M5s, non occorre essere grandi strateghi politici o abili matematici per arrivare alla risposta. La sola coalizione possibile sarebbe quella che include Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il totale dei seggi farebbe 25, cioè una maggioranza risicata. All’opposizione resterebbero Sinistra italiana e l’unico candidato della lista Noi con Salvini, oltre naturalmente il M5s. Roma sarebbe governabile con un simile assetto? Oppure c’è qualcuno che pensa che si potrebbe fare una giunta di minoranza con un sindaco del M5s, appoggiata dall’esterno dal Pd o da Fratelli d’Italia? Oppure una giunta del Pd che si cerca i voti di qua e di là a seconda delle questioni da risolvere? Solo un ingenuo può pensare che una città nelle condizioni di Roma possa essere governata con un assetto politico così precario. Né vale l’obiezione che cambiando il sistema elettorale cambierebbero offerta politica e percentuali di voto ai partiti. Certamente cambierebbero, ma non tanto da creare un quadro radicalmente diverso.

La politica è fatta anche di numeri. E i numeri dicono che nell’attuale fase della politica italiana senza seri correttivi maggioritari, tipo l’elezione diretta dei sindaci e premi di maggioranza connessi, non si può dare stabilità agli esecutivi né a livello comunale, né a livello regionale, né a livello nazionale. Né si può assicurare la responsabilizzazione di chi governa davanti agli elettori. Oggi un Parlamento eletto con un sistema proporzionale, anche corretto, sarebbe più o meno simile al consiglio comunale di Roma. Le percentuali ai partiti sarebbero certamente diverse ma nella sostanza non cambierebbe nulla. Il risultato sarebbe l’ingovernabilità.

Il punto è che il ritorno a sistemi proporzionali ci riporterebbe indietro alla Prima Repubblica quando tutti i governi a tutti i livelli duravano in media meno di un anno. Ce lo possiamo permettere oggi? È questo che si vuole in nome della rappresentatività? Come se la stabilità degli esecutivi fosse un optional della democrazia e non uno dei suoi ingredienti essenziali. E se invece non è questo che si vuole a livello di comuni, perché a livello nazionale dovrebbe essere diverso? La stabilità dei governi nazionali vale di meno di quella dei governi locali? Perché il diritto degli elettori a scegliere chi li governa dovrebbe valere per i comuni e non per il governo nazionale? Il bello è che molti di coloro che oggi criticano le riforme istituzionali di Renzi sono gli stessi che lo accusano di essere un usurpatore perché non è stato eletto dai cittadini. Per non parlare del M5s che oggi, grazie a sistemi di voto che ha sempre disprezzato, si trova a governare a modo suo Roma e Torino.

(dal Sole 24 Ore)

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