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Dopo la brexit. Napolitano: «Un azzardo sciaguratoOra avanzare verso l’integrazione»

Intervista di Monica Guerzoni

Il presidente emerito sul referendum britannico: «Vedranno gli inglesi sulla loro pelle quali presunti vantaggi e quali reali danni potranno ricavare da questa rottura»

È stato un «azzardo sciagurato», da parte di Cameron, indire il referendum che ha portato al terremoto della Brexit. E adesso, è il monito di un europeista convinto come il presidente emerito Giorgio Napolitano, «chi ha scagliato la pietra non può ritirare il braccio». Saranno gli inglesi a pagare il prezzo più alto, mentre i Paesi che restano nell’Unione non avranno più alibi e dovranno avanzare verso l’integrazione. Sul fronte interno, ieri mattina il senatore a vita ha lanciato un appello alla responsabilità delle forze politiche «perché ripensino i propri atteggiamenti», così da rafforzare le istituzioni e impedire che «si rischi il vuoto». Napolitano si mostra scettico riguardo alla capacità del M5S di «governare seriamente», e da Matteo Renzi si aspetta che lavori per ridurre le contrapposizioni politiche, scegliendo la neutralità rispetto al referendum costituzionale di ottobre.

D. - Si aspettava la vittoria del «leave», presidente?

R. - «Avevo molto confidato nella possibilità che prevalesse la scelta di restare nell’Unione Europea. A Londra ho incontrato di recente esponenti laburisti schierati per la permanenza. E poi, di fronte al terribile crimine dell’uccisione di Jo Cox, mi ero convinto che la grande massa degli elettori laburisti, anche per lo choc dell’uccisione della loro magnifica giovane deputata, avrebbero votato massicciamente per la permanenza».

D. - Il sacrificio della Cox non è servito. Cosa ha prevalso nell’anima degli inglesi?

R. - «Non sono in grado di dire cosa abbia prevalso nell’anima di tanti elettori. Da un lato ritengo che l’immagine e la visione dell’unità europea abbiano subito un colpo molto grave, dall’altro che questo evento drammatico ponga le istituzioni dell’Unione dinanzi non solo alla necessità di decisioni urgenti volte a evitare il peggio delle conseguenze possibili per tutti i 27 altri Paesi membri, ma anche dinanzi a qualcosa di ben altro. In qualche modo cioè credo che questo drammatico passaggio diventi un momento della verità per il progetto europeo».

D. - Sono stati commessi troppi errori da parte dei leader dei Paesi che guidano l’Europa?

R. - «Sono stati fatti tanti errori, sì. Il non trasmettere ad ampi strati sociali e alle giovani generazioni, dovunque, il senso dello straordinario valore dei risultati conseguiti come integrazione. E l’errore di lasciare la costruzione europea non solo largamente incompiuta, ma anche gravemente squilibrata. Ad esempio: integrazione monetaria e non autorità di governo comune delle politiche di bilancio ed economiche, forti disomogeneità tra Stato e Stato e, in generale, scarsa attenzione alle crescenti diseguaglianze sociali».

D. - L’esito del referendum ha costretto Cameron alle dimissioni. Dove ha sbagliato il primo ministro?

R. - «Il referendum è stato un azzardo sciagurato. All’Inghilterra non era stato imposto nulla, essa era rimasta fuori per propria scelta da molte decisioni comuni. Istanze di rinnovamento delle istituzioni e delle politiche europee potevano esser fatte valere pienamente all’interno dell’Unione, senza lanciare la sfida della possibile fuoriuscita».

D. - Un’altra vittoria dei populismi, che lei tanto ha combattuto?

R. - «Siamo in una fase storica, non solo in Europa, in cui possono ingannare le più contraddittorie proteste e promesse. Vedranno gli inglesi sulla loro pelle quali presunti vantaggi e quali reali danni potranno ricavare da questa rottura. Ma adesso nessuno nell’Unione Europea potrà dire che non si può andare avanti più decisamente sulla linea dell’integrazione perché gli inglesi ce lo impediscono».

D. - Quindi non bisogna frenare, ma spingere sull’acceleratore?

R. - «Bisogna chiedersi chi vuole e chi non vuole, tra i 27, questo avanzamento a viso aperto dei princìpi dell’interesse comune europeo, della sovranità condivisa a livello sovranazionale, dell’impegno a portare avanti fondamentali politiche comuni. Nello stesso tempo bisogna prepararsi ad avere un’area di collaborazione con i Paesi che intendono restare nell’Unione, senza partecipare ai processi di sempre più stretta unione anche politica».

D. - La scelta della Gran Bretagna è in qualche modo reversibile?

R. - «Al momento no, chi ha scagliato la pietra non può ritirare il braccio. Secondo il trattato dovrà aprirsi un negoziato che giuridicamente sancisca l’uscita e ormai può trattarsi solo di un negoziato per adeguare al dopo referendum il sistema di relazioni con l’Inghilterra. Non più, come avremmo voluto, all’interno dell’Unione, ma con chi ne è rimasto irreversibilmente fuori».

D. - L’economia italiana reggerà l’urto, o c’è il rischio di disperdere i primi, timidi risultati della crescita?

R. - «Ci sono valutazioni accurate secondo le quali l’Italia potrebbe subire conseguenze negative per la sua economia meno di altri Paesi, più intrecciati con l’economia inglese, come la Germania e la Francia. Comunque penso che i governi dei tre maggiori Paesi fondatori e le istituzioni dell’Unione, a cominciare dalla Bce, fortunatamente guidata da un grande presidente come Mario Draghi, stiano lavorando a tutte le misure immediate volte a evitare effetti a catena».

D. - Il premier italiano ha puntato tutto sul referendum costituzionale di ottobre. Alla luce del terremoto di Brexit, oltre che della sconfitta nelle città, Renzi dovrà rivedere la strategia sul fronte della politica interna?

R. - «Questo è un tema su cui riflettere senza forzature. Io credo che ci si possa aspettare dal presidente del Consiglio molta attenzione all’esigenza di ridurre la polarizzazione e contrapposizione politiche, che si sono venute acutizzando. Ciò dovrebbe valere a evitare rischi di destabilizzazione politica che si aggiungano ai rischi economici e finanziari scaturiti dalla Brexit. Innanzitutto occorrerà restituire al confronto sulla riforma costituzionale la sua oggettività e, dal punto di vista degli sviluppi politici futuri, la sua neutralità».

D. - Il M5S è passato dall’euroscetticismo più spinto alla scelta di restare in Europa per cambiarla dall’interno. Beppe Grillo e compagni sono pronti per governare?

R. - «L’affermazione è interessante. Ma non basta qualche frase per accreditarsi coerenti politicamente e capaci di governare seriamente».

(dal Corriere della Sera - 24 giugno 2016)

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