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Memoria corta dei politici privi di coerenza e competenza

di Antonio Rossetti



Se dovessero andarsene coloro che hanno fallito l'obiettivo delle riforme il Parlamento sarebbe un deserto o quasi.

Il salvataggio di questi signori sta nella memoria corta e nella speranza che anche i cittadini siano disattenti.

Si parla oggi di riforma della seconda parte della costituzione e del titolo V, e sono in molti a dire che non si deve toccare nulla.

Alcuni non si ricordano di avere, in precedenza, già proposto modifiche rilevanti, ma non essendo riusciti a ricevere il consenso dei cittadini elettori a suo tempo, oggi, si chiudono a difesa di ciò che non sono riusciti a cambiare.

In sostanza non sono riuscito io perché devono riuscire altri?

Nella discussione si sta passando dai contenuti, che devono essere presentati chiaramente a tutti per dare agli elettori la possibilità di valutare nel merito ciò che viene proposto, ad argomenti che mi pare si possano definire “modesti”.

Dire “se perdo me ne vado” non aiuta a comprendere il contenuto della proposta e, nella migliore delle ipotesi, la risposta potrebbe essere “ questa è una tua scelta”, o anche qualcosa di peggio, se poi l'elenco si allunga c'è il rischio di spostare la discussione su chi va e chi resta, non sulla bontà o meno dei contenuti della riforma.

Nel 2006 le proposte del Governo a Guida Silvio Berlusconi furono bocciate dagli elettori, e lui si trova ancora li insieme a tutti quelli che fingono di non ricordare o non ricordano davvero. (all.1)

Neppure a sinistra si ricordano della proposta contenuta nel programma del Governo di Romano Prodi (all.2), almeno questo pare di cogliere nelle posizioni di coloro che nel Pd cercano ogni occasione per regolare i conti interni al partito di appartenenza .

In sostanza se le riforme proposte sono importanti e utili per i cittadini si deve fare lo sforzo di spiegare il contenuto, non serve la minaccia del vinco o vado via, il risultato dipenderà dalla bontà della proposta (all. 3) e dall'impegno e capacità di farla comprendere.

Dalla lettura dei risultati del voto referendario, quando sarà il momento, ognuno farà le proprie valutazioni, come sempre accade.





Allegato 1)

Provvedimenti previsti nel progetto di revisione costituzionale (del 2006 in Italia)

Devoluzione alle regioni della potestà legislativa esclusiva in alcune materie come organizzazione scolastica, polizia amministrativa regionale e locale, assistenza e organizzazione sanitaria (le norme generali sulla tutela della salute tornano di competenza esclusiva dello Stato); secondo i sostenitori del SÌ al referendum, questo avrebbe portato a maggiore responsabilizzazione delle autonomie regionali, allocando contemporaneamente poteri decisori e poteri di spesa alle Regioni, riducendo le spese sanitarie che altrimenti avrebbero toccato punte elevate, comportando un aumento dell'addizionale Irpef in diverse Regioni; secondo i sostenitori del NO, la devoluzione avrebbe comportato un aumento del fabbisogno economico superiore ai possibili trasferimenti di risorse dallo Stato e, quindi, l'introduzione di nuove imposte nelle regioni meno "virtuose";

Alcuni ambiti (come la sicurezza del lavoro, le norme generali sulla tutela della salute, le grandi reti strategiche di trasporto, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento delle professioni intellettuali, l'ordinamento sportivo nazionale e la produzione strategica dell'energia) che, a seguito della riforma del 2001 erano regolati con leggi di principio statali e leggi di dettaglio regionali, sarebbero tornati di esclusiva competenza della legislazione statale. Secondo i sostenitori del SÌ, ciò avrebbe corretto talune storture della riforma del titolo V approvata dal centrosinistra nel 2001 che per alcune materie aveva già prodotto molti ricorsi alla corte costituzionale e per molte altre ne avrebbe causato a venire: a titolo di esempio, se l'ordinamento sportivo fosse rimasto competenza regionale, si sarebbe rischiata, per il futuro, l'illegittimità costituzionale dei campionati nazionali di calcio; secondo i sostenitori del NO, la Corte costituzionale aveva già interpretato il testo del titolo V in modo conforme alle esigenze prospettate da questa parte della revisione, rendendola non necessaria;

Fine del bicameralismo perfetto, con suddivisione del potere legislativo tra Camera dei deputati e Senato Federale. La Camera avrebbe discusso, in linea di principio, leggi di ambito nazionale (bilancio, energia, opere pubbliche, valori fondamentali, trattati internazionali, ecc.) e il Senato leggi che interessano materie a competenza regionale esclusiva o concorrente con lo Stato; secondo i sostenitori del SI, ciò avrebbe comportato maggiore velocità e incisività nell'approvazione delle leggi, poiché, senza la riforma una legge deve essere approvata da quasi 1000 parlamentari e con il medesimo testo sia da Camera che Senato, facendo, a volte, rallentare l'iter legislativo; secondo i sostenitori del NO, la ripartizione di competenze non è chiara e avrebbe provocato numerosi conflitti di competenza dinanzi alla Corte costituzionale tra Camera e Senato. Taluni sostenitori del SÌ hanno ribattuto che la parte della riforma relativa all'iter legislativo si sarebbe applicata solo a partire dalla prima legislatura successiva all'entrata in vigore della legge costituzionale (quindi, salvo elezioni anticipate, nel 2011) e nel frattempo eventuali lacune sarebbero potute essere risolte dal Parlamento. Per i critici, inoltre, l'approvazione delle leggi da parte di una sola Camera avrebbe portato ad una minore ponderazione nell'elaborazione dei testi legislativi;

Riduzione del numero di deputati (da 630 a 518) e senatori (da 315 a 252), con decorrenza tra due legislature. I senatori sarebbero stati eletti contestualmente all'elezione dei consigli regionali; i senatori a vita sarebbero diventati "deputati a vita"; sarebbe diminuita l'età minima per essere eletti alla Camera (da 25 a 21 anni) e al Senato (da 40 a 25 anni). La riduzione sarebbe stata in vigore dalla XVI Legislatura e quindi non necessariamente nel 2016 come spesso riportato, ma certamente non sarebbe stata immediata;

Aumento dei poteri del Primo Ministro, con il cosiddetto "Premierato"; questi avrebbe potuto revocare i ministri, dirigere la politica degli stessi non più coordinando l'attività dei ministri ma determinandola; avrebbe potuto sciogliere direttamente la Camera (potere solitamente affidato al Presidente della Repubblica, non esercitabile però incondizionatamente, poiché egli può indire elezioni anticipate - secondo la migliore prassi - solamente ove riscontri l'impossibilità di una qualsiasi maggioranza); secondo i sostenitori del NO, ciò avrebbe aumentato eccessivamente i poteri del Primo Ministro, consentendogli di controllare la Camera, mentre storicamente è stato accettato il concetto secondo il quale dovrebbe essere lui a rendere conto al Parlamento. Inoltre la facoltà di revoca dei ministri, sempre secondo i sostenitori del NO, sarebbe stata puramente teorica in un sistema bipolare multipartitico, in cui l'estromissione di un ministro avrebbe come effetto la fine del sostegno del suo partito alla maggioranza; secondo i sostenitori del SÌ, la riforma avrebbe reso più incisiva l'azione di governo, dotando di effettivi poteri il premier;

Clausola contro i cambi parlamentari di maggioranza e obbligo di nuove consultazioni popolari in caso di caduta del governo, salvo la sfiducia costruttiva con indicazione di un nuovo Premier e senza cambi di maggioranza; la Camera avrebbe potuto quindi sfiduciare il Primo Ministro, ma, a meno che la stessa maggioranza espressa dalle elezioni ne indichi un altro nel termine di venti giorni, la Camera sarebbe stata automaticamente sciolta con la necessità di andare a nuove elezioni. La Camera sarebbe stata sciolta anche se la mozione di sfiducia fosse stata respinta con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni (norma cosiddetta Antiribaltone). Secondo i sostenitori del SI, ciò avrebbe reso più stabile il governo ed impedito che il Primo Ministro salvi una maggioranza instabile includendovi nuovi partiti e modificando le preferenze espresse dagli elettori; secondo i sostenitori del NO, ciò avrebbe reso molto più difficile, se non impossibile, la sfiducia al Primo Ministro;

Clausola di Interesse nazionale, espunta dalla riforma del 2001. Nel caso il governo avesse ravvisato in una legge regionale elementi in contrasto con l'interesse nazionale, entro quindici giorni dalla promulgazione avrebbe invitato la regione ad eliminare le disposizioni pregiudizievoli. Qualora entro i successivi quindici giorni il Consiglio regionale non rimuovesse la causa del pregiudizio, il Governo, entro ulteriori quindici giorni, avrebbe sottoposto la questione al Parlamento in seduta comune che, entro il termine di quindici giorni, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti, avrebbe potuto annullare la legge o sue disposizioni. Secondo i sostenitori del NO, questa clausola era stata già recuperata in via interpretativa dalla Corte Costituzionale; secondo i sostenitori del SÌ l'esplicita previsione dell'interesse nazionale e soprattutto la previsione di un apposito meccanismo, a tutt'oggi mancante, avrebbe favorito il migliore perseguimento dello stesso;

Clausola di supremazia: lo Stato avrebbe potuto sostituirsi alle Regioni in caso di mancata emanazione di norme essenziali; secondo i sostenitori del NO, questo potere è ricompreso in quello attuale di sostituzione del governo nazionale alle regioni a tutela dell'unità giuridica ed economica della Repubblica e dei diritti fondamentali;

Il Presidente della Repubblica sarebbe divenuto "garante dell'unità federale della Repubblica". Avrebbe nominato i presidenti delle autorità indipendenti, sentiti i presidenti delle Camere e fino ad un massimo di 3 deputati a vita. Avrebbe nominato Primo Ministro chi risultasse candidato a tale carica dalla maggioranza uscita dalle elezioni, senza più la libertà di scelta contemplata dall'art. 92 della Costituzione; avrebbe potuto sciogliere la Camera dei deputati solo su richiesta del Primo Ministro, in caso di morte, impedimento permanente o dimissioni dello stesso, se la Camera dei deputati avesse approvato una mozione di sfiducia al Primo Ministro senza che la maggioranza risultante dalle elezioni ne avesse espresso uno nuovo oppure se il voto di sfiducia fosse stato respinto con il voto determinante di deputati non appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni. L'età minima per essere eletto alla carica di Presidente sarebbe scesa da 50 a 40 anni;

La Corte Costituzionale avrebbe visto aumentare i giudici di nomina parlamentare da 5 a 7, mentre sarebbero diminuiti i giudici nominati dal Capo dello Stato ed eletti dalla Cassazione, dal Consiglio di Stato e dalla Corte dei Conti. Secondo i sostenitori del NO, ciò avrebbe ridotto di molto l'indipendenza della Corte. Secondo i sostenitori del SÌ la previsione di 4 giudici nominati dal Senato federale espressione delle Regioni avrebbe equilibrato i poteri in seno alla Corte;

Autonomia di Roma: Roma è la capitale della Repubblica e dispone di forme e condizioni particolari di autonomia, anche normativa, nelle materie di competenza regionale, nei limiti e con le modalità stabiliti dallo statuto della Regione Lazio (art. 114 terzo comma). Roma quindi avrebbe avuto forme di autonomia anche normative, nei limiti stabiliti dalla Regione Lazio.

Riforma costituzionale

RISULTATI PER CIRCOSCRIZIONE

NO

Italia + Estero

38,7%

61,3%

Italia

38,3%

61,7%

Italia settentrionale

47,4%

52,6%

Piemonte

43,4%

56,6%

Valle d'Aosta

35,7%

64,3%

Lombardia

54,6%

45,4%

Trentino-Alto Adige

35,3%

64,7%

Provincia autonoma di Bolzano

23,6%

76,4%

Provincia autonoma di Trento

42,6%

57,4%

Veneto

55,3%

44,7%

Friuli-Venezia Giulia

49,2%

50,8%

Liguria

37,0%

63,0%

Emilia-Romagna

33,5%

66,5%

Italia centrale

32,3%

67,7%

Toscana

29,0%

71,0%

Umbria

31,3%

68,7%

Marche

33,9%

66,1%

Lazio

34,5%

65,5%

Italia meridionale

25,2%

74,8%

Abruzzo

33,3%

66,7%

Molise

28,3%

71,7%

Campania

24,6%

75,4%

Puglia

26,6%

73,4%

Basilicata

23,1%

76,9%

Calabria

17,5%

82,5%

Italia insulare

29,4%

70,6%

Sicilia

30,1%

69,9%

Sardegna

27,7%

72,3%

Estero

52,1%

47,9%

Europa

45,3%

54,7%

America meridionale

62,9%

37,1%

America settentrionale e centrale

52,8%

47,2%

Asia Africa Oceania Antartide

53,4%

46,6%

Approvazione delle Modifiche alla Parte II della Costituzione.

Il testo del quesito referendario recita:

« Approvate il testo della Legge Costituzionale concernente 'Modifiche alla Parte II della Costituzione' approvato dal Parlamento e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005? »

Affluenza alle urne


estero

Italia

totale

percentuale (%)

Iscritti alle liste

2.651.730[2]

47.120.776[3]

49.772.506[4]

Votanti

739.133[2]

25.371.792[3]

26.110.925[4]

52,46[4] (su n. iscritti)

Voti validi

611.005[2]

25.092.777[3]

25.753.641[4]

98,63 (su n. votanti)

Voti nulli o schede bianche

78.128[2]

279.015[3]

357.143[4]

1,36 (su n. votanti)

Astenuti

15.803[2]

85.626[3]

101.429[4]

0,20 (su n. iscritti)

Risultati



Voti

%

RISPOSTA AFFERMATIVA

9.970.513[4]

38,71%[4]

RISPOSTA NEGATIVA

NO

15.783.269[4]

61,29%[4]

bianche/nulle


357.143[4]


Totale voti validi


25.753.782[4]

100%

Note

1. ^ Referendum confermativo sulla riforma costituzionale 25-26 giugno 2006, in la Repubblica. (archiviato dall'url originale il 16 novembre 2013).



Allegato 2)


Dal programma di Governo ( 2006-2011) del Presidente Romano Prodi

Un nuovo senato per Regioni e Autonomie”

La riforma del Titolo V realizzata nel 2001 dal governo di Centrosinistra ha ristrutturato profondamente lo stato in senso autonomistico e pluralistico : La riforma federale, però, non si è compiuta: il centrodestra non le fatto infatti seguire la predisposizione degli strumenti necessari.

Bisogna coinvolgere le autonomie territoriali nella definizione dell'indirizzo politico nazionale.


Per fare questo è necessario completare la riforma superando l'attuale bicameralismo paritario, ovvero istituendo un senato che sia camera di effettiva rappresentanza delle Regioni e delle autonomie.

……………………...

Crediamo che i senatori debbano essere effettivi rappresentanti degli interessi del proprio territorio. Il Numero sarà risotto a 150. ”


All.3)

Il testo completo della Riforma del titolo V, anno 2016, (172 pagine) si trova a

www. senato.it

( il testo contiene sia la carta costituzionale esistente, le proposte del governo, le modifiche proposte in commissione affari costituzionali, il testo approvato dal senato in prima lettura) .



Di seguito una sintesi con commento allo scopo di evidenziare il lavoro della Camera dei Deputati e Senato della Repubblica, sia in commissione che in aula.

Rai News del 16 aprile 2016

La scheda Nuovo Senato, federalismo e addio alle province: la riforma della Costituzione in sei punti


La riforma costituzionale è stata già approvata dal Senato, ad agosto 2014, e dalla Camera, lo scorso marzo.

Ieri l'ultimo passaggio prima della consultazione referendaria .

Riforme, il Senato approva il ddl Boschi Riforma costituzionale: la Camera approva il Ddl Boschi. Renzi: "Paese più semplice e più giusto" Riforma del Senato, Boschi: "Nessuna caccia al senatore. Su art 2 discutiamo ma no immobilismo" Senato, riprese le votazioni sull'articolo 10: le opposizioni fanno "resistenza passiva" 13 aprile 2016 La riforma, o ddl Boschi (dal nome del ministro che l’ha voluta), è stata pensata con un disegno preciso: superare il bicameralismo perfetto e rendere più forte l’esecutivo. In pratica: le Camere rimangono comunque due, ma con funzioni diverse. Montecitorio è l’unica titolata a dare la fiducia al governo e a votare le leggi, mentre Palazzo Madama farà da raccordo tra lo Stato, gli enti territoriali e l’Unione europea.


Composizione: meno senatori, eletti dai Consigli Regionali, indicati dai cittadini .

Sono due le principali novità della composizione della Camera riformata. Nessuna indennità, meno poltrone, da 315 a 100: 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 nominati dal Presidente della Repubblica.


I senatori resteranno in carica per tutta la durata delle istituzioni territoriali dove sono stati eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge". Così l'emendamento a firma Finocchiaro, approvato in questo secondo passaggio al Senato. Come conciliare il principio che lega la carica di senatore al voto dei cittadini se l'elezione dei senatori è formalmente affidata al Consiglio Regionale?

Problema rinviato ad una legge elettorale ad hoc che dovrà essere approvata in seguito. Competenze: ruolo consultivo, non legislativo “Resistenza passiva”, così le opposizioni avevano reagito alla chiusura annunciata dal governo pochi giorni fa su eventuali modifiche da apportare all’articolo 10.

Quello, che insieme all’articolo 1, ridisegna la mappa delle funzioni del Senato. In linea generale Palazzo Madama perde il potere legislativo, per acquisirne uno “consultivo”, cioè di controllo e di verifica dell’attuazione delle norme, delle politiche pubbliche, dell’attività delle pubbliche amministrazioni e delle nomine spettanti al Governo. Sono previste però le eccezioni. Il bicameralismo perfetto verrà ripristinato solo in questi casi: leggi costituzionali, tutela delle minoranze linguistiche, referendum popolari, normativa di Comuni e città metropolitane ed europea. Inoltre il Senato eleggerà due dei quindici giudici della Corte Costituzionale oltre a partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica.

Colle: modifica dell’articolo 83 Quello della Costituzione attuale, in base al quale il Capo del Stato, dopo il terzo scrutinio, è eletto con la maggioranza assoluta. Nel nuovo assetto, scompaiono i delegati regionali (sostituiti dai senatori) e cambia il quorum: dalla settima votazione basteranno i tre quinti dei votanti per scegliere il nuovo inquilino del Colle. Questa l’impostazione attuale, adottata da Montecitorio a marzo e confermata ora dall’altra Camera, ma non la versione desiderata inizialmente dalla coppia Renzi- Boschi. Il governo avrebbe preferito la maggioranza assoluta dopo l’ottavo scrutinio. Federalismo differenziato: premiate le Regioni “virtuose” Il Titolo V della Costituzione, già oggetto di riforma nel 2001, regolamenta i rapporti tra Stato e autonomie locali.


Il ddl Boschi elimina le materie di competenza concorrente tra Stato e Regioni, disciplinate dall’articolo 117 della Costituzione, e attribuisce al primo la legislazione esclusiva in alcuni ambiti come politica estera, immigrazione, difesa, ordine pubblico, infrastrutture, tutela dell’ambiente e dell’istruzione. L’Aula ha accolto anche l’emendamento “Devolution” di Francesco Russo (Pd) con il quale viene incentivato il cosiddetto “federalismo differenziato”, che distingue tra Regioni virtuose e non.

Solo alle prime lo Stato potrà decidere di “devolvere” ulteriori poteri, comprese le “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e il commercio con l’estero”. Sempre in nome del "principio virtuoso", l'articolo 33 stabilisce costi standard per tutte le Regioni. Cnel e Province: eliminazione degi "enti inutili" Uno dei simboli della “rottamazione costituzionale” dell’ex sindaco di Firenze è l’abolizione del Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro: non solo l’organo di consulenze delle Camere e del Governo, ma soprattutto – nell’immaginario comune- una delle zavorre a carico delle casse dello Stato.


L’articolo 99 della Costituzione verrebbe quindi spazzato via dall’articolo 27 della riforma. Entro trenta giorni dall’approvazione della legge, un commissario straordinario avrà il compito di liquidare e ricollocare il personale.


Oltre al Cnel, anche le Province cadranno sotto la scure della riforma del Titolo V: intanto la legge Delrio, entrata in vigore nell'aprile 2014, le ha trasformate in "enti territoriali di area vasta".


Referendum: entra quello “propositivo” Per presentare un quesito referendario serviranno sempre 500mila firme, tuttavia il quorum può essere ridimensionato se i comitati ne raccoglieranno 300mila in più: dal 50% più uno degli aventi diritto al 50% più uno dei votanti all’ultima tornata elettorale. Accanto a questa, la riforma parla anche di altre due novità: l’introduzione di referendum propositivi (oltre a quelli abrogativi) e 150mile firme necessarie per presentare una legge di iniziativa popolare. Il triplo rispetto alla soglia attuale.


Lucca, 30 maggio 2016


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