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La coerenza che serve all’Europa del «liberi tutti»

di Alberto Quadrio Curzio

La Commissione europea ha espresso le raccomandazioni sui Paesi della Ue con un uso intelligente della combinazione tra politica ed economia.Tutte le migliori stagioni della costruzione europea sono nate da questo dosaggio interpretato da personalità consapevoli. A questa combinazione bisogna appellarsi adesso dati i rischi che incombono sull’Europa a causa di Brexit e Grexit, di immigrazione, di crisi politiche ed umanitarie (a est, a sud-est, a sud), di movimenti populisti ed antieuropeisti. È presente anche il rischio che, senza una nuova cornice strategica condivisa, si possa accentuare la sensazione del “liberi tutti” - che sta emergendo anche nelle riunioni del G-7 in Giappone - rispetto alle politiche di coesione e di crescita.

La nuova intonazione della governance europea sembra trovare adesso dei punti di riferimento soprattutto in quattro persone: Juncker e Merkel, Renzi e Padoan. Il fatto che l’Italia abbia ottenuto la flessibilità di bilancio è servito anche ad altri Paesi che da soli forse non ce l’avrebbero fatta. Perché l’Italia ha in questo momento un ruolo politico significativo per un governo che regge, che conta nell’area mediterranea, che critica analiticamente i modelli contabili della Commissione. Il che pesa nel realismo e nella consapevolezza anche della cancelliera Merkel.

L’Italia: fatti, opportunità, rischi.

Il Governo ha ottenuto per il 2016 una flessibilità di deficit sul Pil dello 0,85% che lo porta al 2,4%, con una previsione governativa di debito sul Pil al 132,4% e di crescita dell’1,2%, mentre la Commissione è un po’ meno ottimista. Due ragioni hanno portato a questo risultato. La prima è che la Commissione riconosce le riforme strutturali già fatte in Italia ed altre in corso. Ma anche la gravità della recessione (e quindi la necessità di fare investimenti) ed i costi dei movimenti migratori e della sicurezza. Sono le clausole che consentono temporanee deviazioni dal percorso di convergenza al pareggio di bilancio strutturale previsto dal fiscal compact.

Meritano di essere letti (sono sul sito del Mef) i documenti e le lettere di Dombrovskis e Moscovici (i due commissari agli affari economici e monetari) da un lato e di Padoan dall’altro, che dimostrano la serietà della dialettica.

La seconda ragione sono gli impegni del Governo con la Commissione per il 2017 ed oltre.Tra questi il principale è la riduzione del rapporto tra debito pubblico e Pil da alimentare anche con privatizzazioni e riduzioni della spesa pubblica (magari rileggendo anche Cottarelli). Padoan ne è ben consapevole, pur non rinunciando a segnalare, in un eccellente documento del Mef (ben commentato su queste colonne da Marco Fortis) che la dinamica di questo rapporto è sotto controllo su un sentiero di calo dal 2015. Ci crediamo ma non va persa l’occasione di tassi sul debito ai minimi per tagliare sprechi pubblici e per riallocare le risorse. Tra gli sprechi ricordiamo quelli delle aziende pubbliche locali con poche che vanno bene (esempio: Atm Milano), altre pressoché fallite, altre infine che non hanno mai funzionato. Tra le riallocazioni vanno spinti gli investimenti sia con riduzione delle tasse sulle imprese e sui fattori sia con più risorse in formazione, istruzione, ricerca. L’Italia forma bravi laureati ma pochi nelle materie più orientate alla produzione. Molti vanno poi all’estero perché il contesto produttivo che li può utilizzare è limitato ad una parte settoriale e territoriale del Paese.

L’Europa: coerenza, realismo e difficoltà.

Dopo le raccomandazioni della Commissione agli Stati, alcuni europeisti hanno espresso perplessità segnalando che il rispetto dei Patti alla virgola evita che la discrezionalità sulle regole porti all’arbitrio. Non concordiamo perché la Commissione non ha fatto una sanatoria in quanto le sue raccomandazioni ai Paesi membri sono di notevole qualità economico-politica pur nel realismo privo di quella vena sanzionatoria che spesso ha reso sgradevoli i suoi interventi. Adesso si parla di rispetto di Patto di stabilità senza «frenare la ripresa e spezzare la fiducia». Importante è rilevare la sottolineatura del 3% nel rapporto deficit su Pil che nel 2011 era violato da 24 Stati ed oggi da 6. Non è un miglioramento da poco ed è un segnale che c’è anche un po’ di crescita. Tuttavia due grandi Paesi come la Francia e la Spagna sono sotto procedura, anche se attenuata da posponimento delle sanzioni, per disavanzi eccessivi, ben oltre il 3%.

Si è detto che la cancelliera Merkel è stata «condiscendente» dando un appoggio alla Commissione. Può essere ma non crediamo che potrà spingersi troppo avanti, anche se l’intelligenza e il coraggio per farlo non le mancano, per quanto segue.
Perché la Commissione con riferimento alla Germania ha rilevato in modo netto lo squilibrio macroeconomico dovuto a surplus eccessivi di parte corrente e di risparmio che dovrebbero andare agli investimenti, la cui carenza limita tutta la crescita della Eurozona. I tedeschi ritengono invece che la crescita verrà dal rigore dei bilanci degli Stati membri e non da una eurodiffusione della loro forza di investimenti e innovazione. Di questo dogma tedesco è portatore anche il presidente della Banca centrale Weidmann, che in aggiunta conferma sempre la sua netta opposizione a qualsiasi condivisione dei rischi nell’eurozona finché non ci sarà una cessione di sovranità sulla politica fiscale. Ed anche la sua convinzione che in molti Stati non è né utile né possibile fare politiche espansive finché i bilanci non sono sanati e le riforme completate. Il superministro europeo delle finanze che Weidmann auspica dovrebbe fare politiche fiscali molto rigide e solo dopo pensare alla crescita. Si respinge così la convinzione ormai generalizzata che un uso delle finanze pubbliche nello stimolare la crescita contribuisca al loro aggiustamento. Nel fare stimoli non si deve però mai perdere di vista l’economia reale, l’efficienza, gli investimenti nell’istruzione, nella tecnoscienza e nelle infrastrutture ecocompatibili. Per questo gli Eurobond sarebbero stati cruciali per contenere e superare la grande crisi. Chi li rifiuta anche oggi considerandoli una mutualizzazione rischiosa dei debiti non si rende conto che questa è già avvenuta con i quantitative easing della Bce che si avvia ad essere il principale detentore di titoli di Stato europei. Intanto il sistema bancario, privato del margine di interesse, peggiora mentre crescono le emissioni di dubbie obbligazioni corporate da collocare presso la Bce.
Non è dunque giunto il momento di chiedersi, come ha opportunamente fatto il Governatore della Banca centrale indiana, Raghuram Rajan, se nell’innovazione monetaria-finanziaria non si è andati troppo avanti visti anche gli scarsi effetti sulla crescita?

(dal Sole 24 Ore - 21 maggio 2016)

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