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Commento introduttivo

Venerdì 6 maggio p.v. alle ore 21, nella Sala Tobino di Palazzo Ducale di Lucca, il Prof. Roberto D'Alimonte terrà un incontro sul tema "Perché la riforma è un passo avanti per il sistema italiano". L'evento è organizzato dal Comitato per il Sì Lucca.
Roberto D'Alimonte è un celebre costituzionalista, particolarmente esperto in materia di legislazione elettorale. Ha avuto un ruolo di primo piano nella stesura dell'"Italicum", ed ha partecipato anche alla stesura della riforma costituzionale su cui saranno chiamati ad esprimersi gli elettori italiani nel prossimo mese di ottobre.

L'evento del 6 maggio sarà il terzo organizzato dal Comitato per il Sì Lucca e, come i due che lo hanno preceduto, vuole essere una occasione di informazione su un tema complesso, e su cui già si è accesa la battaglia per disorientare gli elettori con valutazioni che non tengono conto degli scenari storico-politici attuali, di decenni di dibattiti e di tentativi riformatori andati a vuoto, del modo in cui concretamente si articola il processo legislativo, del reale funzionamento dell'architettura istituzionale come disegnato nella Costituzione. E' ciò che emerge, ad esempio, dalla lettura del documento di circa 50 costituzionalisti e/o magistrati, che ha avuto in questi giorni gli onori della cronaca. Le analisi degli estensori, se possono risultare interessanti con riferimento a modelli astratti, risultano disancorate - e non raramente fuorvianti - con riferimento alla situazione reale, sia nel merito che nel metodo.
Da qui il sospetto che si tratti di un primo passo della battaglia che la conservazione, fortissima nel nostro Paese, metterà in atto per bloccare qualsiasi riforma. E' infatti chiaro che la conferma di essa potrà inaugurare in Italia una stagione di ripensamenti e di cambiamenti, di cui la riforma costituzionale e' un passo necessario, anche se non sufficiente. Nella disgraziata ipotesi dell'affermazione del "No", si bloccherebbe qualsiasi possibilità di cambiamento e l'affermazione della conservazione impedirebbe qualsiasi possibilità di ammodernamento del Paese per vari decenni. L'Italia è una realtà di ampi e consolidati interessi corporativi e consociativi, fortemente intrecciati fra loro. Se si rompe il filo dell'intreccio, il castellino casca: i beneficiari dei vari privilegi, grandi o piccoli che siano, lo sanno benissimo e faranno di tutto per bloccare il cambiamento. Gli elettori debbono esserne consapevoli, per poter affrontare la scelta a cui saranno chiamati nel prossimo autunno.

Il prossimo venerdì sentiremo direttamente dal Prof. D'Alimonte le sue ragioni per il "Sì".
In vista dell'incontro propongo ai lettori di Fucinaidee tre occasioni di riflessione:
1) l'articolo di D'Alimonte sotto riportato,
2) il documento dei "cinquanta";
3) un articolo del Prof. Pasquale Pasquino che ne confuta (senza peli sulla lingua) le valutazioni.

Paolo Razzuoli

Perché la riforma è un passo avanti per il sistema italiano

di Roberto D'Alimonte

Non esistono riforme perfette. Esiste invece lo status quo e esistono riforme che lo modificano in meglio o in peggio. La domanda da cui partire per un giudizio equilibrato e realistico sulla riforma costituzionale recentemente approvata è dunque questa: migliora o peggiora la situazione esistente? La tendenza di molti invece è quella di criticare la riforma usando il criterio dei modelli ideali. Ma così facendo si fanno due errori. Da una parte si sottovalutano i limiti posti dal contesto politico in cui la riforma deve essere approvata. Dall’altro si tende a pesarne in maggior misura gli aspetti negativi rispetto a quelli positivi. È quello che fa il documento dei 50 costituzionalisti che in pratica apre la campagna sul referendum confermativo.

L’attuale riforma non è la soluzione ideale al problema dell’equilibrio tra governabilità e rappresentatività in questa fase della nostra storia. Ma, combinata con il nuovo sistema elettorale, è una soluzione realistica che risponde ad un modello coerente che tende da una parte a dare più potere agli elettori e dall’altra a responsabilizzare il governo dandogli i mezzi per attuare il programma con cui è stato eletto e di cui dovrà rispondere. Il modello di governo resta parlamentare, ma il governo non sarà scelto dai partiti dopo il voto ma dai cittadini con il voto. È stato in fondo così a partire dal 1993, quando fu introdotta la prima legge elettorale maggioritaria. Ma era un modello imperfetto, con due camere elette con sistemi elettorali diversi e corpi elettorali diversi. Una grave anomalia. Adesso ci sarà una sola camera che darà e revocherà la fiducia.

Non solo il processo di formazione dei governi sarà semplificato ma a questo corrisponderà anche la semplificazione del processo legislativo. È vero che la riforma prevede procedure diverse di approvazione delle leggi, ma il fatto importante è che sarà la Camera dei deputati ad avere l’ultima parola nella stragrande maggioranza dei casi. E questa sarà una Camera in cui il governo finalmente avrà la possibilità di vedere discussi e votati i suoi provvedimenti a data certa. È un altro degli elementi di quel modello di responsabilizzazione dell’azione di governo cui si ispirano riforma elettorale e riforma costituzionale. E tutto ciò senza modificare i poteri del presidente del Consiglio, come invece altri progetti di riforma in passato avevano suggerito. Nemmeno quelli di nominare e revocare i ministri e tantomeno quello di sciogliere il Parlamento, come avviene in altri paesi democratici. Da questo punto di vista questa è una riforma timida.

Da un altro punto di vista invece è una riforma ardita. A differenza di quanto si dice e si scrive, il ruolo del Presidente della Repubblica uscirà rafforzato e non indebolito da questa riforma. Sarà un presidente ancor più indipendente. Non solo i suoi poteri non vengono modificati di una virgola, ma non potrà più essere eletto da una maggioranza assoluta, come invece prevede l’attuale costituzione. Ci vorranno i tre quinti dei votanti, come per gli attuali giudici della Consulta. I membri delle due camere, cioè i grandi elettori, saranno in totale 730 (630 deputati e 100 senatori). I tre quinti fanno 438 voti, se tutti votano. Questo significa consegnare la nomina del presidente della Repubblica alle opposizioni. Bastano due conti per confutare il timore, o meglio l’errore, di chi pensa che la maggioranza “fabbricata” dall’Italicum, combinata con le nuove regole costituzionali, possa consegnare un potere assoluto o una “influenza dominante” a chi vince. Chi vincerà le prossime elezioni avrà 340 seggi, cui aggiungere – ipotizziamo - 6 seggi della circoscrizione estero. Per arrivare ai 438 voti necessari per eleggere il futuro presidente della Repubblica ne mancano 92. È realistico immaginare che nel futuro senato il partito di governo possa contare su 92 senatori su 100? Saranno dunque anche le opposizioni a decidere chi sarà il futuro capo dello Stato e sarà lui a scegliere cinque membri della Corte costituzionale.

E che dire del rafforzamento degli strumenti di democrazia diretta? Il recente referendum sulle trivelle è stata l’ennesima conferma che il meccanismo previsto dalla attuale Costituzione non funziona più. Il quorum del 50% degli elettori lo ha reso obsoleto. La nuova Costituzione prevede un altro tipo di referendum abrogativo basato sullo scambio più firme meno elettori. Si alza da 500mila a 800mila il requisito delle firme per chiedere un referendum ma si abbassa dal 50% degli elettori al 50% dei votanti alle ultime elezioni politiche il requisito per la sua validità. Domenica scorsa sarebbe bastato il 37% degli elettori. E non è tutto. Perché accanto al nuovo referendum abrogativo la riforma prevede anche l’introduzione del referendum propositivo, così come prevede una nuova regolamentazione delle leggi di iniziativa popolare che fino ad oggi non hanno avuto alcun effetto. Anche in questo caso l’innovazione si basa su uno scambio: più firme per la loro introduzione in cambio dell’obbligo per il Parlamento di prendere in esame la richiesta.

Le innovazioni contenute nella riforma costituzionale non finiscono qui. Un capitolo importante e delicato è certamente quello della modifica dei rapporti Stato-regioni. È il punto su cui il documento dei costituzionalisti si sofferma di più insieme all’argomento collegato della struttura del nuovo Senato. Ci sarà tempo e modo di tornare su questi temi. Il dibattito è solo agli inizi. Ma basta questo elenco - seppure incompleto - per dubitare che alla fine dei conti lo status quo sia meglio della riforma votata dal Parlamento e che sarà sottoposta a Ottobre al giudizio degli elettori.

(dal Sole 24 Ore - 23 aprile 2016)

Allegati

Lucca, 30 aprile 2016

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