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Se Berlino gioca col fuoco e «brucia» l’Europa

di Adriana Cerretelli

Decisamente la Germania gioca con il fuoco quando prova a scaricare all’esterno, come fa in questi giorni, il peso delle sue tensioni e contraddizioni interne: quasi che l’outsourcing, inaugurato con l’emergenza rifugiati esportata in Turchia, non sia l’eccezione ma la nuova regola della sua politica europea.

Gioca con il fuoco perché le divisioni intra-europee sono sempre più solide, stabilità e riprese economica sempre più fragili e incerte. La supplenza di Mario Draghi da sola non può fare miracoli, tanto meno quando le sue scelte sono criticate ad alta voce dal maggiore azionista di riferimento, complicandone l’efficacia, erodendo la credibilità internazionale della Bce come istituzione europea forte e condivisa.

Il bersaglio è noto: l’indipendenza e la politica monetaria dell’ Eurotower, i bassi tassi che assillano banche, assicurazioni e fondi pensione tedeschi, incoraggiano l’ascesa di movimenti populisti e anti-europei, in breve devastano gli equilibri politici ed economici del paese. Contro Mario Draghi in questi giorni sono partiti attacchi a raffica ma quello più velenoso (poi rimangiato) è arrivato da Wolfgang Schauble, il potente ministro delle Finanze.

Il presidente della Bce ieri ha rintuzzato tutte le accuse: il nostro mandato, ha puntualizzato, è perseguire la stabilità dei prezzi per tutta l’eurozona e non solo per la Germania, il mandato è stabilito dal Trattato costitutivo, noi obbediamo alla legge europea e non ai politici perché siamo indipendenti per statuto. Oggi il Consiglio è stato unanime nel difendere l’indipendenza della Bce e la scelta dell’attuale politica monetaria. Che del resto non è diversa da quelle attuate in gran parte del mondo. E funziona ma ha bisogno di tempo. «Certo, se ci fossero anche le riforme strutturali, gli effetti sarebbero più rapidi».

Draghi ha fatto un impeccabile richiamo all’ortodossia blindata nell’atto costitutivo dell’eurozona: la stessa ritenuta inviolabile dai tedeschi, evidentemente però se applicata agli altri.
Lo dimostrarono del resto nel 2003, quando decisero che il patto di stabilità andava loro stretto e quindi ne violarono le regole. Il sospetto che Berlino oggi sia tentata di ripercorrere quella strada nasce dalla fragorosa irruzione nel dibattito ieri anche di Angela Merkel, con frasi palesemente ambigue: «La Bce è indipendente nella gestione delle sue politiche, ha un mandato chiaro. Ma è legittimo che in Germania si discuta del fatto che ci sono stati tassi di interesse molto più alti. Questo non va confuso con l’interferenza nella politica indipendente della Bce, che io sostengo».

Una volta erano i presidenti francesi a lanciarsi in simili contorsioni semantiche per essere immancabilmente bacchettati dai tedeschi, che non a caso pretesero una Bce indipendente, proprio anche per evitare simili digressioni pubbliche sui livelli dei tassi ai massimi livelli politici.

Altri tempi. Altra Germania. Altra Europa, più equilibrata e coesa. Non l’attuale, rissoso condominio di separati in casa.

Oggi ad Amsterdam i ministri finanziari dell’Eurogruppo, presente come sempre Draghi, affronteranno tutti i nodi più spinosi dell’Eurozona: la crescita che stenta a irrobustirsi e alla lunga minaccia sostenibilità dei debiti pubblici e stabilità delle banche, la riluttanza dei Governi ad accelerare sulle riforme e della Germania a investire parte dei suoi surplus eccessivi nella ripresa dell’area, l’unione bancaria monca e il trattamento dei titoli sovrani nei bilanci degli istituti di credito, la semplificazione del patto di stabilità e la difficoltà di rispettarlo, la governance del futuro.

Gli scontri sono assicurati. Forse per l’occasione qualcuno potrebbe ricordare a Schäuble che è stato proprio il suo gran rifiuto a praticare una politica economica più attiva e dinamica in Germania e in Europa ad aver implicitamente affidato alla Bce il compito di supplirvi con una politica monetaria espansiva e la mutualizzazione mascherata dei rischi attraverso il suo bilancio (visto che quasi nessuno lo guarda).
O che è stato un policy-mix sbagliato, figlio di una indiscutibile dottrina tutta tedesca, a scaricare su Draghi il compito di rilanciare economia e inflazione con misure non ortodosse che ora a Berlino si criticano senza voler capire che non possono tutto, senza il fattivo contributo dei Governi.

Naturalmente le colpe dell’Europa piombata in una crisi a tutto tondo vanno equamente spartite tra tutti i suoi Stati membri. Ma proprio perché la crisi cominciata nel 2009 e tuttora irrisolta ne ha fatto il dominus incontrastato, ricade inevitabilmente sulla Germania il carico della maggiore responsabilità.

(dal Sole 24 Ore - 22 aprile 2016)

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