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Guerre di lobby nel Paese dei lacci

di Giorgio Santilli

Il Paese dei mille lacci, delle regole sempre eccessive (e spesso inutili) è ridotto a una guerra continua fra le lobby di interessi particolari che provano ad aggirare quelle regole con metodi (spesso non leciti) e i “professionisti del no” che di quelle regole si avvalgono come fossero una Bibbia. A farne le spese la crescita, gli investimenti, una seria programmazione di priorità.

Se non si riconduce il dibattito a toni civili, se non si analizzano gli investimenti per la loro capacità di produrre ricchezza diretta e indotta sul territorio, se non si disboscano regole ridondanti che servono solo a tenere in vita qualche potere di interdizione perpetua, se non si cerca nella “buona programmazione” la via per scegliere le priorità di cui un Paese ha bisogno, la guerra fra le lobby attente solo ai propri interessi (poco importa se economici o politici) è destinata a continuare senza sosta, a entrare nelle inchieste della magistratura, a riempire i giornali. Altre occasioni di sviluppo si perderanno, altri progetti resteranno paralizzati per decine di anni senza che una via di uscita a questa impasse ideologica abbia fine.

Per interrompere questa guerra è necessaria un'azione su tre fronti che – bisogna darne atto – il governo sta perseguendo con coerenza. Due fronti di ordine generale che vanno oltre i singoli progetti.

Il primo fronte è quello della semplificazione. Qui stanno succedendo cose davvero importanti, ma la fatica del governo ad andare avanti conferma le molte resistenze. Il primo caso di semplificazione è il Dpr, previsto dalla legge Madia, che prevede il dimezzamento dei tempi di approvazione dei progetti infrastrutturali e produttivi e l'affidamento di poteri sostitutivi al premier in caso di resistenze immotivate. Provvedimento sacrosanto che consente un esercizio della responsabilità politica da parte del governo ma che le Regioni stanno pesantemente osteggiando in conferenza unificata. Il secondo provvedimento importante è la riforma della conferenza di servizi. Il terzo – e più importante – la riforma del codice degli appalti che riduce il numero di articoli da 600 a 219 e introduce elementi di soft law in luogo del vecchio regolamento rigido.

Il secondo fronte su cui la partita si gioca è quello della legalità su cui non si possono ammettere sconti a nessuno. Anche qui, però, come è stato nel caso dei commissariamenti all'Expo avvenuti sotto la regìa di Raffaele Cantone, bisogna distinguere le responsabilità (penali in quei casi) dal progetto che deve andare avanti.

Il terzo fronte è quello di riaprire una stagione di programmazione seria che sappia nuovamente dettare le priorità infrastrutturali fondamentali per il Paese e sappia convogliare su quelle le risorse disponibili (che non sono poche se consideriamo fondi Ue e “flessibilità” di bilancio). Anche su questo il governo sta facendo la propria parte con l'azione coraggiosa e in profondità del ministro Delrio: con il documento di programmazione pluriennale, che dovrebbe vedere la luce a settembre, si tireranno le fila di tutta una serie di programmi settoriali profondamente rivisitati. E si darà spazio probabilmente non solo alle grandi opere “europee”, ma anche alle “tecnologie leggere”, allo sviluppo urbano (con metropolitane e piste ciclabili), alla logistica, alla manutenzione. Un modo non solo per ridare energia più dinamica a un'azione di infrastrutturazione, ma anche di riconquistare fette dimenticate di crescita in settori fondamentali per il futuro.

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