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Il centrodestra: la vittoria apparente e i rischi dello strappo

di Angelo Panebianco

A differenza di quanto accade in Francia, la bandiera dell’antipolitica, per lo meno la bandiera più grande e più visibile, è sventolata dal movimento Cinque Stelle

In politica la «vittoria» è spesso un fatto relativo. Come dimostra l’apparente suicidio del centrodestra a Roma, con una pletora di candidati e la quasi assoluta certezza che nessuno di loro andrà al ballottaggio. La probabilissima sconfitta del centrodestra sarà una vittoria sia per Meloni che per Salvini. Meloni, ora candidata-sindaco dopo tanto tergiversare, avrà alla fine scongiurato il rischio di un primo cittadino di centrodestra (un Bertolaso o un Marchini) che possa insidiare il tradizionale ruolo degli ex missini nella Capitale. Pazienza se per ottenere il risultato (nessuno pianti bandiere nell’orto romano della destra ex missina) dovrà accettare di subire una sconfitta personale .

Anche Salvini intascherà una vittoria grazie alla sconfitta del centrodestra a Roma. Avrà dimostrato che ormai egli conta molto di più del vecchio leader Berlusconi e che solo alle sue condizioni il centrodestra può trovare un candidato unitario. Oltre a tutto: molta resa con poca spesa. Di quel che accade a Roma, ove la Lega è priva di interessi elettorali, a Salvini importa ben poco. Ecco perché la sconfitta del centrodestra nella Capitale coinciderà con la vittoria di due leader nominalmente appartenenti a quello stesso schieramento. Per inciso, non è solo a destra che l’eventuale sconfitta del «tutto» (dello schieramento nel suo insieme) può essere valutato come una propria vittoria da una delle sue «parti».

C’è un settore della sinistra del Pd, ad esempio, che tifa per la sconfitta di Renzi sul piano nazionale e che, per ottenere l’agognato risultato, sarebbe anche disposto a fare vincere i Cinque Stelle. Per quanto riguarda il centrodestra, le sue residue possibilità sono ormai affidate solo al confronto milanese. Se il candidato del centrodestra dovesse prevalere a Milano,quello schieramento disporrebbe per lo meno di una base da cui ripartire per tentare di ricostruire un edificio crollato. Se questo non dovesse accadere, allora è facile prevedere per il fu-centrodestra un futuro di feroci divisioni e di marginalità politica.

Sarebbe allora vero anche per la destra italiana quanto è risultato vero in molti altri casi di movimenti politici creati da capi carismatici: le sorti di quei movimenti seguono le sorti personali di quei capi. Fu Berlusconi a fondare il centrodestra nel 1994, in un Paese che, fino a quel momento, non aveva mai conosciuto un tale schieramento. Il declino di Berlusconi porta con sé anche il declino del centrodestra. Fin qui nessuno è stato in grado di raccogliere il testimone. Ma, si dice, la crisi economica, l’antieuropeismo diffuso, le migrazioni, stanno spostando l’asse della politica di destra verso le estreme. A destra, il futuro, si dice, non è dei moderati. Come testimonierebbero i successi di Marine Le Pen in Francia e di altri simili a lei in giro per l’Europa.

In Italia dunque, secondo questa vulgata, il futuro apparterrebbe alle destre alla Salvini e alla Meloni. Non è affatto sicuro che sia così. Non lo è nemmeno in Francia: forse Le Pen vincerà le future presidenziali e forse no, forse vincerà la destra moderata. Nel caso italiano, se Matteo Renzi resta l’uomo che la destra vuole battere, allora è un fatto che può riuscire più facilmente nell’impresa un leader che sappia bloccare il flusso di voti verso il premier degli ex elettori di destra. Difficilmente, un leader siffatto può essere uno che ha scelto l’antipolitica e i toni più o meno apocalittici: proprio per questa ragione, date le caratteristiche dei candidati che vi si affrontano (Parisi e Sala), le elezioni comunali di Milano appaiono, per il centrodestra, un test cruciale.

Si aggiunga il fatto che Salvini, colui che vorrebbe ricalcare le orme di Le Pen, manca di un insediamento omogeneo sul territorio nazionale, il che esclude in partenza che possa essere un competitore davvero preoccupante per Matteo Renzi. Ultimo, ma non in ordine di importanza, c’è il fatto che, a differenza di quanto accade in Francia, la bandiera dell’antipolitica, per lo meno la bandiera più grande e più visibile, è sventolata dal movimento Cinque Stelle. Difficilmente i Cinque Stelle si faranno togliere di mano la bandiera da Salvini. È pensabile che quanto resta del centrodestra, nel suo complesso, possa rassegnarsi al ruolo di comprimario del movimento di Grillo e Casaleggio? No, non è pensabile. È più plausibile immaginare che il centrodestra finisca per dividersi in tre tronconi: una parte minoritaria che seguirà Salvini pur essendo anche tentata di votare Cinque Stelle, una parte che smetterà di votare in attesa di tempi migliori e, infine, una parte che voterà Renzi più o meno per le stesse ragioni per cui un tempo votava Dc: quando c’è il rischio di inondazioni si spera sempre che l’unica diga disponibile regga.

(dal Corriere della Sera - 16 marzo 2016)

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