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Il GIORNO DEL RICORDO: per non dimenticare le VITTIME DELLE FOIBE E DEGLI ESULI GIULIANO-DALMATI

a cura di Paolo Razzuoli

Ogni 10 febbraio il pensiero del Paese va alle migliaia di connazionali massacrati e gettati ancora vivi nelle foibe dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito tra il '43 e il '47. Si trattò di una pulizia politica ed etnica che riguardò non solo i nazisti e i fascisti, ma anche uomini di chiesa, comunisti.

All'indomani dell'armistizio si scatenò l'offensiva dei partigiani comunisti contro i nazisti e fascisti. Un massacro che andò ben oltre la logica - se pur crudele - della guerra, coinvolgendo fasce di popolazione civile assolutamente estranee a qualsiasi forma di sostegno verso gli occupanti. Il massacro più vasto fu perpretato a guerra finita, nel maggio del 1945, per costringere gli italiani a fuggire dalle province istriane, dalmate e della Venezia Giulia. Secondo le fonti più accreditate le vittime furono almeno 5000, ma diversi storici parlano di oltre diecimila. Centinaia di migliaia gli esuli Uccisi solo perchè italiani. Sono le vittime delle Foibe, vittime della pulizia politica ed etnica compiuta dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia tra il 1943 e il 1945. Una pulizia etnica mascherata come azione di guerra o vendetta contro i fascisti all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943. In cinquemila furono massacrati, spesso gettati ancora vivi nelle foibe, le cavità carsiche tipiche del territorio istriano.

In questa giornata il ricordo del Paese va a loro e a tutti i 350mila italiani costretti a fuggire dalle loro terre in quel periodo di grande confusione bellica. Molti connazionali finirono in campi profughi dove rimasero per anni. Tanti furono costretti a fuggire in altre città italiane o all’estero: chi in America, chi in Australia. L'esodo durò oltre 10 anni. Ma per oltre mezzo secolo tutto rimase avvolto dal silenzio. Un silenzio durato 60 anni, benché si trattasse di una tra le pagine più dolorose della storia italiana.

Una storia che è stata dimenticata per anni dalla memoria collettiva, ma mai cancellata dalle menti di chi ha perso qualcuno, qualcosa, se stesso. Tutto. Negli anni Novanta la politica interrompe quel silenzio e inizia a reinteressarsi di quella tragedia. Solo nel 2004, esattamente 12 anni fa, arrivò una legge, una norma che istituì il Giorno del ricordo per le vittime delle Foibe e dell’esodo. Quel giorno è il 10 febbraio. Si tratta di una data simbolica che fa riferimento al 1947, quando venne firmato il trattato di pace con cui le province di Pola, Fiume, Zara, parte delle zone di Gorizia e di Trieste, passarono alla Jugoslavia.

La prima grande ondata di violenza esplose subito dopo la firma dell'armistizio dell’8 settembre 1943: iniziò un periodo di sbandamento, l’esercito italiano si dissolse e in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicarono contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturarono, massacrarono, affamarono e poi gettarono nelle foibe circa un migliaio di persone. Li consideravano 'nemici del popolo’. Il massacro si ripetè nella primavera del 1945, quando le truppe di Tito occuparono Trieste, Gorizia e l'Istria. Le vittime erano gli italiani: non solo fascisti, ma anche personaggi che potevano rappresentare una classe dirigente dell’antifascismo perché punti di riferimento dell’opinione pubblica non allineata al nuovo potere. Tito si accanì anche contro i partigiani, con i membri del Comitato di liberazione nazionale, contro tutti coloro che volevano difendere la comunità italiana. Sarebbero stati d’impiccio al suo grande progetto politico di annessione di quei territori.
A cadere dentro le foibe ci furono fascisti, cattolici, liberaldemocratici, socialisti, uomini di chiesa, donne, anziani e bambini.

Zara fu la prima città ad essere abbandonata dopo i bombardamenti angloamericani del '44. Poi toccò a Fiume, alla fine della guerra rimasta al di là di una linea tracciata su una carta geografica: la linea Morgan. Il 9 giugno 1945 Tito e il generale inglese Alexander divisero questa travagliata zona di confine in due parti: la provincia di Trieste e una parte di quella goriziana chiamata "Zona A" passarono sotto il controllo angloamericano; la "Zona B", di fatto tutta l'Istria, passò sotto il governo jugoslavo.
Si trattò di un accordo temporaneo. La decisione definitiva fu presa dalle nazioni vincitrici della guerra alla conferenza di pace di Parigi ed inserita nel trattato di pace firmato il 10 febbraio del 1947: l'Istria e la Venezia Giulia fino a Gorizia andarono alla Jugoslavia. Trieste e cinque piccoli comuni, la nuova Zona A, e una piccola parte dell'Istria settentrionale, la Zona B, costituirono un territorio libero sotto la sovranità internazionale.
Il trattato di pace trasformò la decisione di singoli in un vero esodo di massa. Pola, Parenzo, Rovigno, Montoro, Albona e decine di piccoli centri della costa istriana furono abbandonati.

 

Il 5 ottobre 1954 arrivò la definizione dei confini con il memorandum di Londra che sancì che l'Italia doveva assumere la diretta amministrazione di Trieste e della sua provincia, mentre la Jugoslavia quella della zona B. Il risultato fu lo svuotamento anche dell'Istria settentrionale.
Restarono 5mila italiani, una minoranza etnica. Centinaia di migliaia di persone (il numero è incerto: c’è chi parla di 350mila, chi di 270mila, si trasformarono in esuli.

Lucca, 10 febbraio 2016

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