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Dietro i risultati. Gli elettori affamati di identità

di Aldo Cazzullo

Il risultato è clamoroso, entusiasma i nazionalisti non solo francesi, spaventa gli europeisti; però bisognerà pur dire che con questi dati Marine Le Pen non diventerà presidente della Francia. Se domenica si fosse votato per l’Eliseo, il favorito naturale uscirebbe dalle file della destra repubblicana, il cui leader oggi è il vituperato Nicolas Sarkozy e potrebbe essere domani il pupillo di Chirac, l’eterno Alain Juppé. E se Hollande fosse il candidato unico della sinistra - una chance oggi remota, ma possibile in uno scenario di drammatizzazione - rientrerebbe pure lui in gioco.

Alle Regionali il Front National ha confermato non soltanto di essere il rifugio più credibile dalla paura del terrorismo, dell’immigrazione, del mondo globale. Ha dimostrato di saper leggere meglio dei partiti tradizionali la crisi delle classi popolari europee, e in particolare della coscienza nazionale francese: in cuor suo mai rassegnata del tutto al tramonto della grandeur evocata domenica da Marine Le Pen, che per una notte ha parlato da gollista. Un Paese che in mezzo secolo ha perso un impero coloniale, la centralità culturale, una buona parte della propria sovranità, una quota del proprio benessere, e ora si sente indifeso di fronte a una banda di terroristi, ha visto nella famiglia Le Pen l’ultimo baluardo di quell’egemonia o almeno di quell’identità francese, cancellata dalla storia prima che dagli errori del vecchio establishment.

Oggi il Front National è uscito dall’angolo e occupa il centro della scena, detta l’agenda politica, impone i temi e le parole della discussione pubblica.
Tuttavia non è inutile ricordare che tre dei quattro migliori risultati sono stati raggiunti dalla nipote del fondatore Jean-Marie, da sua figlia e dal compagno della figlia. E neppure l’irresistibile fascino che promana da un vincitore può far dimenticare che il programma del Front è lastricato di promesse fraudolente, che il ritorno alla pensione a 60 anni è un inganno, e nazionalizzare le imprese è arduo in un mercato globale di cui la Francia fa parte e che nessun muro lepenista potrà frantumare.
Per Marion, Marine e Louis Aliot votano i giovani, ma la Francia dell’inverno 2015 è quella nostalgica, spaventata, rattrappita, che a ogni elezione cambia maggioranza senza che nulla cambi, che si agita ma si avvita su se stessa, che si muove ma va sempre da dove è venuta.

In gioco è la sopravvivenza stessa dell’Europa, che i Le Pen intendono dichiaratamente distruggere: un risultato certo non sgradito agli stessi fondamentalisti islamici che vorrebbero combattere.
Di fronte a una sfida epocale, gli Hollande e i Sarkozy appaiono ben poca cosa. La loro salvezza è il sistema politico ed elettorale; che non rappresenta soltanto un’alchimia, ma la garanzia che il capo dello Stato debba conquistare al secondo turno il 51% dei voti. È un sistema costruito per un bipolarismo superato dai fatti, che quindi produce una stortura e un’ingiustizia: il Front National, primo partito, ha appena due deputati all’Assemblea nazionale. Ma è un sistema che semplifica, perché prevede un solo vincitore. E alle presidenziali, se i dati sono questi, il vincitore non si chiamerà Le Pen.

La desistenza unilaterale decisa dai socialisti probabilmente non basterà domenica prossima a impedire l’elezione di Marine a Lille e di Marion a Marsiglia. Ma nel 2017 la partita sarà diversa. Non voterà solo la metà dei francesi, come stavolta. Marine Le Pen sarà al secondo turno; ma potrebbe essere battuta da Hollande, sia pure a fatica, e senza troppi problemi da un candidato della destra repubblicana. A maggior ragione se alle primarie Sarkozy, oggi padrone del partito ma indebolito anche dai guai giudiziari, dovesse essere sconfitto da Juppé.
Questo scenario non significa certo l’uscita di scena del Front National. Né esclude sorprese anche drammatiche. La Francia è entrata non in una nuova guerra, destinata prima o poi a concludersi; è entrata in una nuova epoca, di cui non vedremo la fine. Marine Le Pen non si batte con la demonizzazione o gli accordi sottobanco. Ma la si può battere. Per il bene dell’Europa, e anche della Francia.

(dal Corriere della Sera - 8 dicembre 2015)

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