logo Fucinaidee

Commento introduttivo

Ormai e' difficile stupirsi per decisioni di organi della magistratura (ordinaria e/o amministrativa), anche nei suoi livelli piu' alti che, al buon senso comune, appaiono inspiegabili.
Sara' per l'inestricabile groviglio legislativo italiano, ma sono ormai decenni che, non tanto poi cosi' raramente, soprattutto coloro che hanno a vario titolo consuetudine con le cose della pubblica amministrazione, si trovano a dover fare i conti con situazioni paradossali, frutto di sentenze i cui contenuti e motivazioni lasciano perplessi.

Puo' anche darsi che decisioni apparentemente inspiegabili possano trovare qualche forma di giustificazione sul piano giuridico. Non possono tuttavia sfuggire due elementi a mio modo di vedere pericolosi e non in linea con il corretto equilibrio dei poteri:
il primo e' una certa tendenza, da parte di settori della magistratura, di interpretare le leggi, quindi trascendendo il ruolo di tale funzione, che e' quello di applicarle scrupolosamente; il secondo elemento e' un eccesso di garantismo che, per una sorta di "eterogenesi dei fini", non raramente genera situazioni in cui proprio fondamentali diritti dei cittadini vengono lesi.

Gli esempi potrebbero essere tantissimi. Per tutti ne voglio citare uno: la confusione creata dalla sentenza del Consiglio di Stato nell'ultimo concorso per dirigenti scolastici in Toscana.

Il caso da cui parte la riflessione che propongo ai lettori di Fucinaidee, mi pare che sposti l'asticella della demagogia e della confusione un po' piu' in alto.
E non ce ne sarebbe proprio bisogno.
In Italia la certezza del diritto appare sempre piu' labile. E' un fatto grave che dovra' essere affrontato se si vorra' rimettere il Paese in ordine.
E' un tema scottante e delicato, ma una seria riflessione sugli equilibri fra le varie funzioni dello Stato non potra' a lungo essere elusa. La classe politica dovra' farsene carico; anche da qui passa la capacita' di arrestare il declino del Paese.

Paolo Razzuoli

Demagogia e diritto

di Gianni Trovati

Opera pubblica annullata per «manifestazione di piazza». Ci mancava giusto questa nuova versione demagogica del Nimby nell'Italia disseminata di incompiute, gap infrastrutturali e territori abbandonati da una politica che non sa scegliere. La novità arriva dal Tar Lazio, che ha dato ragione a un Comune che prima ha deciso di realizzare l'opera e poi, dopo la gara per progettarla, realizzarla e gestirla, ci ha ripensato.

Con tanti saluti alle imprese interessate, alla programmazione, e alle responsabilità di chi si fa eleggere. La Pubblica amministrazione, com'è ovvio, non può rimangiarsi le decisioni come se niente fosse; gli «annullamenti in autotutela» sono possibili solo quando le motivazioni sono solide, e reggono all'urto dei diversi interessi coinvolti dall'eventuale retromarcia.

In questo caso, spiegano gli stessi giudici, lo stop all'opera approvata mesi prima è stato motivato dal Comune «unicamente sulla considerazione della manifestazione della contrarietà della popolazione»: ma queste ragioni hanno tranquillamente superato l'esame dei giudici , sulla base del fatto che l'ente deve «rispondere ai bisogni» della sua comunità. Ci mancherebbe altro, ma tra questi «bisogni» c'è anche quello di essere governati. L'opinione della popolazione, poi, andrebbe censita prima, e con metodi che leggano davvero la volontà della maggioranza. Altrimenti il diritto di manifestare si trasforma nell'arbitrio di chi grida di più.

(dal Sole 24 Ore - 12 settembre 2015)

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina