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I riflessi condizionati sulle tasse.
Fisco e politica

di Angelo Panebianco

Sono le tasse dunque il terreno politico ed elettorale che Renzi ha scelto per affrontare i suoi avversari. Se riuscirà ad abbassarle sensibilmente consoliderà la sua leadership alla testa di una sinistra radicalmente rinnovata, forse capace anche di attrarre ampie porzioni di quelle classi medie indipendenti (imprenditori, professionisti, commercianti, artigiani) tradizionalmente ostili alla sinistra.

Sulle spalle del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, soprattutto, ricadrà l’arduo compito di reperire le risorse necessarie. Ma sbaglia chi crede che in gioco ci sia solo una questione di risorse.

Più delle riforme istituzionali, forse anche più della scuola, le tasse toccano il cuore identitario della sinistra per come l’abbiamo conosciuta. La promessa di abbassarle coincide con la più grave minaccia a quella identità. Apparentemente, ciò accade solo per la nota ragione secondo cui, finito il comunismo, azzerati i grandi ideali, morta l’utopia, la sinistra si era ridotta, sotto il profilo identitario, a due cose: l’ideologia liberal (i vari temi del «politicamente corretto» - gender e così via - interpretati come diritti civili) e l’imperativo del «tassa e spendi» rivendicato come garanzia di ridistribuzione del reddito e di equità sociale. Renzi, sulle orme di Tony Blair, e pur con tutti gli adattamenti a un caso assai diverso da quello britannico, promette di preservare, e di cavalcare, l’ideologia liberal ma anche di mettere fuori gioco l’imperativo del tassa e spendi, il piatto forte, il cuore identitario. Può essere tutto meno che un’operazione indolore. Anche perché al di sotto del principio del tassa e spendi c’è una visione del mondo, così radicata e incistata che molti non ne sembrano nemmeno consapevoli. Quando il segretario della Cgil Susanna Camusso (sul Corriere del 24 agosto) propone di abbassare l’età pensionabile, mandare prima le persone in pensione per lasciare i loro posti ai giovani, sta precisamente parlando a coloro che condividono una particolare visione del mondo, una visione che apprezza le società statiche, per non dire immobili, che teme il dinamismo e l’innovazione più di ogni altra cosa. Chi attribuisce valore al dinamismo sociale, chi pensa che la continua innovazione caratterizzi le società davvero vitali, punta ad ampliare, attraverso la crescita economica (a sua volta effetto della libertà di innovare e della presenza di diffuse capacità imprenditoriali), oltre alla ricchezza, anche la base occupazionale disponibile.

Invece, chi ha fatto proprio l’ideale di una società statica pensa sia alla ricchezza che al lavoro come a giochi a somma zero: si deve togliere più soldi all’uno (il più ricco) per darli all’altro (il più povero), si deve mandare in pensione Tizio (il più anziano) per lasciare il posto a Caio (il più giovane).
Non si tratta mai di ampliare la torta ma di mantenerla inalterata tagliando diversamente le fette. È questa mentalità, propria di tanti, una parte dei quali nemmeno è consapevole di averla, che sta dietro all’imperativo del tassa e spendi e, quindi, all’identità di una parte rilevante della sinistra.
È questa mentalità che alimenta l’ideale di una società composta prevalentemente da impiegati pubblici, e nella quale il mercato sia tenuto a bada, al suo posto, in condizioni di non nuocere, di non dare libero sfogo ai suoi impulsi più «eversivi» e aggressivi: poiché è proprio del mercato di essere la principale fonte dell’innovazione e del dinamismo sociale.

Esattamente ciò che da sempre la sinistra esorcizza bollandolo come «liberismo selvaggio». Si capisce perché gli antirenziani di sinistra odino tanto Renzi: sta aggredendo, e forse distruggendo, un pezzo alla volta, il loro universo simbolico, il loro piccolo mondo statico. Forse ha anche capito meglio di loro che cosa è successo negli stessi strati sociali che sono stati per decenni il tradizionale serbatoio elettorale della sinistra: lì, ad esempio, ci sono persone di estrazione popolare (con la casa di proprietà) sempre meno disponibili a prendere per buona l’ideologia del tassa e spendi e ciò che essa sottintende.
Se queste persone risulteranno essere molte la scommessa di Renzi verrà forse vinta.

Per completezza di discorso, bisogna aggiungere che l’ideale di una società statica non è proprio soltanto della sinistra. C’è in Italia, da sempre, anche una destra antimercato e corporativa che ha ugualmente paura del dinamismo sociale: a differenza della sinistra, tuttavia, questa destra, per lo più, non ha fatto delle tasse alte una bandiera identitaria.
Se ciò che qui è stato detto è corretto allora Renzi, per abbassare le tasse, non dovrà solo procurarsi le risorse. Dovrà combattere, e sconfiggere, una radicata e diffusa mentalità. L’impresa, a occhio, si presenta più difficile e complicata di quella in cui è impegnato, poniamo, chi vuole soltanto riformare una Costituzione.

(dal Corriere della Sera - 28 agosto 2015)

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