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La politica appesa a un filo (del telefono)

di mattia feltri

È una tradizione recente e già consolidata, anzi, in prepotente evoluzione, quella di sottoporre la tenuta di governi, minoranze e istituzioni varie alla prova delle intercettazioni. Soltanto che evoluzione, come spesso accade, significa complessità: una volta dovevamo vedercela con frasi elementari dentro contesti precisi, per esempio Piero Fassino che dice «allora abbiamo una banca» a Giovanni Consorte, il capo delle coop impegnato nella stagione delle scalate.

In quei dintorni fu felicissimo Stefano Ricucci nel battezzare con un «furbetti del quartierino» un’intera banda in competizione, e comunque si era già in difficoltà perché non si capiva bene da dove arrivassero quelle intercettazioni e quanto pubblicarle obbedisse alla deontologia. Ma proprio in quell’estate di dieci anni fa, all’interno di colonne fitte di notizie di reato, comparve l’sms spedito a Ricucci dalla moglie Anna Falchi: «Solo per dirti che sono la donna più felice del mondo perché ho te AMORE MIO GRANDE TI AMOOO, capito? Sono tua per sempre ricordalo!». Si aprì un dibattito fitto ma molto breve, e del resto tutti avevano già dimenticato la madre di tutte le intercettazioni, quella del 1995 in cui si sentiva Alda D’Eusanio promettere a Bettino Craxi bacini qui e là, e naturalmente fu pubblicata secondo criteri molto elastici di diritto di cronaca.

Ormai l’intercettazione è pane quotidiano e si fa fatica a mettere ordine, abbiamo sentito Silvio Berlusconi raccomandare ragazze ai dirigenti della Rai, e abbiamo sentito ragazze commentare i cedimenti delle natiche di Berlusconi medesimo, abbiamo sentito imprenditori sghignazzare dopo il terremoto dell’Aquila pensando a quanti denari ne avrebbero ricavato, abbiamo sentito Emilio Fede che procurava soldi a Lele Mora e ci faceva sopra la cresta, e soprattutto abbiamo sentito politici pronunciare le più clamorose stupidaggini sebbene, decenni fa, Sandro Pertini avesse avvertito Craxi: «Vedi, Bettino, mentre stiamo parlando al telefono io e te, almeno otto persone ci stanno ascoltando».

Insomma, lo sanno tutti da sempre, eppure tutti si fanno beccare come pivelli, e giustamente si discute da lustri di una legge che regolamenti la faccenda, e non se ne viene a capo per via di una discussione di sordi fra chi sostiene il diritto della privacy e chi quello della libertà di stampa, in realtà libera di fare tutto.

E però qui c’è una novità abbastanza consistente: la battaglia politica si gioca attorno a intercettazioni di conversazioni private, che non dovrebbero esistere, dovrebbero essere distrutte una volta accertata l’irrilevanza ai fini penali.

Siamo all’evoluzione perfetta di questa storia non sempre edificante. Pochi giorni fa abbiamo trovato sul «Fatto» una chiacchierata fra Matteo Renzi e un generale della Guardia di Finanza in cui Letta era definito «incapace», e attorno a quella frase - e ai rapporti fra il politico e il militare - si è svolto il dibattito istituzionale.
Ieri ancora un passo in più, visto che il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, è chiamato a rispondere di una frase pronunciata da un altro in un colloquio di cui la procura non sa nulla e che non si sa da dove spunti. Non si sa nemmeno se esista e in che forma (e in che lingua si sia svolta). La cosa verrà chiarita, speriamo, ma nel frattempo sono già partiti per direttissima indignati commenti e solidarietà, e dalla presidenza della Repubblica e da quella del Senato, e dai più stretti collaboratori di Renzi sono arrivate le richieste di dimissioni per Crocetta: quegli stessi collaboratori che avevano appena esaurito l’indignazione per l’affronto alla privacy del premier.

(da La Stampa - 17 luglio 2015)

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