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Quella lezione brutale

di Adriana Cerretelli

Mai in questo dopoguerra l'Europa era arrivata tanto vicina al precipizio: alla fine della storia, la sua. Mai aveva flirtato con tanta cruda freddezza con l'espulsione di un suo Stato membro, la Grecia, ribelle ma in ginocchio. Ci sono volute 17 ore di negoziati ad altissima tensione e al massimo livello politico per farle ritrovare la ragione e la volontà politica per fare il passo indietro.

In nome della salvaguardia dei vitali interessi collettivi di lungo termine e ripudiando i miopi orizzonti del corto-termismo che divora le sue democrazie.
E' stato così che Angela Merkel, la regina della mediazione, ha trovato la forza di respingere Grexit per imboccare la strada, molto più difficile da difendere in casa, del graduale ripescaggio della Grecia dal buco nero in cui è caduta.
Ed è stato così che Alexis Tzipras, catapultato al potere anche dagli eccessi rigoristi europei, ha trovato l'audacia della capitolazione di fronte al diktat dei partner per salvare il suo paese dalla catastrofe incombente, il coraggio di smentire a Bruxelles le sue promesse anti-austerità pur sapendo di rischiare la poltrona al ritorno ad Atene.

Non si sa dove porterà l'incontro di Realpolitik nato dalla strana coppia tra il paese più forte e quello più disastrato dell'euro, una vecchia volpe democristiana e un giovane guastatore radicale pentito. A meno di non voler devastare il futuro della moneta unica, la loro intesa era obbligata. Ma senza la resurrezione politica della Francia di Hollande e i buoni uffici dell'Italia di Renzi non era per niente scontata. Se nell'immediato scongiura il peggio per tutti, l'accordo raggiunto lascia sul campo morti e feriti da entrambe le parti.
La prima grande vittima del mortale braccio di ferro durato ben cinque mesi è la fiducia: distrutta, da ricostruire lungo un percorso estremamente accidentato.
La seconda, figlia legittima della prima, è la Grecia messa in catene da un'euro-sorveglianza invasiva e onnipresente, ridotta a sovranità limitatissima per impedirle di nuocere agli altri in attesa del suo riscatto. Condannata a fare le riforme sempre promesse ma quasi mai attuate secondo un calendario serrato, certificato tappa per tappa, cui è condizionato l'effettivo esborso degli aiuti europei.
La terza vittima è la Germania: per le difficoltà che il cancelliere potrebbe incontrare nel suo partito prima che al Bundestag per strappare il via libera al terzo salvataggio greco. Ma soprattutto perché il diktat, indispensabile per spegnere nell'opinione pubblica tedesca la voglia matta di Grexit, rischia di alimentare in un'Europa, già scossa da crescenti contestazioni nazionaliste e euroscettiche, un profondo sentimento anti-tedesco frammisto alla crescente paura della legge del più forte verso il più debole e renitente alla disciplina delle regole.

Risultato, la serena convivenza dentro la moneta unica potrebbe risultarne prima o poi molto turbata: anche se finita in niente, Grexit ha inserito nella dinamica interna dell'euro la variabile dell'espulsione di un paese peraltro non prevista dai Trattati e per questo trasformata nella coazione a uscire via ultimatum, digeribili solo in condizioni estreme alla greca.
In quest'ottica l'Europa delle regole cara ai tedeschi ma tutt'altro che consustanziata nella cultura collettiva può diventare una camicia di forza sempre più ostica da gestire in società democratiche dove l'integrazione monetaria ha finora fallito la convergenza di obiettivi e spiriti oltre che delle economie, creando fratture sempre più profonde, scatenando guerre di religione e di interessi tra paesi forti e deboli, tra i poveri dell'Est e del Sud in una confusione di modelli e ambizioni sempre più complicati da governare.
Per potersi stabilizzare ed evitare in futuro sbandate di tipo greco, l'euro ha urgente bisogno di unione economica e politica. Ma come programmare nuove cessioni consensuali di sovranità nazionale dopo quel diktat draconiano, il primo della storia europea post-bellica, che inquina ulteriormente la percezione dell'Europa tra i suoi popoli?
E' questo uno dei maggiori interrogativi che gravano sul futuro dell'Europa ora che la carica deflagrante della crisi greca è stata disinnescata ma ci si avvia a un negoziato complicatissimo per l'esborso di 86 miliardi di prestiti Esm in autunno e di 12 da erogare a giorni per far fronte alle scadenze più imminenti del debito.

L'Europa non ha regalato né regalerà alla Grecia niente che non si sarà faticosamente guadagnato. Si è limitata ad afferrarla per i capelli per non farla affogare: nel proprio interesse prima di tutto. La lezione della crisi è brutale e sonora: nessuno, meno che mai l'Italia del maxi-debito e delle riforme ancora incomplete, dovrebbe prenderla sottogamba.

(dal Sole 24 Ore - 14 luglio 2015)

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