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Se Ankara avvicina l’intesa con Atene

di Adriana Cerretelli

Non è la Grecia di Alexis Tzipras ma la Russia di Vladimir Putin il problema numero uno dell’Europa, si ripete da mesi in molte cancellerie occidentali. Di sicuro, nell’opaca equazione della sua stabilità economica e geo-strategica, da domenica è entrata una terza incognita. Si chiama Turchia.

Dopo la vittoriosa sconfitta di Tayyip Erdogan, l’uomo forte di Ankara che si voleva l’anti-Ataturk, alternativa islamico-ottomana allo Stato laico e occidentalizzato, il Paese cambia rotta e comincia una navigazione incerta, mossa anche dallo storico esordio politico del partito curdo.

Come la Russia, la Turchia non è un Paese qualunque alle frontiere dell’Europa: controlla alcune vie della sua sicurezza energetica, è terra di delocalizzazioni industriali e forte interdipendenza economica. Soprattutto, insieme ma molto più della Grecia, è il custode militare del fianco sud della Nato, a ridosso del grande arco della crisi che si estende dall’Irak alla Siria passando per il Califfato e il Medio Oriente delle ex-primavere arabe per sfociare nel Nordafrica dei nuovi negrieri che rovesciano immigrati nel Mediterraneo.

Alla luce del declino di Erdogan e di un nuovo quadro politico che comincia a delinearsi in Turchia, nasce immediato un interrogativo: aiuterà o complicherà la soluzione del puzzle greco la svolta di Ankara?

Da castello di Elmau ieri il messaggio del vertice del G-7 è stato univoco e inequivocabile: la Grecia deve fare le riforme perché tutti vogliono che resti nell’euro, dall'America di Barak Obama alla Germania di Angela Merkel , dalla Francia di Francois Hollande all’Italia di Matteo Renzi fino al Canada e al Giappone. Oggi nessuno dei Grandi dell’Occidente è infatti disposto a rischiare incidenti, dalla conseguenze imprevedibili, sulla strada di una ripresa economica, europea e mondiale, che resta fragile. Tutti quindi vogliono un accordo al più presto per evitare che l’incertezza continuata alimenti troppo gli appetiti dei mercati.

Nella fretta di chiudere però incide molto, anche se resta sotto traccia, la componente geo-strategica: fino a quando in Ucraina gli accordi di Minsk non saranno rispettati, e finora non lo sono, fino a quando saranno praticabili solo le sanzioni e non la normalizzazione dei rapporti con la Russia di Putin (che tra l’altro non esita a mestare nei torbidi della crisi greca per dividere l’Ue), l’Europa tutto può auspicare fuorché la proliferazione delle instabilità dai confini orientali a quelli meridionali. Tanto più ora che le elezioni in Turchia potrebbero aprire un nuovo corso, dalle ripercussioni ignote in una regione tellurica, da troppi anni malata di guerre, terrorismo, povertà e disperazione.

Da mesi la Merkel ha capito, gli americani lo sanno da sempre, che Grexit non è un’opzione: perché sancirebbe la fine dell’irriversibilità dell’euro, con esiti alla lunga letali per il medesimo. E perché, priva di un’euro-difesa autonoma e con gli Stati Uniti che da troppi anni nell’ambito Nato ne sollecitano invano maggiori impegni militari, l’Europa non può permettersi nessuna rottura di equilibri sul delicatissimo fianco greco, bastione della sua sicurezza nell’area balcanica e tradizionale porto di approdo dell’immigrazione, che potrebbe altrimenti diventare incontrollata.

Dunque anche la geo-politica oggi preme per un rapido accordo con la Grecia di Tzipras. Sbaglierebbe però chi ad Atene pensasse che alla fine le verrà regalato, quell’accordo, complici le incertezze che si accumulano sull’orizzonte europeo. Ma sbaglierebbe anche chi pretendesse di sottoporre un paese prostrato a un elettroshock infinito di rigore e riforme con l’intento di trasformarlo in un campione di equilibrio e di virtù economiche, magari in una specie di ineccepibile Lussemburgo del Mediterraneo. Equivarrebbe a una passeggiata nell’irrealtà europea.

Piaccia o no, nell’Europa vera, quella teoricamente regolata dal principio dell’unità nella diversità, ogni paese ha la sua identità e le sue potenzialità, difetti compresi. Un patrimonio da preservare, non da ridurre a poche sfumature di grigio, a un pianeta in gramaglie dallo scarso sviluppo e incerto futuro. Proprio per le troppe instabilità che la circondano, l’Europa oggi ha urgente bisogno di consenso e coesione interna. Di riscoprire la fiducia in se stessa. Il vertice Ue di domani a Bruxelles, dove si parlerà ancora di Grecia, potrebbe essere l’occasione buona per farlo.

(dal Sole 24 Ore – 9 giugno 2015)

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