logo Fucinaidee

Commento introduttivo

Come noto, la Corte Costituzionale - con La sentenza 70/2015, depositata in data 30 aprile 2015, ha dichiarato l’illegittimità del blocco della perequazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il minimo Inps, imposto per gli anni 2012 e 2013 dalla Legge Fornero.

Intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali della proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36, primo comma, Cost.) e dell’adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.).
questa, tecnicamente, la motivazione della decisione.

Vediamo cosa recitano i due commi.
- Art.36 comma I: "Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa."
- Art.38 comma II: "I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria."

E' evidente che la sentenza avrà immediati effetti sia sul piano finanziario sia sul piano sociale con il riacutizzarsi del conflitto intergenerazionale.

È da evidenziare che la Corte ritiene non fondata la questione di costituzionalità per violazione degli artt. 2, 3, 23 e 53 Cost., in relazione alla presunta natura tributaria della misura. Infatti, a parere della stessa, l’azzeramento della perequazione automatica non è riconducibile a una prestazione patrimoniale di natura tributaria, mancando gli elementi indefettibili della medesima. In particolare, posto che un tributo consiste in un «prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva», il blocco della rivalutazione dei trattamenti pensionistici, invero, non prevede un prelievo a carico del pensionato. Inoltre, la norma non è volta alla copertura della spesa pubblica, bensì determina esclusivamente un risparmio di spesa.
L’attenzione dei Giudici si posa invece sulla discrezionalità di cui gode il legislatore in relazione alla possibilità di incidere sul trattamento previdenziale, attesa la necessità di osservare il principio costituzionale di proporzionalità e adeguatezza delle pensioni.

I giudici, infatti, evidenziano come il meccanismo perequativo sia uno strumento di natura tecnica, che tende a garantire l’adeguatezza di cui all’art. 38 Cost. e, contemporaneamente, favorisce la salvaguardia del principio di sufficienza della retribuzione di cui all’art. 36 Cost., ben applicabile ai trattamenti di quiescenza, intesi quale retribuzione differita.
Per tale motivo, a parere della Corte, il trattamento pensionistico, riconosciuto come retribuzione differita, cui si applica il criterio di proporzionalità (art. 36, primo comma, Cost.) e il criterio di adeguatezza (art. 38, secondo comma, Cost.), non può essere oggetto di misure non omogenee e irragionevoli. Ciò a maggior ragione quando si accresce la speranza di vita e quindi aumentano le attese dei beneficiari in ordine alla esigenza di condurre un’esistenza libera e dignitosa.
Pertanto, la citata discrezionalità del legislatore trova un limite nel criterio di ragionevolezza, in relazione ai principi contenuti negli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, Cost. Limiti di ragionevolezza che, secondo i Giudici, risultano superati nel dettato della norma oggetto di censura, che crea pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento previdenziale vanificando anche le aspettative nutrite dal lavoratore.

Dico subito che personalmente sono fra coloro che trarranno vantaggio dalla decisione della Corte. Ebbene, saro' anche autolesionista, ma mi pare non si possano ignorare alcuni elementi di fondo sui quali risulta difficile non interrogarsi.
Se è vero che esiste un limite alla discrezionalità del legislatore e se è altrettanto vero che tale limite si riscontra nella necessità di preservare - ragionevolmente - i principi di proporzionalità e adeguatezza tutelati dalla Carta Costituzionale, come sarà possibile tutelare in futuro tale valori, posto che i trattamenti previdenziali, causa un computo prettamente contributivo, saranno ben al di sotto di quelli ordinariamente riconosciuti sinora?
In che termini sarà possibile riconoscere la proporzionalità del trattamento previdenziale, inteso come retribuzione differita, in ordine alla quantità e qualità del lavoro prestato, quando coloro che oggi versano la contribuzione sono chiamati a far fronte anche agli squilibri che un sistema previdenziale “drogato” ha accumulato negli anni passati?
In che termini si potranno costituzionalmente giustificare come “adeguati” trattamenti previdenziali che attesteranno su tassi di sostituzione ben inferiori a quelli oggi riconosciuti?

Il dibattito di questi giorni attesta le difficolta' per far tornare i conti. Vedremo cosa decidera' il governo e vedremo le valutazioni di Bruxelles.
Speriamo che al termine della vicenda, i sacrifici richiesti non siano superiori ai benefici. E peggio ancora sarebbe se a pagare fossero categorie estranee al provvedimento in questione.
Sarebbe un brutto segnale nella direzione di un ulteriore allargamento del crinale che separa le generazioni, e i protetti da coloro che dalle protezioni sono esclusi.
Speriamo che cio' non accada: la societa' italiana in questo momento non ne avrebbe proprio bisogno.

A conferma delle mie perplessita', propongo ai lettori di Fucinaidee una riflessione del Prof. Sabino Cassese, Giudice emerito della Corte Costituzionale e professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa.

Paolo Razzuoli

Pensioni, le strade possibili della Corte costituzionale

di Sabino Cassese

La sentenza della Corte costituzionale sulla rivalutazione monetaria delle pensioni sta suscitando molte critiche. La difendono solo i sindacati (ma questi fanno il loro mestiere, essendo ormai associazioni di pensionati) e le parti politiche che sperano in una buccia di banana per il governo. Mi paiono fuori centro le critiche di sconfinamento della Corte, con conseguente svuotamento dei poteri del Parlamento. Il compito della Corte è, infatti, proprio quello di assicurare che le leggi siano conformi alla Costituzione, annullandole quando non la rispettano. Gli autori di questa critica vorrebbero fare a meno del garante della Costituzione, facendo così un salto indietro di duecento anni nella storia del costituzionalismo.

Più ragionevoli le critiche al modo in cui ha proceduto la Corte in questo caso. La decisione presa ha implicazioni molto gravi per il bilancio dello Stato. La Corte, in un passato abbastanza lontano, si era dotata di uffici che valutavano le conseguenze finanziarie delle sue decisioni. Riteneva, quindi, di dover svolgere il suo ruolo di tutore della Costituzione bilanciando la tutela dei diritti con quella dell’equilibrio finanziario, da cui anche discendono diritti. In passato, più volte ha atteso e rinviato, aiutando contemporaneamente Parlamenti e governi a definire e tutelare i diritti dei cittadini, ma senza provocare buchi nel bilancio. Solo due mesi fa, la Corte ha adottato una importante sentenza con effetti solo per il futuro, perché altrimenti «si determinerebbe una grave violazione dell’equilibrio di bilancio ai sensi dell’art. 81 della Costituzione».

Un bilanciamento diritti- costi è necessario, in particolare, quando vi sono diritti a prestazioni che - come ha osservato Mario Monti - non sono più sostenibili (correndo, in più, il pericolo di una messa in mora da parte della Commissione europea). E quando - come in questo caso - i costi di una sentenza debbono necessariamente essere compensati dalla riduzione di altri diritti sociali; ad esempio, limitando le prestazioni in materia di istruzione o sanitaria. La Corte non era obbligata a scegliere tra due sole soluzioni. Aveva molte alternative. Avrebbe potuto ripetere il monito (la messa in mora che la Corte fa quando non vuole produrre gli effetti immediati e traumatici che derivano da un annullamento), già fatto in precedenza in materia di pensioni, come è accaduto negli ultimi anni in materia elettorale.

Avrebbe potuto fare una sentenza chiamata, nel gergo, additiva di principio, cioè stabilendo il principio della rivalutazione anche per le pensioni di livello pari a tre volte la minima, ma lasciando a governo e a Parlamento il compito di scegliere come provvedere. Così ha fatto molte altre volte. Avrebbe potuto agganciarsi ad altre norme che stabiliscono soglie e scaglioni diversi, graduando gli effetti concreti della propria pronuncia. Anche questo tipo di decisioni manipolative ha molti precedenti. Avrebbe potuto, infine, non comportarsi come Giove pluvio, facendo trovare gli organi di spesa dinanzi al fatto compiuto (uno dei più acuti giudici costituzionali americani ha scritto un libro per dimostrare che la forza delle corti supreme sta nella loro capacità di collaborare con gli altri poteri dello Stato).

(dal Corriere della Sera - 12 maggio 2015)

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina