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Quelle complicità nei cortei di protesta

di cesare martinetti

Guardiamo le carcasse carbonizzate delle auto per le strade di Milano, le vetrine sbriciolate di banche e negozi, le facciate annerite degli edifici, camminiamo sulle schegge delle molotov, sentiamo l’odore di una guerra combattuta.

E dobbiamo prendere atto che una frattura profonda si è consumata nel nostro modo di vivere. E succede nei dintorni di un luogo emblematico di un’altra rottura, via De Amicis, dove il 14 maggio 1977 fu scattata la fotografia ora scolpita negli anni di piombo della storia italiana: l’autonomo Memeo che con le mani giunte e le ginocchia piegate impugna la pistola; accanto a lui il compagno Ferrandi detto «Coniglio» spara il colpo che ucciderà il brigadiere Antonio Custra. E’ il battesimo di fuoco di una generazione.

Sono passati 38 anni, è cambiato il mondo, ma siamo di nuovo entrati in una specie di guerra. E quello che è accaduto a Milano è un tornante simbolicamente anche più forte del tragico G8 del 2001 a Genova. Perché se là c’era riunita la mitica «Spectre» degli otto padroni del mondo, che in una logica di antagonismo politico poteva giustificare la contestazione; qui a Milano c’è invece l’Expo dedicata al cibo e alla nutrizione del pianeta, il 90 per cento del mondo in mostra, paesi ricchi e paesi poveri, riuniti in un confronto che, come ha scritto ieri su La Stampa Alberto Mingardi, guarda a un modello di sviluppo «sostenibile» e dunque simile a quello che vogliono i suoi paradossali contestatori.

Ma non è questo confronto che interessava a coloro che hanno manifestato nel centro di Milano. Poteva esserci Gesù Cristo in persona a moltiplicare i pani e i pesci – e peraltro quello che per i credenti è il suo vicario, Francesco, ha fatto sentire la sua voce – e i black bloc avrebbero comunque indossato le loro tristi tute nere. Sono frange di un’internazionale nihilista, da una ventina d’anni appaiono e scompaiono, legati in Rete da network sostanzialmente anarchici, sono i demoni del nostro presente, ci richiamano al sottosuolo di una società che – fu – del benessere.

Ma quello che è accaduto venerdì a Milano suscita qualche interrogativo in più. Innanzitutto il comportamento delle forze dell’ordine. Per la prima volta in situazioni di questo tipo si sono tenute ai margini, non ci sono state cariche, i teppisti neri hanno avuto campo libero. Perché? Possiamo immaginare che abbiano soppesato i rischi di uno scontro e valutato di scegliere il male minore. Non ci sono stati morti – per fortuna – solo qualche contuso. Ma possiamo immaginare anche che dopo la vergogna della Diaz a Genova e la dura condanna dell’Italia pronunciata dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo per non aver sanzionato i colpevoli, sia sorta tra i dirigenti della polizia una remora di nuovo tipo. Se gli agenti avessero accettato lo scontro fisico con i manifestanti, nelle fotogallery dei siti e sui giornali di oggi invece dei black bloc che indisturbati mettono a ferro e fuoco la città, le immagini dominanti sarebbero state le botte della polizia e magari qualche testa sanguinante sotto i colpi dei manganelli. È lecito pensare che in questura o al Viminale si sia scelto di non rischiare una nuova carneficina di lacrime, sangue e mass media. Legittimo, ma la polizia nel rispetto della legge deve riempire il suo ruolo, che sia il derby di Torino o la manifestazione di Milano. E bisogna aggiungere che alla vigilia un po’ di questi invasori, provenienti anche da Spagna e Francia, Germania e Grecia, pur presi con armi e bastoni, dopo un breve fermo sono stati rilasciati dalla procura con l’invito ad abbandonare l’Italia entro dieci giorni. Si è voluto dar loro il tempo di partecipare alla festa?

E va detto qualcosa anche sui Noexpo pacifici, con la premessa che contestare qualunque manifestazione, qualunque governo, qualunque politica è un diritto da difendere: nel nostro paese manca a tutti una vera opposizione, intelligente e costruttiva. Siamo certi che la maggioranza di coloro che venerdì voleva manifestare legittimamente contro i gigantismi, gli sprechi, i ricorrenti (e spesso fondati) sospetti di corruzione, si sente ora ferita e svilita dai black bloc. Però dopo tutti questi anni in cui le cose si ripetono, qui e là, sempre più o meno uguali, siamo autorizzati a pensare che una parte di loro – per ingenuità o per dolo – sia complice. C’è una vasta zona grigia che non vede e fa finta di non vedere, anzi convinta che il contorno di ferro e di fuoco faccia bene alla causa. Dai filmati pubblicati sui siti internet si vede chiaramente che i «neri» sono stati protetti da un cordone di «bianchi», grazie ad essi hanno potuto indossare le loro maschere, compiere la loro missione, poi svestire le tute nere, abbandonarle sull’asfalto come sul set di uno spettrale film di Cronenberg e sciogliersi nuovamente invisibili e impuniti tra la folla.

Allora: che l’orrenda seconda giornata di Milano serva almeno a questo. Basta con manifestazioni che contengono la premessa di una violenza insopportabile, a Milano e ovunque. Se gli organizzatori non possono garantire un servizio d’ordine efficace e responsabile, che si manifesti in un’area lontano da persone e cose che nulla hanno a che fare con loro. Manifestazioni libere, contro tutto e tutti, ma senza ferro e fuoco.

E infine un’ultima cosa: una violenza così cieca e distruttiva non è giustificabile. Ma è la politica a dover dare risposte al sentimento diffuso di ingiustizia e di frustrazione; invece dal palazzo arrivano gli echi di un cortocircuito autoreferente e ormai incapace di trasmettere un qualunque orizzonte umano. Tra la politica e la vita delle persone si è consumato un divorzio che la crisi economica ha trasformato in abisso e di cui i black bloc di Milano sono solo i cupi figuranti. I partiti e i sindacati nel 1977 portavano in piazza milioni di persone contro i «conigli» dell’epoca; oggi la zona grigia che li protegge si sta allargando. Non saperlo vedere è una colpa: se la politica è solo un richiamo all’ordine e ai numeri e non tocca il cuore e la mente della gente che politica è?

(da La Stampa – 3 maggio 2015)

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