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Un progetto Paese. La fiducia che nasce da Milano

di Giangiacomo Schiavi

Che sia, come ha scritto l’ Economist , un benefico caos. Un ingorgo di umori e visioni per il futuro, un condensato di segnali che aiutano a sperare. Al netto dei ritardi, degli intoppi e degli scandali è il giorno dell’Expo finalmente, il giorno di Milano e dell’Italia, dei padiglioni da scoprire e dei disagi da evitare, la prova d’efficienza per una città e un Paese. Balliamo sul mondo, adesso. E il mondo ci offre un inaspettato credito, si aspetta un segnale, una sintesi per ridefinire un modello di sviluppo che premia esageratamente i Paesi ricchi e punisce ingiustamente quelli poveri. Chi vede l’inutilità o solo il peggio di un evento che attraverso il messaggio del cibo può diventare la vetrina del sapere, delle conoscenze, del fare, dell’arte e della cultura italiana, dimentica che Expo è l’unico treno che passa per dare uno schiaffo al pessimismo della crisi: senza ci resterebbero le polemiche sull’Italicum e la triste contabilità dei morti sui barconi nel mare di Sicilia.

Milano è in bilico tra speranza e paura, tra la voglia di stupire e i timori sulla sicurezza. La cattiveria globale ha concentrato in centro e davanti al sito espositivo i duri del movimento antagonista: l’allarme per i black bloc è alto, il timore di disordini anche. Ma la città guarda altrove, da tempo ha cambiato umore, è più viva, aperta, internazionale, è diventata un incubatore di tendenze, come scrive il New York Times, un luogo dove non si può non esserci nel 2015. L e ferite della crisi hanno lasciato i segni, come le inchieste sulla corruzione e sugli appalti, ma se c’è una ripartenza possibile, uno scatto d’orgoglio, un impegno comune sui diritti e sulla legalità, un messaggio di discontinuità contro i predoni della terra e dell’acqua, in questo momento si può cercare qui, nella città che si espone al mondo e nel chilometro e mezzo del sito di Rho Pero dove si incrociano le diversità della Terra.

Anche con i suoi limiti e il travagliato avvio, Expo è l’epicentro di una svolta possibile per orientare i nuovi bisogni, come auspica il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e caldeggia il premier, Matteo Renzi: «Dobbiamo essere all’altezza del nostro passato», ha detto. La memoria è il sentiero attraverso il quale si entra in Expo: il padiglione Zero è un archivio di sentimenti che utilizza il cibo come strumento di vita, conoscenza, relazione, condivisione. Il cibo parla di noi e delle nostre relazioni, racconta storie, di contadini e di artigiani, di lavoro e di guadagni. Ci dice anche che oltre un miliardo di persone non vivono, ma sottovivono tra fame e carestie e che lo spreco alimentare è una bestemmia che deve finire. Non è facile nutrire un pianeta in cui la popolazione cresce e la produzione non riesce a tenere il passo. Non è semplice trovare un sistema per ridurre gli sprechi e combattere le diseguaglianze. Non ci può essere la presunzione di risolvere in sei mesi quel che non è stato risolto in anni di politiche sbagliate sull’agricoltura, sul consumo dell’acqua, sulla difesa delle terre coltivate. Basterebbe che Expo diventasse il punto di svolta per la sicurezza alimentare, la tracciabilità del cibo, la difesa dell’immenso patrimonio agricolo mangiato dal cemento e la valorizzazione dei nostri territori. O che riuscisse a scalfire il cemento della stupidità dell’uomo che porta al disastro ecologico, come sostiene Ermanno Olmi, che nel video per l’Esposizione ha messo una scena di Miracolo a Milano , quel neonato trovato tra i cavoli di un orto urbano: un residuo di umanità. Oggi i bambini finiscono nei cassonetti.

È opinione diffusa che ogni summit, da quello sul clima a quello sulle povertà, si conclude con appelli che lavano la coscienza di chi li fa, ma restano inattuati. Per l’Expo c’è la Carta di Milano . Dev’essere qualcosa di più di una sottoscrizione: il Manifesto della Terra e della società civile contro la fame, la malnutrizione e le guerre. Servono nuovi parametri, di qualità e di equità: anche le migrazioni che rischiano di diventare ingovernabili devono trovare risposte, ci auguriamo adeguate, dai leader del mondo e dagli scienziati del cibo. I volontari, che avranno qui una sede permanente, hanno l’opportunità di farsi sentire. Come i giovani, ai quali l’esposizione dovrebbe essere dedicata: sono loro il biglietto d’ingresso nel futuro.

(dal Corriere della Sera - 1 maggio 2015)

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