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La morte di Lo Porto. Il nemico non è l’America

di Angelo Panebianco

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, porgendo le scuse alle famiglie, nella sua qualità di comandante in capo delle forze armate, si è assunto la responsabilità per la morte dei due cooperanti Giovanni Lo Porto e Warren Weinstein. Speriamo che a nessuno, qui da noi, venga in mente di spedirgli un avviso di garanzia. I precedenti non mancano. È il caso, ad esempio, della mirabolante inchiesta giudiziaria degli anni Novanta denominata Cheque to Cheque, a proposito di un supposto traffico d’armi internazionale. Quell’inchiesta, naturalmente, finì come doveva finire, ossia in niente. Ma tenne per mesi e mesi le prime pagine dei giornali anche perché era stata condita e «caricata» con indagini su personalità internazionali varie, dall’allora leader nazionalista russo Zhirinovski all’arcivescovo di Barcellona.

Non accadrà anche a Obama (si spera) ma ciò che rende una tale eventualità non del tutto implausibile è il clima che si respira oggi nel nostro Paese. Sembra, ad ascoltare certi commenti, che gli americani siano il «nemico», i veri assassini. Assassini reticenti, per di più: il principale tema in discussione è se Obama sapesse o non sapesse e, nel caso sapesse, perché non l’abbia detto prima. Si perde così di vista l’essenziale. E l’essenziale è che se anche gli americani hanno commesso un errore (e chi non ne commette in guerra?) i nemici, gli assassini, non sono loro: sono coloro che hanno rapito, imprigionato per anni e mai rilasciato Lo Porto e Weinstein.

Perché questa semplice e incontrovertibile verità fatica ad affermarsi? Fondamentalmente, perché la legittimità dell’azione militare occidentale contro i gruppi jihadisti nelle varie parti del mondo è contestata o non accettata da rilevanti settori del Paese. Si guardi a come molti parlano della guerra in Afghanistan. Facendo di tutta un’erba un fascio la mettono insieme all’invasione dell’Iraq. Sarebbe anch’essa, nient’altro che una «guerra di Bush». Dimenticando che se certamente l’Iraq è un caso controverso, che ha fin dall’inizio diviso l’opinione pubblica occidentale, questo non è vero per l’Afghanistan. Gli americani intervennero in Afghanistan a seguito dell’11 settembre 2001 proprio perché lì era stato concepito e organizzato quell’attacco. Se c’è stata una guerra con tutti i crismi della «guerra giusta» (così come è stata codificata dal cristianesimo medievale) questa è stata senz’altro la guerra d’Afghanistan.
Ma il fatto che questo aspetto non venga riconosciuto o sia stato dimenticato contribuisce a spiegare la diffidenza e il distacco con cui le azioni americane anche in quella parte del mondo vengono guardate da certi settori dell’opinione pubblica italiana: una diffidenza e un distacco tanto più sgradevoli e fuori luogo se si tiene conto del ruolo attivo che i nostri militari hanno avuto e tuttora hanno in Afghanistan e del tributo di sangue pagato in quella missione da tanti nostri soldati.

Difficoltà a distinguere fra gli americani e i veri nemici, difficoltà ad accettare la piena legittimità delle azioni militari di contrasto ai gruppi jihadisti nei vari luoghi ove si combatte, ci fanno correre, qui e ora, un gravissimo rischio. Il rischio è quello del disarmo morale di fronte a una aggressione jihadista che ha ormai anche noi italiani nel mirino (non avevamo certo bisogno degli arresti di jihadisti di qualche giorno fa per averne la conferma).
Il rischio è quello di restare psicologicamente, e quindi anche praticamente, impreparati di fronte alla minaccia. Ci sono dalle nostre parti parecchi aspiranti Don Ferrante (il personaggio manzoniano che attribuiva la peste ad influssi astrali anziché al contagio), gente che si rifiuta di riconoscere la natura del male e le ragioni per cui si propaga, gente che non vuole guardare in faccia la realtà, che preferisce aggrapparsi alla rassicurante idea secondo cui la guerra dei jihadisti abbia un solo vero nemico: gli altri musulmani. I Don Ferrante non vogliono sentirsi dire che i nemici dei jihadisti, invece, sono di due tipi: i musulmani corrotti dalla modernità e il mondo occidentale (i crociati) epicentro di quella modernità.
Forse è arrivato il momento di svegliarsi. I nemici ci sono, e non sono gli americani. Ed è un peccato che non bastino gli avvisi di garanzia per fermarli.

(dal Corriere della Sera - 27 aprile 2015)

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