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È al capolinea l’Europa dei piccoli passi

di Adriana Cerretelli

Se è vero, come è vero, che l’Europa riesce a fare passi avanti soltanto quando arriva sull’orlo del burrone, questa volta si potrebbe essere molto ottimisti sul suo futuro. Al momento, infatti, di precipizi davanti non ne ha uno ma due.

La Grecia di Alexis Tsipras che, se tirerà troppo la corda pensando di stare a un tavolo di poker invece che a una partita negoziale regolata da Trattati e patti precisi e vincolanti, finirà per fare default trascinando nella sua caduta coesione, irreversibilità e credibilità dell’euro, con tutte le incognite del caso.

E la Russia di Vladimir Putin, la sfinge che da un anno non cessa di mestare nelle disgrazie dell’Ucraina, di fare la guerra parlando di pace, firmando gli accordi di Minsk dopo aver annesso la Crimea e poi alimentato, imperturbabile, la secessione del Donbass e domani chissà di cosa ancora.

Raramente per l’Europa una giornata ha avuto una carica di potenziale portata storica come quella di ieri, con la riunione straordinaria a Bruxelles dell’Eurogruppo per discutere le richieste ufficiali di Atene ai partner e, nelle stesse ore, l’incontro a Minsk tra il cancelliere tedesco Angela Merkel, i presidenti francese François Hollande, ucraino Petro Poroshenko e Putin. Con la speranza di veder finalmente attuati gli accordi di Minsk finora vilipesi e violati tanto che nei loro cinque mesi di vita hanno cambiato la situazione sul terreno: l’Ucraina si è fatta più piccola, i separatisti con l’appoggio russo non cessano di combattere e allargarsi. Tensione altissima, incomunicabilità diffusa intorno ai due tavoli paralleli. E tra loro il rischio di intrecci pericolosi.

Come ha già fatto con Cipro, Putin corteggia apertamente con profferte di aiuti la nuova Grecia (il suo ministro degli Esteri proprio ieri era in visita a Mosca), la quale coglie la palla al balzo per dire che, se non li otterrà dai partner europei, si rivolgerà altrove, a Russia, Cina e Stati Uniti. Gradassate? Anche: di questi tempi le casse russe non straripano e l’80% dei greci vuole restare nell’Unione. L’Europa comunque non sta solo a guardare. Al vertice di oggi a Bruxelles ha invitato Poroshenko, una scelta politica che è anche uno sgarbo deliberato allo zar del Cremlino. La verità è che è ormai al capolinea l’Europa dei piccoli passi, delle mezze misure, degli accordi ambigui, delle inclusioni “buoniste” a garanzia del quieto vivere, l’Europa che si illudeva che la storia, la geografia e le sue stesse contraddizioni non le avrebbero un giorno tirato brutti scherzi e presentato il conto. Era convinta di cavarsela con l’integrazione selettiva, il mercato unico incompleto e l’unione monetaria senza quella economica e neanche politica, unico caso al mondo di moneta comune e pluricefala. Incassato lo shock della riunificazione tedesca, si era addormentata sul dopo Yalta, certa che l’inviolabilità delle frontiere fosse un dogma intoccabile per tutti, la pace sul continente una conquista eterna e irreversibile, la cultura pacifista una sorta di dovere sociale e l’euro-difesa un diritto troppo costoso e anche inutile con le garanzie della Nato e dello scudo americano.

Improvvisamente il crollo delle certezze, le violente spallate all’ordine costituito, economico e geo-politico, dalla democrazia greca in rivolta contro l’eccesso di rigore e di sacrifici e da un Putin in visibile difficoltà di fronte a un paese allo sfascio, entrambi accumunati dalla stessa accecante emotività nazionalista. E così l’Europa è costretta a guardarsi in faccia, a decidere senza perdere altro tempo, che cosa vuole fare di se stessa e del suo futuro. La sfida di Tsipras può trasformarsi in una provocazione intelligente e costruttiva solo se saprà fermarsi al momento giusto e negoziare con realismo dentro i paletti delle regole europee. Solo così potrà alleggerire il fardello del debito e dell’austerità in Grecia. In caso contrario, Grexit potrebbe essere dietro l’angolo. Tutti i creditori sono in linea e i tempi di un’intesa sono strettissimi: quelli dell’Eurogruppo di lunedì. L’assistenza Ue scade a fine mese e per approvare eventuali modifiche agli accordi il Budenstag sarà in sessione tra il 23 e il 28 febbraio. Con Putin l’Europa è condannata a subire: non è in grado di ristabilire lo status quo ante in Ucraina, le sanzioni non servono. Potrà solo prendere atto, con un futuro accordo Minsk-2, delle nuove frontiere scavate dalla guerra e sperare che questa volta funzioni. Portando davvero la pace e fermando il contagio della destabilizzazione continentale prima che attraversi i confini Ue per colpire i Baltici o qualche paese dell’ex-impero. Comunque la si guardi la lezione della doppia crisi che l’aggredisce è la stessa: non è più tempo di abdicare alle proprie responsabilità rifugiandosi nel gioco degli equivoci. L’Europa a metà non funziona: né in casa né fuori. Sia pure in modo molto diverso, Tsipras e Putin ne sono la prova.

(da Il Sole 24 Ore - 12 febbraio 2015)

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