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Se a rompersi è Forza Italia

di Lina Palmerini

Se il patto del Nazareno si è «rotto» non è frutto di una scelta politica di Forza Italia ma la conseguenza di un partito che al momento non c'è. Annunciare - come ha fatto Giovanni Toti - che il patto è «finito o congelato» è un espediente di comunicazione ma la sostanza politica è che ormai a quell'accordo manca uno dei contraenti: Forza Italia.

Il vero punto è che si è rotto il «patto» dentro Forza Italia, non con Renzi. Chi garantisce per il partito? Silvio Berlusconi non è più in grado di tenere il gruppo e lo si è visto in molte circostanze, l'ultima sul capo dello Stato quando sono mancate molte schede bianche. Da lì è partita l'ennesima resa dei conti tra gli “azzurri” ormai divisi in tre tronconi, o forse più. Ed è questa faida che determina la fine - se definitiva o provvisoria si vedrà - degli accordi sottoscritti con il premier. Se c'è un partito che non può più garantire i numeri è evidente che non può più nemmeno garantire le intese. Non è lo sgarbo di Renzi sul Quirinale ad aver determinato la rottura sulle riforme, ma il fatto che Forza Italia non ha più il suo baricentro nel Cavaliere. Prima era lui che gestiva le guerre interne ma adesso sembra che non abbia ancora deciso da che parte girarsi. Chi porta sul tavolo la questione della linea politica lo fa strumentalmente perché a nessun partito, come a Forza Italia, è così chiaro che la leadership è tutto. E viene prima di tutto: di un programma, di un'alleanza, di un patto. E oggi Berlusconi oscilla, ondeggia ma non decide. E soprattutto quando deciderà lo farà come ha sempre fatto puntando il pollice verso gli sconfitti? O seguirà - sia pure parzialmente - il percorso che gli suggerisce Raffaele Fitto? Lui è il più esposto in questa guerra ed ha una parte di ragione quando chiede un luogo per definire i conflitti, scegliere una classe dirigente o almeno scegliere il modo in cui selezionarla.

Il tema che pone il «patto rotto» con Renzi è che in realtà non ci sono più patti di sindacato dentro Forza Italia. E se ci sono stati finora, non tengono più con il venir meno della forza trainante del Cavaliere. In sostanza, è arrivata sul tavolo la questione se i voti si pesano o si contano. Finora si pesavano, come del resto era nella storia del Pci-Pds-Ds. «Una testa un voto», cominciò a “predicare” Arturo Parisi quando inventò il Pd e le primarie. E Massimo D'Alema gli rispondeva: «Non ci sarà un'ora X in cui tutti andremo ai gazebo». Ha avuto ragione Parisi se chi ha messo nel sacco Berlusconi e Forza Italia è uno come Renzi che viene dalle primarie. Insomma, se in un partito viene meno il carisma del capo, bisogna trovare un modo per sostituirlo e gestire i conflitti interni: non per cancellarli, come dimostra quasi ogni giorno il Pd, ma per dargli un esito. Possono essere gli organismi eletti dal partito o le primarie ma la questione per il Cavaliere è che forse le faide non le domina più con il pollice verso. Ora è evidente che il problema non è la fine del patto del Nazareno, che tra l'altro non interrompe la legislatura. Ma in quali condizioni fisiche Forza Italia arriva alle elezioni regionali di primavera. Se ci va in guerra, la misura con le urne può essere davvero drammatica. Per esempio, si voterà in Veneto, il posto dove più si complica il puzzle delle alleanze con la Lega: l'ultima volta, nel 2010, Forza Italia (Pdl) arrivò quasi al 25% ma alle europee di nove mesi fa era scesa già sotto il 15% (14,71%). Insomma, più che il patto del Nazareno va trovato il modo di ricucire il patto dentro Forza Italia.

(dal Sole 24 Ore - 5 febbraio 2015)

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