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La vittoria rischiosa di Matteo

di federico geremicca

Non si tratta, al solito, di seminare pessimismo e preoccupazione, ma nel giorno in cui la nuova legge elettorale supera al Senato l’ostacolo più difficile e fa rotta verso la definitiva approvazione, l’interrogativo non può essere che questo: quanto tempo ancora potranno reggere equilibri politici che paiono, ormai, definitivamente frantumati?

L’interrogativo sarebbe non da poco in qualunque momento della vita politica del Paese.

Ma è del tutto evidente che assume peso e valore particolarissimi ad una settimana esatta dall’avvio delle votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, infatti, escono personalmente vincitori – se vogliamo dir così – dalla durissima giornata di ieri: ma i loro partiti appaiono ormai incontrollabili, divisi in fazioni, organizzati in correnti e percorsi da sospetti al limite della denuncia penale.

Renzi vince la sua partita sulla legge elettorale perché media con la sua minoranza interna finché possibile: ma poi, di fronte a 47 mila emendamenti, prende atto che il dissenso non è semplicemente di merito, che il vero obiettivo è dare un colpo mortale a lui ed al suo «patto del Nazareno» e dunque accelera, tira dritto e incassa il risultato. Al netto delle ironie e della propaganda di nuovo dilagante, occorre ammettere che la cosiddetta «politica degli annunci» comincia a produrre risultati, qualunque sia il giudizio di merito sui provvedimenti: dal Job Acts alla riforma della Pubblica Amministrazione, fino alle Grandi Riforme (Senato e legge elettorale) qualche risultato si comincia a vedere.

Anche Silvio Berlusconi, se si vuole, vince il suo match: ma è tutt’altro tipo di partita, rispetto a quella del premier. L’ex Cavaliere combatte per la sopravvivenza politica e – non avrebbe senso negarlo – per il futuro delle sue aziende. E’ forse davvero alla sua ultima grande battaglia: Matteo Renzi ce l’ha chiaro e sta cercando di ricavare il massimo dell’utile possibile dal cosiddetto «patto del Nazareno. Da quando lo ha stipulato, il declino elettorale di Berlusconi s’è fatto inarrestabile, come hanno confermato tutte le ultime tornate elettorali: Forza Italia è ormai il terzo, se non il quarto, partito italiano. Una situazione impensabile ancora un anno fa, quando gli uomini dell’ex Cavaliere erano al governo con Enrico Letta...

Ciò nonostante, a Renzi viene contestata dalla minoranza interna una sorta di «intelligenza col nemico». L’accusa ufficiale, insomma, è quella di aver stipulato un patto con l’avversario che conterrebbe clausole inconfessabili e segrete. Vedremo. Per ora la fronda interna a Forza Italia contesta a Berlusconi precisamente il contrario: e cioè di aver svenduto il partito, di averlo trasformato in «una piccola lista civica renziana» (Fitto) e di averne addirittura deciso il suicidio, accettando – cosa realmente incomprensibile – che l’Italicum assegni il suo premio di maggioranza non alla coalizione (come inizialmente concordato) ma al partito che ottiene più voti.

In realtà, è ben altra – e da tempo – l’accusa alla quale, secondo la minoranza, Renzi deve rispondere: aver snaturato il Pd, averlo trasformato in un «partito personale» e spostato «a destra» fin quasi a cambiarne i confini etici (ed è la ragione, per dire, dell’addio di Sergio Cofferati). Quello in atto, insomma, è un vero e proprio «rigetto» di parte del Pd verso il suo segretario. E l’accusa che gli è mossa è di quelle assai pesanti: una sorta di «indifferenza etica» inaccettabile in un leader pd. E’ per questo che in casa democratica volano gli stracci e ci si confronta a base di insulti e provocazioni: parassiti, inciucisti e perfino disonesti...

In tutto ciò, il merito delle questioni resta sullo sfondo. L’Italicum non è certamente la migliore delle leggi elettorali possibili, ma diventerà comunque legge e cancellerà il pessimo Porcellum. Si poteva fare meglio, naturalmente: soprattutto, diciamola tutta, avrebbero potuto fare meglio, in passato, quelli che per anni non hanno messo mano ad alcuna riforma perché il «Parlamento dei nominati», in fondo, stava bene quasi a tutti. Vedremo, comunque, se – come accusa oggi la minoranza pd – il voto di ieri al Senato sancisce davvero la nascita di una nuova maggioranza (politica, intendiamo: perché in materia di riforme costituzionali ed elettorali, maggioranze precostituite non dovrebbero essercene).

Se così fosse, la via dritta – naturalmente – non potrebbero che essere la crisi di governo e, con ogni probabilità, nuove elezioni anticipate. Certo, ci vorrà un Presidente della Repubblica in carica per sciogliere le Camere e permettere il voto. Ma questo è un altro film, le cui scene-chiave si gireranno la prossima settimana. Un altro film. E se anche le premesse non incoraggiano, si spera assai diverso da quello girato in Parlamento giusto due anni fa...

(da La Stampa - 22 gennaio 2015)

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