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2015: l'importanza di continuare a sperare

di Paolo Razzuoli

L'altro giorno, mentre sorseggiavo un caffe' seduto ad un tavolo di un bar di una bella citta' dell'Italia centrale, sono stato attratto da un colloquio di due persone sedute al tavolo accanto. Due persone con profili molto diversi, quanto a struttura di pensiero e modo di rapportarsi ai problemi.
L'una con profilo pessimista, fatalista e rassegnatario; l'altra, invece, piu' ottimista, battagliera, anche se ben distante da qualsiasi facile ottimismo ed illusione.
Figure che rappresentano bene due tipologie di approccio ai nostri problemi: la "Rassegnazione" e la "Speranza".
Per i lettori di Fucinaidee ho cercato di ricostruire questo colloquio che ha spaziato attorno ai principali nodi dello scacchiere interno ed internazionale.

Rassegnazione. - Siamo giunti alla fine delle feste di Natale e di Capodanno. Sono state feste, come ormai da molti anni - con meno luci e con la consapevolezza che concretamente nulla lascia intravvedere l'uscita dalla crisi. L'ultimo Natale pieno di luci in Italia e' stato quello del 2008. Di li' a poco sarebbe iniziata una crisi che dura da troppo tempo: sono ben 14 trimestri che l'economia porta il segno meno. Il rapporto Censis, che puntualmente a dicembre fotografa lo stato di salute del nostro Paese, descrive l’Italia del 2014 come il paese del “capitale inagito”. E non si riferisce solo alle risorse economiche, ma anche a quelle umane. Come puoi pensare che la gente abbia potuto festeggiare in questo clima.

Speranza. - Dici cose sicuramente vere, ma non possiamo rassegnarci ad un avvenire di declino. Sai perfettamente che la crisi ha morso in tutta Europa. Qualcuno, facendo meglio di noi, e' riuscito a far ripartire la crescita, mentre noi siamo ancora al palo. Certamente per noi il quadro e' piu' complesso che per altri, ma e' l'intera Europa chiamata ad interrogarsi sul proprio futuro. Infatti, con una previsione media di crescita annua dell'1%, non si va molto lontano in un mondo globalizzato in cui altri crescono con cifre decisamente superiori. Se l'Europa vorra' reagire ad un destino di declino, dovra' mettere in campo strategie e visioni di ben altro spessore rispetto a quelle viste sinora.

Ras. - Al termine di queste feste in tono minore ti faccio una domanda: perche' non siamo piu' capaci di crescere, perche' non siamo riusciti anche noi a rimetterci in piedi? Mentre dovremmo anche noi avere l'intelligenza e l'umilta' di guardare a cio' che hanno fatto gli altri, ho la sensazione che ancora si ritenga di poterci rinchiudere nella rassicurante ma illusoria ripetizione di gesti e slogan di un passato, certo bello e comodo, ma ormai irripetibile.

Spe. - Come sai la situazione italiana e' particolarmente complessa. La fiducia scende, le tasse non calano, il lavoro e' poco e quello che si trova e' di sovente sottopagato. In compenso la corruzione e il malcostume di molta classe politica godono ottima salute. ricordi quante regioni sono finite sotto inchiesta? Un quadro che certamente non alimenta la speranza in un futuro, che pur non possiamo perdere; una speranza che interpella le forze vive della societa' a ritrovarsi attorno ad un progetto di lungo corso, non certo pensato per dare risposte alle prossime elezioni, ma per costruire un'idea di sviluppo pensata per le prossime generazioni.

Ras. - Ecco un'altro slogan ad effetto. MI dici cosa in pratica vuol dire?

spe. - Non e' un vuoto slogan; e' un modo di assunzione delle proprie responsabilita' rispetto al futuro del Paese. A parole tutti concordano sulla necessita' di una profonda riforma della nostra societa'. Una riforma non solo resa ineluttabile dalla crisi, ma anche necessaria a seguito del modo in cui sono state gestite le cose ormai quasi da mezzo secolo in qua. Volendo sintetizzare, dico che la classe politica e' stata guidata dalla ricerca del consenso elettorale immediato, senza guardare agli effetti a lungo termine delle scelte. Atteggiamento tenuto tanto dai partiti di maggioranza che dal Pci: quest'ultimo sostenendo richieste di cui non aveva comunque la responsabilita' della gestione, i primi accontentando tali richieste, anzi a volte amplificandole, nella rincorsa al consenso. La nostra storia dell'ultimo mezzo secolo (o quasi), e' stata l'apoteosi della spinta delle varie corporazioni, grandi o piccole che siano, e prescindendo dal colore dei governi. Tutte hanno giocato piu' o meno nello stesso modo, ovviamente con grande differenza circa l'entita' degli interessi che sono riuscite a difendere. Pensa alla differenza di trattamento fra pubblico e privato, o anche all'estrema frammentazione di trattamento all'interno di medesime mansioni fra enti pubblici diversi. Una situazione che non ha eguali in nessun altro paese progredito.
Per ripartire, uno dei requisiti indispensabili, (non l'unico), e' la riduzione del debito pubblico, quindi della spesa pubblica, e la riduzione delle tasse. Al di la' della retorica, solo mediante una seria inversione di rotta si potranno affrontare i problemi. Occorre battere il potere di interdizione che oggi hanno troppi soggetti pubblici e non pubblici. Occorre avere il coraggio di ridimensionare significativamente le spinte corporative. Occorre analizzare con raziocinio i vari interessi, sapendoli separare fra quelli meritevoli o non meritevoli di tutela, sottraendosi quindi da spinte di natura lobbistica o, in altri casi, da quel buonismo che a volte ha condizionato le scelte e che, purtroppo, viene alimentato anche dai mezzi di informazione.
Vi e' poi il tema del rapporto fra cittadini e Pubblica Amministrazione. Qui penso che la riforma radicale possa essere riassunta nell'assioma "Non piu' sudditi ma cittadini. Una grande rivoluzione, osteggiata da un apparato che cosi' verrebbe a perdere gran parte della propria intrusivita'.
MI rendo ben conto della complessita' del lavoro da compiere; un lavoro che dovrebbe portare ad una inversione di rotta di abitudini che, se pur molto ampliatesi negli ultimi decenni, affondano le radici nell'intera nostra storia nazionale. Un lavoro che sicuramente, andando a colpire interessi consolidati e potendo portare vantaggi solo nel medio-lungo periodo, e' perdente dal punto di vista elettorale. Occorre quindi una classe politica che trovi il coraggio di ragionare con parametri molto diversi da quelli sinora adottati. Occorre qualcuno che sappia pensare in grande, che non si preoccupi dei risultati elettorali immediati, che abbia la consapevolezza di compiere un lavoro al servizio del Paese e non della propria carriera politica.
In Europa ci sono esempi positivi. Come dicevi tu, occorre avere l'intelligenza e l'umilta' di guardarli, uscendo dalla riproposizione del nostro comodo passato.

Ras. - Pensi forse che in Italia ci siano le condizioni per una siffatta rivoluzione? Forse sei diventato renziano anche tu. Ti ricordo che Renzi ha alimentato molte speranze ma al momento i fatti sono pochi. ti riporto un suo tweet dello scorso aprile: "municipalizzate, sfoltire da 8000 a 1000"; sono ancora 8000; per ora la grande mangiatoia non e' stata toccata.

Spe. - Sicuramente hai ragione, ma non possiamo farci racchiudere nelle stereotipate categorie politiche. A mio avviso l'errore che l'italia ripropone, e' quello di affidarsi ad una sorta di "Uomo della Provvidenza" che in pochi mesi risolve tutto. C'e' bisogno di ben altro, posta la complessita' dei nodi da sciogliere. Non mi sono mai posto il problema se sono renziano o no; ho un'idea dei problemi e delle soluzioni, e giudico in base a questi parametri. Mi pare che Renzi un progetto lo abbia; se poi riuscira' a portarlo avanti e' un altro paio di maniche.
Certo non potra' proseguire ad andare in televisione ad indignarsi come fosse il leader dell'opposizione. E' sul ponte di comando. Se l'equipaggio non e' all'altezza, lo sostituisca.
Le maggiori perplessita' mi vengono dal suo partito e piu' in generale dal quadro parlamentare che dovrebbe sostenerne l'azione politica. Credo che prima o poi i nodi verranno al pettine e faranno scoppiare le contraddizioni, per ora latenti, della situazione. Sono convinto che l'ipotesi riformatrice di Renzi, abbia necessita' del supporto di una forza politica con connotazioni diverse rispetto all'attuale panorama dei partiti in campo. Bisognera' vedere se il premier avra' la capacita' ed il coraggio di farsi carico di scelte sicuramente impegnative. Io credo che nel Paese sussistano le condizioni per scelte di quadro politico innovative, favorite anche dal fallimento delle esperienze dell'ultimo ventennio. Renzi e' giovane e grintoso; ancora ha il consenso della maggioranza degli italiani; ha il diritto di essere creduto allorche' parla di riforme che altri, al governo del Paese, hanno promesso e non fatto. Sicuramente con Renzi c'e' stata una cesura rispetto alla immarcescibile classe politica italiana. Voglio sperare che cio' possa essere il primo passo verso quel rinnovamento di classe dirigente che non potra' esaurirsi solo in un avvicendamento generazionale, ma che dovra' tradursi in un autentico salto di qualita'.

Ras. - Cosi' porti il focus del nostro confronto sui partiti; non vedi che in Italia i partiti si sono ridotti ad "aziende personali"?

Spe. - Credo che questo sia tema centrale dell'analisi italiana. Anche qui si conferma la difficolta' di trovare soluzioni equilibrate. Nella foga di combattere la partitocrazia della prima repubblica, abbiamo gettato il bambino con le acque sporche. Abbiamo distrutto, doverosamente, una partitocrazia pesante ed invasiva, e ci siamo affidati, sciaguratamente, a partiti-azienda, guidati da una leader-ship che li gestisce con criteri feudali. Attento, nella prima parte della nostra storia repubblicana i partiti hanno avuto un ruolo straordinariamente positivo; e' stato all'incirca negli ultimi 20 anni che il sistema e' degenerato. Occorre quindi rifarsi alla migliore storia della nostra politica per immaginare un rilancio dei partiti che, a mio avviso, sono strumenti assolutamente necessari per l'esercizio della democrazia. Voglio qui richiamare la tua attenzione sulla assoluta inconsistenza di certe forme di partecipazione deltutto virtuale, quale l'esaltazione del web. Sono cose pericolose e illusorie, cosi' come sono demagogiche altre ipotesi di democrazia diretta. Io credo che la classe a cui democraticamente viene affidato il compito del governo, debba essere posta nelle condizioni di poterlo esercitare, assumendone tutti gli oneri e gli onori. Al termine del mandato gli elettori giudicheranno. Sara' un sistema imperfetto, ma e' il meno imperfetto di quelli conosciuti. Delresto l'imperfezione e' parte di questo mondo; laddove si sono pensati sistemi aspiranti alla perfezione, si sono create le ben note tragedie.
Per un corretto esercizio della democrazia i partiti sono necessari. Certo partiti leggeri, non estranei all'uso delle moderne forme di comunicazione, ma debbono essere partiti con un'organizzazione ispirata a criteri democratici e non feudali, e vere fucine di formazione politica. Partiti che dovranno essere appetibili per coloro che aspirano a fare politica nel senso migliore del termine, e non per coloro che aspirano ad incarichi elargiti dal feudatario di turno a cui si fa atto di fedelta' e di sottomissione.

Ras. - Ma dicevamo prima che gli italiani si innamorano dell'uomo solo?

Spe. - Si' e' vero, e a questo la societa' dovra' trovare il modo di reagire.
Da quando la leadership ha sostituito la politica, non si procede piu' per convincimenti ma per innamoramenti. Si inizia dall'infatuazione, riempendo la cornice vuota del leader con il quadro dei propri sogni. Poi viene la delusione, quindi il rigetto. Distrutto un leader, avanti il prossimo con la medesima logica dell'infatuazione/delusione/rigetto.
Ebbene, e' proprio su questo che l'Italia deve voltare pagina.

Ras. - Fra poche settimane il Parlamento sara' chiamato ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Avrai sicuramente sentito anche tu cosa ha detto Napolitano nel messaggio dello scorso 31 dicembre. Io penso che questo Parlamento trovera' ancora una volta il modo di spostare piu' in alto l'asticella del ridicolo. Tu che sei piu' ottimista di me, come la vedi?

Spe. - Purtroppo, temo una farsa infinita. Renzi, opportunamente, ribadisce che il presidente deve essere arbitro e non giocatore. Posizione assolutamente condivisibile, ma che vedremo come sara' tradotta in concreto. Trovo assurdo che vengano avanzati nomi di direttori d'orchestra, di giornalisti, o di altre figure del mondo della cultura, come se il quirinale fosse un premio alla carriera. Il mestiere di Capo dello Stato e' tutt'altra cosa. Richiede competenze tecniche, sensibilita' politica e istituzionale, equilibrio, abilita' e competenza diplomatica.
Renzi mi auguro che abbia la capacita' di lanciare una figura forte: ne risulterebbe accresciuta la sua leadership, anche se si troverebbe sulla testa una figura forte. L'altra scelta, quella di una figura debole, gli lascerebbe per intero la scena, ma rafforzerebbe la tesi di coloro che lo indicano come pigliatutto e desideroso di circondarsi di mediocri che non lo possono appannare. Penso delresto che il maggior limite di questo governo sia quello di avere si' idee, ma non le persone per realizzarle. Ci vuole il coraggio di circondarsi di persone capaci, correndo il rischio che pensino con la propria testa.
Speriamo che prevalga il senso di responsabilita', anche se il rischio della farsa, con un Parlamento balcanizzato, e' tutt'altro che peregrino.

Ras. - Veniamo ora allo scacchiere europeo. Hai sicuramente letto che qualcuno comincia ad evocare il fantasma dell'uscita della Grecia dall'Euro. Qualcuno comincia a parlare di Grexit, per indicare le tappe di questo percorso. In Grecia si votera' il prossimo 25 gennaio ed i sondaggi danno in testa la lista anticapitalista di Tsipras. Le borse sono nervose. Ma l'aspetto piu' pericoloso dell'uscita di un Paese dall'Euro penso sia quello della creazione di un precedente che potrebbe coinvolgere, in un effetto domino, altri Paesi. Noi saremmo a questo punto quello piu' vulnerabile. Cosa ne pensi?

Spe. - Sicuramente hai ragione; il 2015 non si apre per l'Europa sotto buona stella. Credo che l'attuale condizione vada vista con grande preoccupazione, ma con la consapevolezza che nel mondo globalizzato l'Europa e' l'unica salvezza per tutti gli europei. Voglio dire che la strada dovra' essere quella di una maggiore integrazione e non quella dello sfascio. So bene che e' difficile, ma so altrettanto bene che solo su quel crinale si potra' vincere la sfida.
Come sai in Europa si stanno verificando novita' di quadro politico. Stanno infatti avanzando una destra antieuropea di Marine Le Pen, e altre forze similari, ed una sinistra anticapitalista, quella da te ricordata di Tsipras in Grecia e Podemos in Spagna. In entrambi i casi penso si tratti di proposte demagogiche e populiste, che guardano al passato e non al futuro.
Se queste risposte sono sbagliate, occorre pero' analizzare con grande attenzione le cause ed il diffuso malessere che le sta alimentando. Analisi che non puo' ridursi alle risposte burocratiche e tecniciste dell'attuale gestione europea. Il montante euroscetticismo, di destra o di sinistra che sia, deve interrogare le forze politiche europeiste sul senso della loro azione. Penso che il rilancio della dimensione europea possa avvenire mediante una proposta che raccolga (non sembri paradossale) intuizioni tradizionalmente appartenenti alle principali famiglie politiche: quella del Ppe, quella del Pse e quella della tradizione liberal-democratica. Penso che sempre piu' il discrimine sara' fra coloro che pensano che il futuro sia in una maggiore Europa, e chi invece vuole sfasciare quello che gia' si e' faticosamente costruito, se pur da posizioni e con esiti divergenti. Penso insomma ad una prospettiva di modifica di un quadro politico che affonda le radici in una fase ormai lontana. Una modifica di quadro che potrebbe ovviamente riflettersi negli scenari dei singoli paesi dell'Unione, stante l'interdipendenza fra quadro politico europeo e singoli scenari nazionali.

Ras. - Ma e' mai possibile che in nome della globalizzazione e del mercato si debbano sacrificare tanti diritti acquisiti?

Spe. - Attento alle semplificazioni. La globalizzazione e' un processo irreversibile. E' il frutto del progresso di cui noi quotidianamente usiamo gli strumenti. Come puoi pensare che il mondo sia uguale al passato quando con un clic del mouse puoi aprire con la stessa facilita' un sito Internet allocato a Pechino o al piano superiore del tuo stesso condominio? Come puoi pensare che non abbia alcuna conseguenza sugli assetti mondiali un contesto in cui tu, con una piccola parabola, puoi vedere in tv canali trasmessi da ogni parte del mondo? Come puoi pensare che il mondo non sia profondamente cambiato quando tu in poche ore e con cifre relativamente modeste puoi spostarti da ogni parte all'altra del pianeta?
La globalizzazione e' un processo irreversibile, come e' irreversibile il riequilibrio della geografia economica mondiale, che vede paesi sino a pochi decenni fa marginali nel teatro economico mondiale, aspirare legittimamente ad un cammino di crescita e di benessere.
Il tema vero non e' quindi essere o non essere favorevoli alla globalizzazione, che e' processo irreversibile. Il tema vero e' la capacita' di governo della globalizzazione, posto che la molteplicita' e complessita' delle situazioni implica strumenti di analisi e individuazione di soluzioni non riconducibili ai paradigmi classici delle dottrine economiche tradizionali. Pensa, ad esempio, al mercato e alla concorrenza. Il pensiero economico classico ne ha elaborato i presupposti dottrinari in scenari caratterizzati da sostanziali condizioni di parita' sociale. Come puoi pensare che possano funzionare in situazioni in cui il costo del lavoro non e' nemmeno comparabile? Altro tema e' quello della finanza, il vero artefice del governo mondiale, capace di determinare il destino di intere nazioni. E' mai possibile che la politica non sappia trovare antidoti ad un potere tanto sterminato?
Come vedi sono ben consapevole dei problemi, ma sono altrettanto consapevole che non servono soluzioni demagogiche e improvvisate, sulla falsa riga degli slogan dei movimenti populisti di destra o di sinistra. Occorrono soluzioni equilibrate, che solo una leadership complessiva all'altezza dei tempi potra' essere in grado di assumere. Una leadership che sappia pensare in grande, trovando il coraggio di sacrificare alcuni interessi immediati sull'altare di uno sviluppo possibile e sostenibile per l'intero pianeta, intendendo con cio' non solo il crinale economico, ma anche quello ambientale.

Ras. - Lo sai che la tecnologia cancella piu' posti di lavoro di quanti riesce a crearne.

Spe. - Tutte le grandi trasformazioni socio-economiche hanno all'inizio creato difficolta' ed hanno trovato forti opposizioni. Fu cosi' anche per la prima rivoluzione industriale, in Inghilterra, nel XVIII secolo, al momento della scoperta dell'energia del vapore per far muovere le macchine. La tecnologia non e' in se' buona o cattiva; dipende dall'uso che se ne fa. E' chiaro che l'organizzazione dei processi produttivi deve saper equilibrare il ricorso alle tecnologie con il rispetto della dimensione antropologica. Se e' vero che l'economia e' l'arte di produrre beni e servizi, e' altrettanto vero che il fine ultimo dell'azione sociale deve essere la valorizzazione della persona umana. Ecco quindi la funzione della politica, oggi piu' necessaria che mai, proprio in ragione della sempre maggior complessita' dei processi da governare.
Ai ragazzi che si affacciano oggi sul mercato del lavoro, e che sono campioni nell'uso di quelle tecnologie, mi sento di dire di cercare il loro futuro nel mondo nuovo, non ripetendo i modelli ormai obsoleti dei loro genitori. Aggiungerei che il problema non e' tanto quello di fare meglio cio' che altri gia' fanno, ma di fare meglio che possono qualcosa che ancora non ha fatto nessuno.
Cio' detto, poiche' la vita non e' un continuo "X factor", e che tutti non possono essere fenomeni, la comunita' deve garantire condizioni di vita dignitosa per tutti, quindi anche per i mediocri.

Se con il crollo dei muri l’Occidente opulento era perfino arrivato a parlare di “fine della storia” coltivando l’idea tenacemente ricorrente del progresso ineluttabile, oggi l’illusione è crollata sotto i colpi di una storia tragica che ripropone le terribili violenze del passato, anzi sembra averne escogitate delle nuove. Con implacabile tempestività e precisione i mass media ce ne danno notizia in tempo reale e noi non abbiamo neanche la possibilità di assimilare le une che già le altre ci sovrastano.

Spe. - Certo i motivi di preoccupazione non mancano. In particolare, vorrei dire il Califfato e i vari cani sciolti dell'estremismo islamico, ma anche le numerose situazioni di instabilita' del mondo arabo. Dobbiamo alzare il livello di guardia senza cedere alla tentazione di rinchiuderci dietro un muro.
Vi e' poi l'annosa questione israelo-palestinese, sempre sull'orlo dell'incendio, e le conseguenze che potrebbero risultare gravide di pericoli, delle complicazioni intervenute fra mondo occidentale e russia. Questione che dovra' trovare equilibrio da parte di entrambi i protagonisti, al di la' di tentazioni egemoniche e di arroganze che potrebbero dare la stura alla corsa ad un riarmo dalle conseguenze imprevedibili.

Ras. - Hai un bel dire tu. Tornando sulla situazione italiana, resto davvero molto preoccupato. Non credo ci siano possibilita' di rinascita, a meno che i cambiamenti non vengano direttamente dall'Europa. I nostri politici i quali altro non sono se non lo specchio della popolazione italiana, sono ormai incapaci di ogni scelta coraggiosa. Il nostro è un popolo vecchio che ha finito ormai di scrivere la storia. I cervelli fuggono all'estero dove trovano strade aperte e liberta' d'azione. L'Italia e' un paese ammorbato da uhn insopportabile tasso di veleni e di sospetti, in cui il discorso pubblico e' arrivato ad un livello di inquinamento e di fango insopportabili.

Spe. - Il tuo pessimismo e' veramente tanto. Ti rispondo con un frammento del messaggio augurale di Giorgio Napolitano:
"Guardando ai tratti più negativi di questo quadro, e vedendo come esso si leghi a debolezze e distorsioni antiche della nostra struttura economico-sociale e del nostro Stato, si può essere presi da un senso di sgomento al pensiero dei cambiamenti che sarebbero necessari per aprirci un futuro migliore, e si può cedere al tempo stesso alla sfiducia nella politica, bollandola in modo indiscriminato come inadeguata, inetta, degenerata in particolarismi di potere e di privilegio. Non può, non deve essere questo l'atteggiamento diffuso nella nostra comunità nazionale. Occorre ritrovare le fonti della coesione, della forza, della volontà collettiva che ci hanno permesso di superare le prove più dure in vista della formazione del nostro Stato nazionale unitario e poi del superamento delle sue crisi più acute e drammatiche. Il Centocinquantenario dell'Unità si è perciò potuto celebrare - non dimentichiamolo - con orgoglio e fiducia, pur nella coscienza critica dei tanti problemi rimasti irrisolti e delle nuove sfide con cui fare i conti. Un recupero di ragionata fiducia in noi stessi, una lucida percezione del valore dell'unità nazionale, sono le condizioni essenziali per far rinascere la politica nella sua accezione più alta, per rendere vincente quell'impegno molteplice e di lunga lena che i cambiamenti necessari all'Italia chiaramente richiedono".

Ras. - Quale pensi sia la piu' grande emergenza italiana?

Spe. - Ti rispondo, senza esitazione: Quella occupazionale. Se si comincera' ad invertire il trend negativo dell'occupazione, penso che il sistema paese si rimettera' in moto; diversamente il rischio di un avvitamento verso il basso e' veramente alto.

Ras. - Io rimango della mia idea, ma ovviamente spero che tu abbia ragione e che qualcosa possa cambiare in meglio.

Spe. - Non sono ingenuo da non rendermi conto delle difficolta'. Ma dove finisce la speranza finiscono la storia e la vita.
Vorrei chiudere il nostro colloquio con Giacomo Leopardi, che Cosi' conclude il serrato Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere:
«Quella vita che è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Con l’anno nuovo, il caso comincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri e si principierà la vita felice. Non è vero?” “Speriamo”».

Lucca, 6 gennaio 2015)

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