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La necessità di una destra normale

di giovanni orsina

Per chi ritiene che prima la politica italiana ritrova un assetto bipolare, meglio è, questa è stata una buona settimana. Buona perché la crisi del grillismo lascia cautamente sperare che il «terzo incomodo», rivelatosi quanto mai sterile, sia destinato a ridimensionarsi.

E buona perché, sulla spinta delle regionali, l’encefalogramma dell’emisfero politico destro, rimasto per mesi piatto o quasi, ha cominciato a dare qualche pallido segnale. Questo lascia molto (davvero molto) timidamente sperare che Renzi non rimanga privo di opposizione fino al 2023. E magari che certe esigenze di destra che vanno montando in Italia, così come in tante altre terre d’Europa, possano essere affrontate con realismo e civiltà, e non finire rinchiuse in un circolo vizioso di estremismo e violenza.

«Inventato» ad Arcore, il centro destra è sempre stato Berlusconi-dipendente. Di politica al suo interno se n’è fatta pochina: la politica la faceva per tutti il Presidente. Gli eventi di questa settimana – l’affermazione della Lega, la fronda in Forza Italia – rendono legittima una domanda: che sia infine giunta l’ora? L’ora nella quale l’indebolirsi del Cavaliere e l’affermarsi di concorrenti politicamente autonomi proiettano il centro destra nell’età del post-berlusconismo? Perché in fondo, seppure in maniera caotica, non si può dire che nel frattempo a destra non sia salita in scena una nuova leva. Certo, nessuno può nemmeno lontanamente sognarsi di veder spuntare, fra Alfano, Fitto, Meloni, Salvini, Tosi o Toti, l’uniforme del général de Gaulle o la borsetta di Mrs Thatcher. Però questi sono i tempi. E in questi tempi, questa è la generazione che dovrà giocarsi il futuro del centro destra.

Bisognerà avere pazienza per vedere come evolverà questo gioco. Berlusconi, per altro, è celebre per la sua tenacia e capacità di reinventarsi – e i suoi interventi di questi giorni non sono affatto quelli d’un leader in uscita. Quel che possiamo fare oggi, perciò, piuttosto che azzardare esercizi divinatori, è fissare cinque passaggi cruciali per il futuro della destra. Al ragionamento poi – correndo il rischio di passare per ingenui – aggiungeremo qualche indicazione su come quei passaggi dovrebbero essere affrontati, se la destra la si volesse ricostruire con un minimo di serietà e nell’interesse del Paese.

Il Nazareno, innanzitutto. Su questo Berlusconi ha sempre avuto ragione: è un’occasione storica per superare gli isterismi degli ultimi vent’anni; modificare l’indifendibile bicameralismo perfetto; scrivere una legge elettorale decente. Se però l’accordo si trasforma a destra in un’occasione di polemica costante; se il dialogo sulle regole viene inquinato dal conflitto politico; se una mattina il patto è confermato, la mattina dopo rimesso in discussione – allora degli eventuali benefici rimane ben poco, e l’esito stesso del processo riformistico è messo seriamente in dubbio. Da qui la domanda: è possibile che la cooperazione «costituzionale» con Renzi si trasformi per la destra in un disegno politico condiviso? Forse a certe condizioni sì.
Certamente sarebbe auspicabile – per la destra, ma soprattutto per il Paese.

L’elezione del prossimo Capo dello Stato, poi, che da tanti segnali appare non lontana. Inutile nasconderselo: data la balcanizzazione del Parlamento, visti i precedenti delle votazioni a scrutinio segreto, si preannuncia un caos inverosimile – una lotteria dalla quale potrebbe uscire qualsiasi numero. Come intendono muoversi in quell’occasione i partiti che stanno a destra del Pd? Intendono dare il loro bel contributo alla balcanizzazione, oppure convergere un minimo e trasformarsi in un elemento d’ordine? Fra l’altro, ne va della dignità delle istituzioni.

Il terzo, quarto e quinto passaggio sono strettamente collegati fra di loro. Le forme organizzative, in primo luogo: Renzi sta cercando di fare del Partito democratico il partito egemone, possibilmente l’unico, nell’area che sta fra il centro e la sinistra. Chiunque intenda contrapporglisi mobilitando l’area che va dal centro alla destra deve almeno provare a imitare il suo esempio. Modelli alternativi – le giustapposizioni di pezzetti e pezzettini nelle quali Berlusconi era maestro – hanno largamente fatto il loro tempo. L’elaborazione culturale e programmatica, in secondo luogo. Tradizionalmente assai debole a destra, oggi è all’anno zero. E invece è particolarmente urgente, per due ragioni: l’abilità con la quale Renzi ha saputo impadronirsi di parole d’ordine che furono dello schieramento berlusconiano; la crescita prepotente della destra più radicale – tale da rendere una convergenza programmatica non impossibile, ma nemmeno semplicissima. La destra, infine, deve aprirsi a una dialettica interna libera e regolata. La competizione politica e le primarie sono l’unico strumento possibile non soltanto per arbitrare oggi fra le molte ambizioni degli aspiranti leader ma, in prospettiva, per selezionare i talenti politici del futuro.

Un emisfero politico destro che si rimettesse a far politica in maniera costruttiva e lungimirante potrebbe rivendicare il merito di aver dato all’Italia, insieme al Pd, la riforma del Senato e del sistema elettorale. Potrebbe svolgere un ruolo di rilievo nell’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Potrebbe proporsi come un’alternativa reale a Renzi, all’interno di un sistema bipolare meno rissoso e sconclusionato di quello degli anni 1994-2011. Potrebbe perfino sognare di presentarsi in Europa come un modello di collaborazione fra destra e centro destra. Un emisfero politico destro che proseguisse lungo la linea che ha seguito finora contribuirebbe invece a far sprofondare l’Italia in una palude neotrasformistica. E meriterebbe senz’altro di annegarci anch’esso.

(da La Stampa - 30 novembre 2014)

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