logo Fucinaidee

Vincere più che rappresentare

di Lina Palmerini

Rappresentanza o governance?
Matteo Renzi ha sciolto il dilemma con la sua reazione netta dopo il voto – e l'alta astensione – in Emilia e Calabria. «Abbiamo vinto 2 a 0». Conta vincere, insomma, anche a prezzo di una minore rappresentatività.
Con quella dichiarazione da Vienna – «l'affluenza è un problema secondario, abbiamo vinto» – Renzi spazza via d'un colpo una grande tradizione di sinistra: l'analisi del voto. Un rito che seguiva ogni elezione non solo in caso di sconfitta ma anche se non si era riusciti a mobilitare la base del partito, i militanti, quelli che hanno sorretto il modello Pci fino al Pd di Bersani. E invece il segretario mira ad altro: «Finora ci siamo presi 5 Regioni». L'obiettivo di Renzi è la conquista del governo, il resto viene dopo. È la stessa logica dell'Italicum: garantire un vincitore anche a costo di una minore rappresentatività del sistema. Ed è una reazione che determina un altro strappo nella storia di sinistra, da quell'idea del voto identitario, dei blocchi sociali di riferimento con cui il partito deve riunirsi al momento delle urne. Renzi fa calcoli più pratici – o cinici – e misura le sfide elettorali di volta in volta sulla base di elettorati mobili e dell'avversario che ha di fronte. E questa volta l'avversario non era forte e non c'era il rischio di una sconfitta.

A metà strada c'è il neo Governatore Bonaccini che viene dalla tradizione comunista – poi convertito al renzismo – e quindi tenta una via di mezzo: è una vittoria ma debole. E in effetti una vittoria debole determina una strada in salita nella governance soprattutto se cresce la sfiducia verso la classe politica.

Questa sembra la ragione principale dell'astensionismo emiliano dopo gli scandali giudiziari. Ma, accanto, sembra pesare anche lo strappo con la "ditta" bersaniana e soprattutto con la Cgil. Una tesi ancora non corroborata da analisi puntuali, avverte Dario Tuorto dell'Istituto Cattaneo, che considera il parallelismo tra Cgil e scarsa partecipazione solo un'ipotesi. «È tutto da dimostrare perché il non voto ha colpito tutti, il Pd ma specialmente Grillo. Potrebbe essere stata una causa tra altre, troppo presto per dirlo».

Qualche azzardo si può tentare prendendo il dato dei flussi di voto nelle province emiliane e incrociandolo con il peso degli iscritti Cgil. In effetti, la novità di queste elezioni è che quei territori dove si votava di più (Bologna, Modena, Reggio Emilia) si sono allineati con le province dove più alto era l'astensionismo. Ma sono numeri che non danno un'equazione perfetta: più Cgil, più non-voto. Il parallelismo funziona a Reggio Emilia che è la terza provincia per numero di iscritti alla Cgil (118mila tessere) e dove più alto è stato l'incremento dell'astensione (+37%).
Non è così evidente altrove: a Bologna c'è la più alta concentrazione di tessere Cgil – 172mila – ma l'astensionismo è cresciuto meno (30%) mentre a Forlì-Cesena che ha "solo" 67mila iscritti il non voto è aumentato del 35 per cento. Si avvicina al caso Reggio-Emilia l'area di Modena: seconda per tessere Cgil, 130mila, quasi il 33% l'aumento di non-votanti e -54% di consensi per il Pd.

In sostanza i numeri suggeriscono più strade, non una a senso unico. Basta guardare il dato della sinistra (Sel e lista Tsipras) che perde meno del Pd ma perde. Eppure sfila in piazza con la Cgil ed è vicina al leader Fiom ma ha ceduto più del 13% dei consensi rispetto alle regionali 2010 e il 10% sul voto europeo.
Dunque un'equazione cristallina non c'è. L'unica sono le urne vuote contro una classe politica che gli emiliani non considerano all'altezza della governance.

(da Il sole 24 ore - 25 novembre 2014)

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina