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Dire e fare
I danni dell’inerzia

Di Antonio Rossetti

 

 

In questi giorni appare evidente come  sia possibile dire cose giuste, ad esempio il lavoro è un diritto per  tutti, so bene che non è una novità, ma la si dice  sempre più spesso ed è importante che si continui a dirlo, mentre  non si prova a fare quello che è indispensabile perché questo diritto trovi la sua  applicazione concreta.

La solita storia del dire e del fare.

Partiamo dal lungo elenco di vertenze in corso. Se non viene chiarita, fino in fondo, la motivazione o il perché un’ azienda, in alcuni casi multinazionale, chiude e va altrove è difficile raggiungere un accordo con la trattativa e, probabilmente, neppure con le manifestazioni di piazza.

In questo caso ci troviamo nella parte del dire (il lavoro è un diritto) mentre  queste imprese hanno scelto di fare un’altra scelta, andarsene o chiudere. 

Le proposte del governo vanno nella giusta direzione?

In primo luogo occorre  approvare la legge e i provvedimenti  necessari per definire una “politica” del lavoro e dell’occupazione.

Questo non appare chiaro anche per le evidenti difficoltà legate all’attribuzione ai livelli decentrati dei compiti in materia di occupazione, formazione professionale e nuove opportunità di lavoro.

Siamo sempre a quel punto.

Non è possibile creare nuove opportunità di impresa e di lavoro senza la definizione di  politiche volte allo sviluppo. Scegliere  di rilanciare il settore edile, l’energia rinnovabile, le ricerca, la valorizzazione  dei beni culturali, la tutela dell’ambiente ed altro, significa favorire  nuove opportunità, non di breve durata.  Una  volta  definiti e orientamenti e obiettivi saranno  impiegati incentivi sia per la formazione che per la creazione di impresa, in sostanza quelle politiche attive per il lavoro, che sono state sempre trascurate, perché è molto più facile decidere  un periodo di cassa integrazione che  dare vita a nuove attività. Gli esempi sono numerosi e non c’è bisogno di andare lontano (la Cucirini Cantoni, a Lucca è il più evidente).

E’ necessario, in attesa che  sia possibile “un cambio di passo” come si usa dire, utilizzare gli strumenti di ” tipo assistenziale” , ma questo era già così negli anni del periodo 19870-1980.

Oggi resta ancora irrisolto  l’argomento del livello territoriale  per le politiche del lavoro e formazione professionale: Regionale?, Provinciale? Intercomunale, Comunale?

Senza chiarezza il risultato sarà  quello  che possiamo immaginare, forse il 4 o 5% dei collocati attraverso il servizio pubblico, come ai tempi dell’ufficio del lavoro e della massima occupazione, prima dei nuovi centri per l’impiego.

Purtroppo siamo ancora senza direzione nel senso che non sono  indicati obiettivi definiti e neppure la presenza diffusa di modelli dai quali prendere spunto sono individuati come esempi.

L’Italia è l’Italia e allora?

In attesa di leggere il testo definitivo della nuova normativa sulla materia  si potrebbero valutare, in concreto, modalità di incontro tra domanda e offerta di lavoro e in attesa del di più si possono fare  cose concrete, seppure ancora  in assenza di un disegno ordinato a tutti i livelli.

L’incontro domanda /offerta di lavoro  sembra l’aspetto più delicato. Quanti sono coloro che  inviano  domande e curriculum e non ricevono neppure risposte negative, forse nessuno legge  ciò che viene inviato?

Prendiamo un esempio di tipo locale.

Se l’esperienza  del Centro in Media Valle del Serchio di fare incontrare  domanda e offerta (job day)  è buona si potrebbe estendere e intensificare.

Rendere sistematica la fase di primo incontro fra domanda e offerta, fare incontrare le persone fisicamente, verificare  se vi sono distanze e come colmarle, migliorare la credibilità del servizio pubblico, sono  fatti concreti e utili .

La proposta di incontrare imprese e lavoratori in cerca di occupazione e di lavoro, con la partecipazione delle rappresentanze  dei lavoratori e delle aziende è una delle cose utili da fare.

Un calendario di incontri  mensile  potrebbe  aiutare a creare una punto di riferimento utile e credibile.

E’ sufficiente? Non lo è sia per il momento economico che per il quadro  politico, ma è necessario perché  sono sempre  di più le persone che vivono crisi occupazionali  e assenza di prospettive mentre  il clima non si sta per nulla rasserenando. Immaginare che tutto si risolva a livello di Governo centrale sarebbe un grave errore , il lavoro si crea e si distrugge nei singoli territori, nei paesi, nelle regioni, nelle aree territoriali.

Anche nei Paesi dove gli strumenti sono adattati alla loro realtà  i livelli di azione sono  articolati fino alle dimensioni  locali. 

 

In Italia, nel tempo, si è parlato di collocamento da parte del sindacato, degli uffici del lavoro, in qualche modo da parte delle camere di commercio, da parte delle agenzie, da parte dei centri d’impiego,   così come per  formazione professionale le posizioni sono state molte, tuttavia  non sono da sottovalutare le opinioni  già espresse da parte di  Tiziano Treu (allegato1)  oggi commissario dell’INPS. 

 

 

Allegato 1)

Un'agenda di lavoro per l'Inps

Scritto da Tiziano Treu (*)

Proporre questa discussione è stata un’ottima idea. Naturalmente abbiamo debordato ampiamente dal tema, perché è chiaro che qui c’è un incrocio di questioni che sono in parte legislative, in parte strategiche dell’Istituto e in parte organizzative: quindi tre piani di discorso complicati. Poi, se andiamo oltre come, abbiamo visto negli ultimi interventi, abbiamo un rapporto con questioni di tipo politico generale: come funziona il mercato del lavoro; come influisce sul sistema pensionistico; perché l’assistenza è così in difficoltà; abbiamo un welfare che produce più diseguaglianza di quanto entri; come mai le pensioni privilegiate sono ancora presenti.

 

E poi, se volete, qui è in questione la razionalità delle scelte politiche italiane. Qui sono state ricordati i ritardi decennali, le contraddizioni, il rapporto fra privato e il pubblico che si armonizzano che poi non si armonizzano. Su queste grandi questioni bisognerà discutere a fondo e ne avremo per una legislatura. Su questo non mi pronuncio oltre.

Stando al tema specifico: cosa si può fare in questa cornice per cogliere l’ occasione della riconfigurazione dell‘INPS, che gestisce una porzione così rilevante del sistema pubblico italiano e non può restare in una situazione così precaria. Cerchiamo di cogliere l’occasione di questa fusione per incorporazione per far chiarezza. Non credo che possiamo fare tornare indietro l’orologio. Sono convinto che uno dei guai italiani degli ultimi tempi, sia stato quello di disfare a ogni cambio di legislatura quanto si è deciso nelle legislature precedenti. Non ritengo possibile fare marcia indietro sulla fusione, e neppure sulla governance duale, sono oltre due legislature che la commissione unificata di controllo, la Bicamerale di controllo, decide che bisogna fare certe cose. Posso anche esser convinto che il nostro sistema duale non è come quello operante nel sistema privatistico tedesco, dove ci sono i proprietari che nominano il Consiglio di Vigilanza e questo è composto di manager. Mentre qui c’è una composizione privato-pubblico diversa. Però credo che lavoriamo sapendo che certe cose non sono reversibili, almeno adesso.

Non abbiamo detto quasi niente sulla trasparenza e invece sarebbe importante: dalla busta arancione, al fatto che oramai 15 milioni di italiani sono digitalizzati e in grado di interloquire on line con l‘INPS. Sarà così nei prossimi anni. Approfittiamone. Inoltre c’è il problema dell’accesso, occorre trasparenza e conoscenza. Parlo della conoscenza verso i cittadini. Allora oltre all’accesso on line e busta arancione, ci dovranno essere front office fatti meglio, perché l’anziano che va in un certo posto deve essere supportato.

Il sistema bancario inglese è ormai tutto digitalizzato però gli utenti anziani che vanno in banca non trovano solo un muro di computer; c’è comunque un impiegato addetto all’attività di front office. Questo aspetto di servizio, nell’opera di riorganizzazione generale, dovrà essere molto curato.

Non si è affrontato molto, finora, il tema della trasparenza verso l’esterno, cioè verso gli stakeholders in generale. Bisognerà pensarci molto seriamente. Un controllo dovrebbe farlo, internamente, il Civ, tale funzione esiste; ed è più importante ancora del compito di indirizzo strategico,che si presta a commistioni indebite alla gestione. I controllori interni non sono sempre al di sopra di ogni sospetto, anche nel settore privato. Quindi facciamo in modo che ci siano degli esperti , ad es. dei ragionieri, ( dicono che i ragionieri sono ancora i migliori, anche se è una professione in via di estinzione).

Probabilmente bisogna pensare anche a un controllore esterno. Prendiamo un auditor di aziende multinazionali, che non sia in conflitto di interessi, che venga da lontano. . Questo dovrà operare un controllo esterno,veramente indipendente. Il tema dei controlli si riconnette al tema della banca dati: chi possiede la banca dati.

Quello del controllo dei dati è un problema mondiale, perché l’informazione è potere, come sapete bene. Non è chiaro se si può affidare tutto all’Istat, o se la banca dati va controllata da un’autorità specifica sull’informazione. Su questi problemi, informazione, dati e controlli, dobbiamo essere rigorosi, perché ne va di mezzo un quarto del Pil italiano oltre che il servizio a più di 20 milioni di persone.

Quanto al rapporto fra politiche attive del lavoro e politiche passive mi pare ci sia accordo, almeno in questa sede. Io aderisco alla tesi di chi ha sostenuto che l’Inps non deve entrare nella gestione delle politiche attive del lavoro. La funzione della previdenza propria dell’INPS è diversa dalla gestione del mercato del lavoro e quindi va svolta da istituzioni distinte.

Da molti anni, il Pd e non solo il Pd, ha sostenuto che occorre andare verso un sistema di agenzia del lavoro efficiente, che possa poggiare su strutture decentrate, radicate sul territorio e funzionanti. Nell’ultima delega della legge 92 c’era qualcosa in proposito, ma le nostre Regioni hanno dato la dimostrazione di essere, purtroppo, poco coese. Con un’Agenzia efficiente si può risolvere anche il problema della condizionalità. Se i servizi per l’impiego offrono occasioni di lavoro ai disoccupati e non sono in grado di garantire la sospensione del sussidio a fronte di un rifiuto, il sistema non funziona. Occorre mettere anche questo servizio in capo a una struttura forte, responsabile per le politiche attive. Questa è la strada. Poi che sia il modello francese o quello tedesco si discuterà.

Leggevo ultimamente una serie di rapporti sull’Europa che la condizionalità è comunque difficile da far funzionare. Anche in Paesi che hanno un’ etica pubblica più radicata che da noi. Si è persino sostenuto che in Italia è inutile prevedere ammortizzatori universali perché col livello di etica pubblica che abbiamo non è possibile evitare abusi. Come non paghiamo le tasse così usiamo l’assistenza senza responsabilità. Io non sono così pessimista; andiamo in quella direzione sapendo che è molto difficile. La gestione di queste materie è complicata dalla confusione esistente nelle strutture decentrate della nostra amministrazione pubblica.

Sul punto dell’integrazione, fra le varie gestioni previdenziali, pubblico, privato, lavoro autonomo ecc., ho sentito tesi giuste. Sono convinto che occorre superare la attuale frammentazione delle aliquote contributive; altrimenti è inutile pensare di risolvere il problema con una struttura aziendale unica. Le fusioni sono fallite anche nel settore privato se non c’erano le premesse. Qui la premessa è di andare più rapidamente possibile verso l’armonizzazione dei contributi e delle basi contributive. Ricordo che abbiamo fatto fatica, nel ’97, ad affrontare la giungla dei fondi speciali; più fatica che per approvare la riforma del ’95. Resta il fatto che non c’è nessun motivo di tante differenze , in particolare mantenere per i lavori autonomi contributi e trattamenti diversi dagli altri.

Trattasi di un passaggio epocale. Esistono in parlamento disegni di legge su questo che – semplificando – propongono di portare tutti i contributi al 28%, autonomi, dipendenti, precari e non. Se non si va in quella direzione è dura. Occorre unificare, pur tenendo presente che sorgerà un problema in proposito, che non abbiamo toccato, e che riguarda i lavoratori poveri. La fascia di lavoratori poveri va comunque garantita; per evitare che abbiamo pensioni contributive insufficienti, ed è un problema che tocca tutti i Paesi UE.

Sulla governance dell’Inps, mi sembra che ormai un sistema duale è in qualche modo acquisito. Deve essere un duale snello: un Consiglio di Amministrazione di tre persone. L’Amministratore Delegato unico non mi pare che ottenga sufficiente consenso. Un Consiglio di Amministrazione con componenti di qualità. Si può discutere poi se il Presidente e Amministratore Delegato dev’essere nominato o eletto da fuori o eletto dal Consiglio. Anche il CIV deve essere snellito e composto di persone qualificate, studiando meglio il sistema tedesco.

E occorre tener conto che sia pure in diverse condizioni dai Consigli tedeschi che rappresentano la proprietà, anche il CIV dell’INPS deve essere fortemente responsabilizzato, perché rappresenta gli stakeholders, imprese e lavoratori. Occorre anche studiare cosa vuol dire potere di controllo, con che tipo di collegio dei sindaci, quale rapporto con la Corte dei Conti, ecc.

Certo, non credo che il Civ debba fare il regolamento di contabilità e di organizzazione dell‘INPS, non è compito suo; è esattamente quello che non deve fare.

Sul Direttore Generale, non mi è sembrato che ci fosse accordo negli interventi precedenti. C’è chi dice che deve essere un organo, qualcuno che sostiene il contrario. Su questo ritengo che gli enti e gli organi non vanno moltiplicati senza necessità. Non ho capito perché debba essere un organo, ma sono disposto a ricredermi. Nelle società private la presenza di due organi simili ha aumentato i rischi di conflitti; meglio prevenirli.

Alcune cose si possono cominciare a fare subito, altre richiederanno più tempo. Certo, il piano industriale è urgente, un piano industriale serio, in questa materia, deve avere una proiezione di due-tre anni, ma va approvato subito. Siamo già in ritardo.

XI Lavoro, previdenza sociale

Tiziano Treu, Senatore PD, VicePresidente Commissione Lavoro

News Letter Nuovi lavori

PERIODICO QUINDICINALE n.141 anno 7 del 28.10.2014, registrazione del Tribunale di Roma n.225 del 30.05.2008

 

Lucca, 4 novembre 2014

 

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