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I TORTI E LE RAGIONI

 

Di Antonio Rossetti

 

E’ difficile stabilire chi ha torto o chi ha ragione, spesso vengono utilizzati argomenti vecchi o recenti per contestare  anche ciò che è stato sostenuto, con vigore,  per lungo tempo e succede anche il contrario, si sostiene ciò che non si è mai condiviso.

In alcuni casi il tempo contribuisce  ad attribuire torti e ragioni a soggetti e parti diverse, tuttavia nella ricerca di argomenti utili alla comprensione  è possibile fare alcune puntualizzazioni.

E’ voce comune quella che indica l’Italia  in notevole ritardo sulle riforme, ma nessuno ammette qualche responsabilità per questo ritardo .

Di solito si va indietro nel tempo attribuendo le colpe ai governi precedenti, ma nessuno di coloro che ancora oggi si trovano nel Parlamento o hanno ricevuto consenso nel Paese, si ricorda di avere avuto responsabilità da Presidente del Consiglio o di Ministro della Repubblica e di non essere stato in grado di fare nulla di ciò che chiede ad altri di fare.

Neppure un accenno  alla loro incapacità eppure sono molti i personaggi che hanno avuto  possibilità, per anni,  di fare qualcosa per dare ai cittadini un Paese più sano, più giusto e più moderno, e dopo oltre 20 anni  di fallimenti chiedono, consigliano e propongono come se fossero marziani appena scesi in Italia.

I nomi: i Presidenti del Consiglio degli Ultimi 25 anni; i ministri Economici e dei settori più rilevanti, andate a rivedere cosa hanno detto e scritto in quegli anni.

Probabilmente Prodi, D’Alema, Berlusconi, Monti, Letta, ognuno avrà da argomentare così come Tremonti,  Dini, Bersani, Amato, Ciampi,  solo per indicarne alcuni bipartisan, ma loro ci sono stati  chi più e chi meno.  

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Il recente dibattito sui temi del lavoro e insieme dello statuto dei lavoratori  ha dimostrato quanto siano assurde alcune  argomentazioni.

Come è possibile che oggi, nel 2014, si scopra che in Italia le politiche attive per il lavoro sono quasi a zero e che si è quasi esclusivamente pensato alla parte delle politiche di sostegno del reddito, seppure inadeguato, per cassa integrazione, mobilità,  indennità di disoccupazione e quasi da nessuna parte si è intrapresa la strada delle politiche di riqualificazione e reinserimento.

Oggi si guarda al altri Paesi, tra questi la Germania,  e si richiamano le politiche del lavoro degli anni settanta e della cogestione come novità,  oppure si prendono ad esempio altri paesi a partire dalla Svezia o Danimarca.

Eppure la legge  223 del 1991 ( in Italia) avviava una riflessione circa gli strumenti e le possibilità di impiego di fondi per  attivare lavoro, una scelta che si ritrova, da molti anni, tra le raccomandazioni e trattati  dell’ Unione Europea (alcune date: Lussemburgo 1997, Amsterdam 1998, Lisbona 2000). (vedi in allegato) La scelta di  diversificare l’impiego dei fondi  spostando la destinazione  delle risorse economiche per riqualificare e reimpiegare la risorsa”umana”,  o capitale umano, è difficile?  Si anche negli altri Paesi, ma in Italia è ancora di più se dopo tutte  le leggi in materia  di lavoro il collocamento da parte del sistema  pubblico riguarda circa il 5% del totale, un po’ poco. Si potrà fare di più? Se lo fanno gli altri  sarà possibile anche per l’Italia.

Certo di occasioni  ne sono state perse. Gli stessi argomenti si ritrovano nei patti tra governo, sindacati e imprese  dal 1993 in poi, ma buone le intenzioni, basta leggerli oggi per valutarne il significato, sono svanite, tutto e rimasto inattuato.

I torti sono li,  qualcuno chiede  di fare ciò che lui stesso non ha fatto nel corso degli anni  mettendo fretta a chi è appena arrivato.  Come dire io non ho fatto nulla in anni e anni, ma tu devi fare tutto in pochi mesi e aggiungendo la pretesa di imporre anche come. Non era più facile farlo a propria somiglianza quando questi governavano?

Renzi Matteo Presidente del Consiglio non sarà un mago, tuttavia raccoglie il consenso di chi spera  che la sua azione possa contribuire  a cambiare in meglio il Paese, ci riuscirà ? Io spero che sia possibile, ma non come dice lui per fare un dispetto ai “gufi”, ma perché è necessario per gli italiani.

La stagione delle chiacchiere è finita, è evidente, le indicazioni, le proposte richiedono atti concreti, è  li che si misura la capacità del Governo nell’interesse degli italiani e del nostro Paese.  Il tempo  non è molto e i risultati sono necessari in tempi brevi per non dare spazio a chi spera che non si faccia nulla per non dover rendere conto dei gravi errori commessi.

 

 

All.1

 

Politiche attive del lavoro:

Implementazione

L'implementazione delle politiche attive per il lavoro rappresenta una risposta comune di tutti gli Stati Membri dell'UE per fronteggiare il problema della disoccupazione. Per meglio comprendere l'importanza di un approccio preventivo e quindi attivo, occorre, in primo luogo differenziarlo dal cosiddetto approccio curativo, quello, cioè delle politiche passive per l'occupazione. In modo particolare, negli anni passati, nel nostro Paese, ma anche in altri Stati Membri dell'UE, le politiche del mercato del lavoro si sono concentrate, soprattutto sui sistemi di protezione sociale e sui meccanismi di sicurezza contro le perdite del reddito, mettendo in moto un meccanismo che alleviava i danni della disoccupazione per coloro che perdevano il lavoro, ma che tuttavia produceva inevitabilmente una situazione di disoccupazione a lungo termine. In questo modo, le risorse finanziarie erano destinate in maniera predominante, attraverso sussidi, alle politiche passive di sostegno della disoccupazione. Questa situazione, che rappresenta un elevato costo economico per la società, insieme alla necessità di affrontare i cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro negli ultimi anni, ha determinato una diversa attenzione da parte dell'UE alle politiche per l'occupazione, definita come "questione di interesse comune" nel corso del Consiglio Europeo di Amsterdam, nel giugno 1997, il quale ha visto la nascita della nuova Strategia Europea per l'Occupazione (SEO), all'interno del Trattato di Amsterdam.

In modo particolare, la Strategia europea occupazionale, ha invitato gli Stati Membri a coordinare le loro politiche in materia di lavoro intorno a quattro pilastri d'azione prioritaria (occupabilità, imprenditorialità, adattabilità, pari opportunità). Dal punto di vista delle politiche attive, la SEO ha rappresentato una vera e propria svolta, perché ha posto come principio politico l'obiettivo della prevenzione e dell'attivazione precoce nelle politiche occupazionali. Ciò ha determinato un nuovo modo di concepire l'approccio ai problemi della disoccupazione, nella convinzione che le sole politiche passive non permettano di risolvere la disoccupazione in modo definitivo. Il nuovo orientamento delle politiche attive, si basa, invece, sull'importanza di aiutare le persone prima che siano disoccupate o al momento in cui lo diventano, piuttosto che occuparsi delle loro esigenze solo quando sono prive di lavoro per un certo periodo di tempo. Il Consiglio Europeo Straordinario di Lussemburgo, tenutosi nel novembre 1997, ha sancito definitivamente la Strategia Europea rendendola operativa e dando il via ad una serie di indicazioni per gli Stati Membri al fine di realizzare in ogni Paese un ciclo annuo di programmazione e controllo delle politiche occupazionali, noto come "processo di Lussemburgo". Questi elementi, nell'insieme, hanno permesso in concreto di avviare in Italia un modo diverso di fare politica per l'impiego, promovendo diversi strumenti, strategie, programmi e soluzioni innovative per attuare una politica preventiva. Sono da richiamare , a questo proposito, la riforma dei Servizi per l'impiego (decreto legislativo 469/97), il primo Piano d'Azione Nazionale per l'occupazione (NAP) del 1998 predisposto secondo i principi del procedimento lussemburghese, l'avvio della programmazione FSE 2000-2006.

Questo complesso di strumenti ha determinato e sta pienamente realizzando in questi anni, un nuovo modo concepire le azioni per lo sviluppo occupazionale e sociale, sempre più incentrato sulla dimensione locale e sul concetto di integrazione tra diverse policy e diversi soggetti impegnati a realizzarle. Nel nostro Paese, le Regioni e le Province, in risposta al principio di decentramento e sussidiarietà, si sono trovate in prima linea nell'intento di realizzare tutta una serie di interventi di politica attiva mirati sempre più su specifici target di popolazione, in special modo quelli indicati come più "deboli"e con maggiori difficoltà di inserimento lavorativo: i giovani, le donne, gli anziani. La riforma del sistema del collocamento, del sistema della formazione e dell'istruzione, l'introduzione di nuove forme di lavoro flessibili, gli incentivi all'imprenditorialità, sono state misure appositamente pensate per aumentare l'occupabilità, renderla più appetibile per il mondo del lavoro e più adatta ad un mercato in rapida evoluzione. Contemporaneamente sono state realizzate norme e interventi finalizzati a fornire pari opportunità a ciascun lavoratore di accedere al mercato del lavoro, di prolungarne la permanenza, anche attraverso politiche che permettessero di conciliare meglio vita professionale e vita familiare. Allo stesso tempo, si è posta l'importanza di favorire una serie di meccanismi finalizzati a rendere più immediato, conveniente e trasparente l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, nella necessità di prevenire il fenomeno del lavoro sommerso, ancora così incisivo nel nostro Paese, soprattutto nei riguardi delle donne e degli immigrati.

Una grande attenzione è stata posta nei riguardi della domanda di lavoro, del versante delle imprese, intervenendo con riforme ed incentivi al fine di sviluppare una cultura imprenditoriale, di aumentare la possibilità di offrire posti di lavoro, soprattutto nel settore dei sevizi e dell'economia sociale. Parlare, dunque, di politiche attive significa sottolineare l'importanza dei fondi strutturali e soprattutto del Fondo Sociale Europeo, impegnato a sostenere la Strategia Europea per l'occupazione. In Italia, le Regioni e le Province hanno sfruttato a pieno questa opportunità per programmare attraverso i loro POR, misure apposite per affrontare il rinnovamento delle politiche del lavoro, della formazione e dell'inclusione sociale. Lo scenario che si prospetta è quindi del tutto nuovo e dinamico, poiché puntare sulle politiche attive rappresenta una sfida, significa prestare maggiore attenzione al mercato del lavoro, coglierne gli aspetti più problematici soprattutto a livello territoriale, per offrire strategie mirate e specialistiche e non più soluzioni uniformi rivolte a platee indifferenziate di disoccupati sull'intero territorio nazionale. 

 

Lucca, 30 settembre 2014

 

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