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Commento introduttivo

Mentre noi, se pur disturbati da una stagione bizzarra, stiamo godendoci le consuete vacanze ferragostane, sul confine orientale dell'Unione Europea si sta consumando un dramma politico e umano innescato da una situazione che potrebbe rivelarsi gravida di conseguenze per l'intero scacchiere europeo.

Dobbiamo dirlo senza infingimenti, uno scenario di guerra che, ancora una volta, mette a nudo tutta la fragilita' dell'Unione Europea - e dell'intero mondo occidentale - che non riesce - al di la' delle dichiarazioni - ad elaborare una posizione comune e coerente.

Circostanza che purtroppo non sorprende, posti gli interessi economici in gioco con la Russia di Putin. Al di la' della retorica politica, e' la tutela di questi interessi il vero "faro" che guida le scelte di ciascun Paese.
Contesto che privilegiando interessi immediati, anche se ovviamente legittimi, rappresenta un ostacolo insormontabile per il disegno di una strategia di politica estera di medio-lungo respiro. Una strategia che dovrebbe ovviamente ancorarsi ad una autentica capacita' di comprensione della contemporaneita', nella sua complessa articolazione culturale, antropologica e storica, per puntare ad assetti capaci di garantire pace e progresso per tutti.

L'impressione e' che si viva alla giornata, cercando di mettere una pezza qua ed una la'. Un'impressione che non si riferisce solo alla questione Ucraina ma, purtroppo, ai numerosi teatri di instabilita' e/o di guerra che stanno drammaticamente insanguinando il pianeta: Siria, Iraq, Afghanistan, Libia e via dicendo.

La riflessione che propongo ai lettori di Fucinaidee e' scritta da uno dei massimi esperti di politica internazionale, con particolare riguardo all'Europa orientale. Non solo per la sua vicenda biografica (Bettiza e' nato a Spalato nel 1927), ma per la sua attivita' giornalistica che lo ha visto operare in varie capitali di quella parte d'Europa. Anche nella sua attivita' di Parlamentare Europeo, ha vuto modo di occuparsi dei rapporti con i paesi dell'ex blocco comunista.

Paolo Razzuoli

Ucraina, la vacanza dell’Europa

di Enzo Bettiza

Oscurità, propaganda, disinformazione, molti equivoci in allarmate dichiarazioni di fuoco che non si capisce se è fuoco amico o nemico. Il tutto sembra compiersi a un passo dall’Europa centrale in un’ambigua Ucraina di cui si stenta a capire se abbia un governo reale, e di cui, al limite, si fatica a individuare il perimetro politico e perfino storico.

 

Le controversie sembrano svolgersi più tra Stati fantasma che Stati reali, con la Russia che cerca in tutti i modi di negare la propria presenza e interferenza in una terra per così dire «morta» che l’Europa seguita a chiamare, non si sa ormai se a torto o a ragione, Ucraina. Vien fatto quasi di domandarsi: l’Ucraina esiste davvero? È formata da istituzioni sovrane? È una realtà politica vera e propria, oppure è un vuoto che di volta in volta si riempie di un protoplasma privo di fondamento?

  

Si direbbe quasi che non solo l’Europa, ma anche l’America e la Cina fingano di prendere sul serio l’esistenza di uno Stato improbabile e di una nazione con una etnia specifica. Certo, nella realtà e nelle cronache quotidiane, il mondo si accorge che l’Europa, l’America e la Cina non si riferiscono e non si rivolgono a credibili istituzioni ucraine. L’impressione è che tutti si rivolgano alla Russia, che nacque dall’Ucraina sviluppandosi a dimensioni imperiali, come alla legittima erede del Granducato di Kiev.

 

La storia dell’Ucraina è stata difatti la storia di una nazione incerta su cui da Oriente incombeva la Russia, dal Nord gli Stati scandinavi e da Occidente la Polonia.

  

Hitler e Stalin la fecero di fatto scomparire dalla carta geografica. Dopo la Seconda Guerra Mondiale riemerse come uno stato debole, stritolato da Mosca e rosicchiato da Varsavia. La sua autonomia e la sua specificità continuavano a riprodursi con crescente fiacchezza.

 

La situazione odierna è la seguente. Per la Russia lo Stato ucraino sembra non essere altro che uno scampolo esterno del proprio territorio, mentre nell’ottica europea Kiev pare contare solo nei momenti in cui l’orso ex sovietico torna ad alzare minaccioso la zampa. In questi giorni assistiamo difatti ad un ritorno di fuoco fra una Russia esigente ed incombente con le sue artiglierie e un’Europa estremamente allarmata. Il ministro degli esteri italiano, Federica Mogherini, candidata fra l’altro a divenire capo della diplomazia europea, aveva preannunciato nel vertice di ferragosto reazioni comunitarie politiche ed economiche nel caso in cui la Russia avesse superato il confine con mezzi militari: «Sarebbe gravissimo, ma stiamo ancora verificando». La verifica è ormai sotto gli occhi di tutti: i mezzi militari, a quanto risulta, hanno già superato la frontiera mentre l’Europa, come al solito, alza la voce restando però immota a guardare.

  

Come al solito, infatti, non appena si tratta di affrontare di petto l’arroganza di Putin, vediamo l’Europa anche nelle sue capitali più influenti ritrarsi come prigioniera di se stessa. Per l’ennesima volta vediamo Angela Merkel, la quale parla correntemente il russo, affrettarsi a telefonare all’enigmatico capo del Cremlino per scendere a patti e negoziare un compromesso al ribasso con lo zar di tutte le Russie.

 

«Non si può andare in ferie quando muore un popolo», ha constatato il ministro francese degli esteri Fabius.
Certamente si riferiva all’Iraq, ma con ogni probabilità aveva in mente anche il dramma ucraino. Non so se il ferragosto sia soltanto una festa italiana; ascoltando però le preoccupate parole di Laurent Fabius non possiamo non dirci d’accordo con lui e deprecare i giorni di falsa vacanza che stiamo confusamente vivendo.

(da La Stampa - 17 agosto 2014)

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