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Europa. Non bastano le promesse nel semestre delle riforme

di Adriana Cerretelli

«L'Europa non è un passato comune ma il nostro destino comune. A muoverla devono essere i suoi valori, non parametri e ansie contabili»: nell'Unione di oggi, sbrindellata, sfiduciata, senza idee, alla deriva dell'anti-europeismo montante dovunque, potrebbe suonare come il manifesto di una rivoluzione stravagante, fuori tempo massimo, senza generali per guidarla né un esercito per provare a combatterla e vincerla.

Invece sono due frasi con le quali ieri a Firenze Matteo Renzi ha voluto lanciare il suo messaggio forte all'Europa, a poco più di 50 giorni dall'inizio del semestre europeo dell'Italia. Parole coraggiose e controcorrente, a tratti anche appassionate nel tentativo di scuotere i suoi interlocutori, che siano gli altri leader di governo o la gente comune, dal conformismo della negatività e della rassegnazione che sembra aver fatto tutti prigionieri. Passivi o distratti.

È una battaglia realistica oggi o il sogno impossibile di un giovane don Chisciotte alle prese con i mulini a vento?
L'Europa che oggi l'aspetta al varco non è quella dei Padri Fondatori. È il club sfilacciato di un gruppo di Paesi egoisti e agnostici, ripiegati sui propri interessi nazionali, da anni incapaci di visioni comuni, disposti a riparare solo in extremis gli strappi nella tela europea ma con il minimo dei costi e della solidarietà e quando le lacerazioni sono davvero sul punto di distruggerla senza ritorno.

C'è chi è convinto che la forte affermazione alle elezioni del 25 maggio dei partiti euroscettici sarà lo shock provvidenziale del la rigenerazione, la leva della svolta che l'Italia di Renzi si prepara a intercettare per rimettere l'Ue su nuovi binari più umani, sostenibili e convincenti a tutti i livelli.

C'è chi invece teme l'effetto opposto: la maggiore confusione delle lingue, degli interessi e degli obiettivi in campo.

Dunque la paralisi politica e istituzionale di un'Unione che, già ostaggio delle proprie contraddizioni e dei propri sistemi democratici in crisi di consenso, diventerà sempre più prona alle logiche di breve termine e allergica ai progetti di lungo respiro.

Non c'è solo questa grande incertezza sulla strada del nostro semestre europeo e delle sue ambizioni. C'è il rischio di una guerra inter-istituzionale all'indomani delle europee qualora il Consiglio Ue decidesse di non nominare automaticamente il candidato alla presidenza della Commissione Ue uscito vincente dalle urne.

E c'è il grande problema della percezione dell'Italia in Europa, della sua perduta credibilità politica, tutta da ricostruire. Riuscirà Renzi, in tempi strettissimi, a riportare indietro le lancette dell'orologio?
«Se guardo agli ultimi 30 anni, vedo che l'influenza della Spagna nell'Unione è molto aumentata, quella dell'Italia è invece molto diminuita», ricordava giorni fa un consumato protagonista della scena europea.

La spiegazione? «In quei 30 anni la Spagna ha visto avvicendarsi alla guida del governo Felipe Gonzalez, José Maria Aznar, José Zapatero e Mariano Rajoi.
Per l'Italia ho perso il conto ma il turbine dei primi ministri ha superato la decina. È normale che Angela Merkel, al terzo mandato, abbia una grande autorità in Europa perché garantisce la continuità». Cioè la stabilità che oggi, nel post-eurocrisi (o quasi), è considerata il bene supremo.

Stabilità politica ed economica sono proprio le garanzie che nessuno oggi in Italia è in grado di offrire con solida certezza. Renzi cerca di procurarsela con i conti in ordine e le tante riforme in calendario, che però stentano a bruciare le tappe nella palude di una politica che non riesce a perdere le sue pessime e sterili abitudini.

L'Europa oggi ha bisogno di cavalcare le sfide che le lancia l'Italia per ritrovare a sua volta grinta, peso e credibilità sulla scena interna e internazionale.
Ancora di più dei dubbi sulla sua effettiva volontà di farle proprie per rifarsi un futuro sicuro, il vero interrogativo riguarda però l'Italia di Renzi e la sua effettiva capacità di riuscire ad avere tutte le carte in regola per consentire al suo credo europeo di diventare quello di quasi tutti.

(dal Sole 24 Ore - 10 maggio 2014)

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