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Sull’Ucraina Europa in seconda fila

di Mario Deaglio

A poche settimane dalle elezioni che rinnoveranno il Parlamento di Strasburgo, le forze politiche europee appaiono attentissime ai propri problemi nazionali, ma distratte o capaci soltanto di vaghe istanze per quanto riguarda i problemi europei. Nello spazio politico europeo si agitano idee e programmi su come ottenere più soldi dall’Europa, attraverso il Fondo Sociale Europeo e altri strumenti del genere, mentre esiste una quasi assenza di dibattito, un vero e proprio vuoto su come farà l’Europa a crescere in modo da rendere più abbondanti le risorse che consentono tale redistribuzione.

  

Il vuoto diventa un abisso nel quale sprofondano socialisti francesi, conservatori inglesi e democristiani tedeschi (per non parlare delle forze politiche italiane) quando si considera il ruolo dell’Europa nell’economia e nella politica globale. Siamo in presenza di un’incredibile carenza di «visioni», idee e progetti, particolarmente evidente nel caso della crisi ucraina, esploso sulla “porta di casa” dell’Europa senza che l’Europa se ne preoccupi più di tanto.

  

Al punto di lasciare tranquillamente agli Stati Uniti – che sembrano giocar la carta ucraina per ribadire un’egemonia mondiale fortemente indebolita negli ultimi anni - l’iniziativa diplomatica e la gestione strategica di questa delicatissima vicenda, come è avvenuto ancora ieri con le consultazioni tra Obama e i leader europei.

 

Eppure, l’Ucraina e la Russia sono molto più importanti per l’economia e l’assetto politico europeo che per l’economia degli Stati Uniti e un embargo occidentale alla Russia, o qualche altra sanzione dura, finirebbero per danneggiare gravemente l’Europa mentre gli Stati Uniti ne sarebbero solo lievemente toccati (e forse, in taluni casi, perfino avvantaggiati). Se infatti aderisse a tale embargo, l’Europa si farebbe economicamente del male con le proprie mani, quasi senza rendersene conto.

  

Si verificherebbe una riduzione sensibile della domanda russa di prodotti europei anche se, senza arrivare all’embargo, i rapporti commerciali tra Europa e Russia dovessero indebolirsi fortemente e se l’economia russa andasse in crisi per effetto delle pressioni esterne: quasi «per disattenzione», senza averne mai neppure seriamente discusso, l’Europa potrebbe trovarsi risucchiata in una fase depressiva proprio quando gli ultimi dati segnalano una ripresa ancora modesta ma incoraggiante. Gli europei dovrebbero inoltre cercare affannosamente fonti di energia in grado di sostituire il gas e il petrolio russo già dal prossimo inverno.

 

All’interno dell’Europa, le economie maggiormente interessate agli andamenti russi – e quindi alla gestione della crisi ucraina – sono quella tedesca e quella italiana. Entrambe ricevono dalla Russia, in parte attraverso l’Ucraina, un apporto molto importante alle risorse energetiche delle quali hanno bisogno; entrambe esportano verso la Russia prodotti qualificanti. Al di là delle dimensioni quantitative (la Russia è un partner commerciale primario dell’Unione Europea) vi è una dimensione qualitativa che va tenuta in conto: per moltissime imprese italiane che producono impianti e macchinari, prodotti chimici e medicine la presenza in Russia (garantita anche da stabilimenti e reti distributive) consente un «salto di dimensione» tale da permettere alle imprese in questione di impostare strategie globali.

  

Allo stato attuale della spinosa vicenda ucraina, caratterizzata dalla scarsità di informazioni indipendenti, sono razionalmente ammissibili, ma entrambe con molte riserve, sia opinioni da «falchi» sia opinioni da «colombe». I «falchi», tra i quali va annoverata Hilary Clinton, possibile candidato del partito democratico americano alle prossime elezioni presidenziali, paragonano il presidente russo Vladimir Putin a Hitler e l’annessione della Crimea all’annessione dei Sudeti: un’analogia piuttosto debole da un punto di vista storico. Tra le «colombe» si possono annoverare i trecento intellettuali tedeschi che, in una lettera aperta di qualche giorno fa, hanno espresso un certo appoggio a Putin, anche qui sulla base di paragoni storici che non sembrano fortissimi.
Non è invece accettabile, ed appare difficile da comprendere, l’assordante silenzio europeo mentre l’ala orientale della casa europea rischia di essere coinvolta in questo grave incendio.

 

Tale vuoto politico conferma che la politica europea è inadeguata rispetto alle esigenze dell’economia europea, non ne comprende le necessità e può danneggiarla anche gravemente con le proprie esitazioni. In questa situazione il «vecchio Continente» rischia di rivelarsi davvero vecchio e inadeguato, paralizzato dalle proprie indecisioni che lo portano sovente a un localismo esasperato anziché a una visione globale. I suoi primati industriali si stanno rapidamente riducendo: l’acquisto da parte di Microsoft della maggior parte delle attività di Nokia ha sancito il declino della telefonia cellulare, dominata in gran parte dagli europei, a favore di sistemi di comunicazione che utilizzano Internet (dominati in gran parte da americani, coreani e cinesi). Il possibile acquisto di Alsthom, il gigante francese del settore energetico-ferroviario, da parte dell’americana General Electric va nella stessa direzione. L’Europa, insomma, è in «seconda fila», come dice il titolo dell’Annuario ISPI 2014. E rischia di arretrare alla terza o alla quarta fila, con la prospettiva di diventare irrilevante; o addirittura di uscire di scena se mai le elezioni di maggio fossero vinte dagli avversari dell’euro e dell’unione economica.

(da La Stampa - 26 aprile 2014)

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