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La destra e i capponi di Renzi

di Giovanni Orsina

Il sistema politico italiano sta passando oggi attraverso una fase di trasformazione meno drammatica forse, ma potenzialmente ancora più profonda di quella dei primi Anni Novanta.

  

Le novità che la politica italiana dovette affrontare vent’anni fa furono di notevole portata: l’ascesa prepotente della Lega, il collasso dei partiti di governo, la «discesa in campo» di Berlusconi, la legittimazione dei postfascisti, le mutazioni del postcomunismo.

  

La struttura del nostro spazio pubblico, però, per tanti versi restò bipartita fra un’area progressista di centro sinistra e una moderata di centro destra così com’era stata fino ad allora. Gli elettori in grande maggioranza rimasero pure dopo il 1994 nell’area in cui si trovavano prima di Tangentopoli. E anche partiti come la Lega o l’Italia dei valori, che non volevano essere né progressisti né moderati ma rispettivamente localista e giustizialista, dovettero infine accomodarsi da una parte o dall’altra.

 

Oggi questa struttura fondata sulla divisione fra destra e sinistra è messa in seria discussione.

  

In primo luogo, naturalmente, dal movimento di Grillo, che si sta dimostrando capace di conservare nel tempo un consenso notevole e che cerca di collocarsi non a destra o a sinistra ma «altrove» – ossia sul versante della protesta radicale contro l’establishment. In secondo luogo dalle conseguenze politiche del doppio movimento per il quale prima Berlusconi è stato costretto a sgomberare il centro della scena pubblica, e poi quel centro, con un assalto all’arma bianca, l’ha conquistato Renzi.

  

Questo doppio movimento ha diviso il centrodestra; ne ha paralizzato politicamente l’ala maggioritaria, rimasta con Berlusconi; ne sta mettendo in discussione i consensi, già molto ridottisi dal 2008 al 2013. Di quei consensi, inoltre, si è subito messo in caccia Renzi.
Due almeno fra le sue tante uscite pubbliche recenti sembrano fatte apposta per sedurre l’elettorato già berlusconiano: la promessa di intraprendere una «lotta violenta alla burocrazia» e l’affermazione secondo cui l’Italia sarebbe un Paese «portatore sano di bellezza» del quale andare orgogliosi di fronte al mondo intero. Ma anche al di là delle parole, il programma del governo non pare certo fatto per dispiacere all’elettorato di centro destra.
La tradizionale divisione fra progressisti e moderati che ha caratterizzato lo spazio pubblico italiano sia prima sia dopo Tangentopoli ha così perduto di rilievo e di visibilità. E, di conseguenza, è cresciuta d’importanza la frattura fra l’establishment e la protesta radicale incarnata da Grillo e dal suo movimento.

  

È ben possibile, naturalmente, che quella che stiamo attraversando ora sia solo una fase passeggera, e che la divisione politica «naturale» fra destra e sinistra sia destinata a riprendere presto il sopravvento. È ben possibile, certo – ma non è necessariamente detto. Di movimenti di protesta non facili da classificare secondo le categorie tradizionali di destra e sinistra ce ne sono parecchi in Europa. Soprattutto, quello italiano è un sistema politico particolarmente fragile, segnato da un rapporto difficile fra il «Paese reale» e il «Paese legale» e dalla presenza di robuste e radicate tradizioni antisistema, antagoniste e radicali, a sinistra così come a destra. Sarebbe imprudente, insomma, escludere che la Penisola possa diventare nei prossimi anni una sorta di laboratorio, un luogo politico anomalo nel quale un centro moderato al potere si contrappone a una forza di protesta radicale non legittimata a governare – una sorta di replica, aggiornata però al ventunesimo secolo, del sistema bloccato che ha segnato il Paese nei decenni della Guerra Fredda.

  

Se sarà quest’eventualità tutt’altro che entusiasmante a verificarsi, o se col tempo si tornerà alla più classica dialettica fra destra e sinistra, ciò dipenderà da molti fattori. Dai tempi e modi della ripresa economica; dai risultati che otterrà il governo Renzi; dalle riforme istituzionali e da quella elettorale. Molto, però, dipenderà anche dalle mosse degli attori in campo. Le mosse di Renzi e le reazioni del Pd, certo, così come l’abilità con cui Grillo saprà sfruttare le opportunità che gli si offrono. Ma forse ancora di più dipenderà da come si muoveranno le varie destre. Se riusciranno a sostenere i processi di riforma, che soli possono far sgonfiare la protesta grillina, evitando però di farsi divorare interamente da Renzi. Se sapranno capire che corrono il rischio concreto di fare la fine proverbiale dei capponi manzoniani. I quali si beccavano l’un l’altro mentre un ragazzotto che, per ironia della sorte, si chiamava proprio Renzo li portava verso la fine.

  

(da La Stampa - 17 aprile 2014)

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