logo Fucinaidee

Breve commento introduttivo

"Che razza di Paese è quello in cui le migliori energie intellettuali non esitano a tradurre la loro legittima passione politica in pura faziosità, ignorando decenni (decenni!) di studi, di discussioni, di lavori di commissioni parlamentari, che hanno messo a fuoco in maniera approfonditissima i limiti del nostro impianto costituzionale di governo?"

E' questo uno dei passi piu' forti dell'articolo di Ernesto Galli Della Loggia che propongo ai lettori di Fucinaidee, e che condivido completamente.

E' mai possibile che in Italia non si possano fare riforme, sulla linea di meccanismi istituzionali ampiamente praticati e collaudati nelle piu' avanzate democrazie del mondo, senza che il solito drappello di intellettuali radical-gauchisti gridi al fascismo o al golpe?
Intellettuali che, sfortunatamente, hanno sinora esercitato un forte peso nell'alimentare quel bagaglio di ambiguita' e di manicheismo che hanno impedito al Pd di imboccare con decisione la strada del riformismo richiesto dalla maggioranza del paese.
Questa ambiguita', questa sudditanza ai dictat di settori animati da una forte carica di radicalismo di sinistra, e' la vera causa della perdita di consensi del Pd e dell'attenzione che ampi strati dell'elettorato hanno riservato a Berlusconi. Un'attenzione che, con la solita supponenza, si vuole attribuire all'ignoranza e/o al potere condizionante delle televisioni berlusconiane, dimenticando che la sinistra, non raramente anche quella piu' radicale e faziosa, e' stata ed e' tuttora ampiamente presente sulla tv Rai.
Il Pd ha ora una nuova occasione straordinaria per voltare pagina, aiutato anche dal fallimento dell'esperienza berlusconiana, e dalle difficolta' che incontra la cultura liberale ad organizzarsi nella dimensione politica.
Renzi e' una straordinaria risorsa: vedremo se il Pd riuscira' a trarne profitto, o se invece fara' un altro "karakiri".

Quanto agli intellettuali, sicuramente di grande prestigio nel loro specifico ambito di competenza, e' sempre utile non dimenticare come la storia (basti pensare solo al XX secolo), ci presenta grandi figure di intellettuali che nella sfera politica hanno giocato ruoli non marginali nelle vicende piu' buie e drammatiche.
senza nulla togliergli nella sfera di loro competenza, e' bene che la politica riesca a tracciare con chiarezza i confini sul modo di valorizzarne gli apporti, evitando confusione e sensi di inferiorita'.

Paolo Razzuoli

Il PD e gli intellettuali contro - I sacerdoti del non si può

di Ernesto Galli della Loggia

Ancora una volta il Partito democratico è chiamato a scegliere. D’altra parte, se ci si pensa, è proprio questo il significato più generale dell’arrivo sulla scena di una figura come quella di Matteo Renzi: mettere il Pd con le spalle al muro, obbligare la cultura postcomunista a fare apertamente e fino in fondo una scelta a favore di una politica realmente riformatrice. Politica riformatrice progressista, naturalmente, considerando la natura e la storia dei democratici. Ma che in Italia - a causa della latitanza storica di una vera destra liberale: vedasi il fallimento di Berlusconi e di tutti quelli per vent’anni intorno a lui - non può non avere, necessariamente, anche caratteri e contenuti diciamo così non specificamente progressisti, non specificamente di sinistra, bensì dettati dalla necessità di dare spazio a efficienza, merito, razionalità, economicità: dunque, in un senso molto lato, anche caratteri e contenuti liberali. Insomma, così come nella prima Repubblica la Democrazia cristiana svolse un ruolo di supplenza verso la destra, accogliendone molte istanze e punti di vista, e così costruì la propria egemonia, la stessa occasione e lo stesso compito sembrerebbero oggi toccare al Pd.

Ma per ragioni ben note la storia ha dato al Pd un interlocutore particolare che la Dc non aveva: il ceto degli intellettuali. I quali, inclini in genere a un certo radicalismo, non impazziscono certo per la categoria delle riforme in quanto tale, specie poi quando queste non sono in armonia con il loro punto di vista o ancor di più quando contrastano con i loro feticci ideologici. Ed ecco infatti un nutrito e autorevolissimo gruppo di essi (da Gustavo Zagrebelsky a Stefano Rodotà, da Roberta De Monticelli a Salvatore Settis) scendere in campo venerdì scorso con un vibrante appello pubblicato sul Fatto Quotidiano contro le riforme costituzionali proposte dal Pd di Renzi. Altro che riforme: si tratterebbe nei fatti, scrivono i nostri, di «un progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato (...) per creare un sistema autoritario che dà al presidente del Consiglio poteri padronali». Con il monocameralismo, ma in realtà «grazie all’attuazione del piano che era di Berlusconi», nascerebbe «l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi», «una democrazia plebiscitaria (...) che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare». Questo il tono e questi gli argomenti.

Che per la loro qualità non meritano commenti ma solo un’osservazione: che razza di Paese è quello in cui le migliori energie intellettuali non esitano a tradurre la loro legittima passione politica in pura faziosità, ignorando decenni (decenni!) di studi, di discussioni, di lavori di commissioni parlamentari, che hanno messo a fuoco in maniera approfonditissima i limiti del nostro impianto costituzionale di governo?
E dunque la necessità di modificarlo spesso proprio nel senso che oggi si discute?
È ammissibile che tuttora si possa sostenere che avere anche in Italia un capo dell’esecutivo dotato dei poteri che hanno tanti suoi omologhi in Europa, o una sola Camera rappresenti l’anticamera del fascismo?
In verità la scelta a cui l’appello degli intellettuali radicali chiama il Partito democratico è una scelta cruciale per la sua identità di partito riformista, ma fin qui sempre rimandata: e cioè tracciare sulla propria sinistra una netta linea di confine e di deciso contrasto ideologico-culturale. Per decenni il Partito comunista unì a una pratica in larga misura socialdemocratica una benevola tolleranza nei confronti del più multiforme estremismo teorico, verso rivoluzionarismi di varia foggia e conio, verso le critiche radicaleggianti di ogni tipo all’ordine borghese. Si poteva essere iscritti al Pci e insieme essere luxemburghiani, filomaoisti, marcusiani, stalinisti.
Fino a un certo punto si potè perfino guardare con qualche simpatia alla lotta armata: fino a quando cioè il Partito comunista stesso - resosi conto del pericolo mortale che ne veniva a lui e alla Repubblica - decise di reagire con brutale fermezza. Ma fu l’unica volta. Per il resto questa benevola tolleranza non solo appariva politicamente innocua (tanto a governare erano sempre gli altri) dando per giunta l’idea di un partito aperto che sapeva rendersi amici gli strati intellettuali ma, cosa più importante, consentiva pure di fare regolarmente il pieno dei voti a sinistra.

Il Partito democratico dovrebbe capire che per lui però le cose stanno in modo affatto diverso. Oggi specialmente, quando è al governo in una situazione di crisi grave del Paese e con una responsabilità mai così preponderante e diretta. È questa una responsabilità che dovrebbe implicare alcune ovvie incompatibilità. Tra le quali, per l’appunto, l’incompatibilità tra una linea riformatrice di governo e il sinistrismo radicaleggiante caro a non pochi intellettuali, sempre pronto, peraltro, all’agitazione piazzaiola o a divenire carburante per qualche formazione goscista. Un sinistrismo che dovrebbe obbligare il Pd, se non vuole alla fine restarne vittima, come altre volte gli è capitato, a fare muro esplicitamente, a uscire allo scoperto senza mezzi termini, e magari a contrattaccare; non già a tacere. Come invece tace singolarmente, ad esempio, l’Unità di ieri, la quale, invece che spendersi in qualche difesa delle riforme costituzionali del governo preferisce occuparsi di riservare una gelida accoglienza alle ragionevolissime critiche mosse dal governatore Visco ai vari corporativismi italiani (inclusi quelli dei sindacati), lasciandone il commento ai sarcasmi caricaturali di Staino.

Ma non è così, non è con questa mancanza di chiarezza, mi pare, che ci si può inoltrare in quel cammino sul quale tanta parte dell’opinione pubblica oggi aspetta di vedere avanzare il partito di maggioranza.

(dal Corriere della Sera - 30 marzo 2014)

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina