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Breve commento introduttivo

Siamo alla vigilia di importanti impegni europei del nostro Presidente del Consiglio, e mancano poco piu' di tre mesi dall'avvio del semestre della presidenza italiana dell'UE.
Tappe certamente importanti, da affrontare con serieta' e consapevolezza vera dei problemi sul tappeto.

E' sotto gli occhi di tutti la profonda crisi in cui si dibattono le istituzioni comunitarie. Istituzioni di un'Europa che di fronte ai morsi della crisi, ha imboccato la strada degli egoismi nazionali anziche' quella della solidarieta'. Un'Europa che anziche' diventare sempre piu' comunitaria e' diventata sempre piu' intergovernativa.
Un'Europa che si e' rinserrata nella difesa dei meccanismi di rigore (certo necessari per la difesa dell'Euro), ma che non ha contestualmente saputo costruire quella prospettiva di ampio respiro necessaria per il tratteggio di politiche che sapessero comunque garantire un contesto di crescita.

L'Europa si e' trovata nel vortice di una crisi senza precedenti, in parte annunciata, e che l'Europa - soprattutto per le sue divisioni - non ha saputo far nulla per prevenirla.

Renzi andra' in Europa a rappresentare un Paese che vive l'Europa con una strana schizzofrenia: a volte e' la causa di tutti i mali, a volte puo' essere il luogo da cui potra' arrivare il carburante necessario per riaccendere i motori.
Una schizzofrenia che emerge anche nella riflessione che propongo all'attenzione dei lettori di fucinaidee: si grida contro i vincoli europei dimenticando, o facendo finta, che i vincoli piu' stringenti ce li siamo dati da soli.

Speriamo che Renzi riesca a convincere i partner europei e che le ormai imminenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo non si trasformino in una "Caporetto" per le istituzioni comunitarie.
Il vero problema italiano rimane comunque quello di una profonda azione di trasformazione, per ridare slancio e competitivita' al Paese. Non possiamo pensare di usare "la ruota quadrata" quando tutti gli altri usano "la ruota tonda".
Ogni italiano di buon senso deve augurarsi che Renzi possa imprimere al Paese quella spinta che lo riporti sulla strada giusta.

Paolo Razzuoli

I veri vincoli ce li siamo dati da soli

di Stefano Lepri

Un vincolo più forte di quelli che potrebbe metterci l’Europa sta nella nostra Costituzione. La Commissione di Bruxelles e gli altri governi dell’unione monetaria potrebbero chiederci stupiti perché qui da noi nessuno pare ricordarsene. Dal 1° gennaio 2014 dovremmo tenere il bilancio dello Stato in pareggio, salvo «eventi eccezionali» da riconoscere con voto delle Camere.

  

Se c’è un «cappio al collo», dunque, ce lo siamo messi da soli, con decisione a larga maggioranza al tempo del governo Monti. La Banca d’Italia, unica a rammentarlo, non si stanca di ripetere che la nuova versione dell’articolo 81 della Carta è più stringente rispetto al tanto vituperato «Fiscal Compact» europeo.

  

Oggi moltissimi parlamentari che allora votarono quel testo ritengono di aver sbagliato. All’italiana si procede con una prassi interpretativa che, con la tacita intesa di tutti i poteri in campo, consente di ignorare le leggi sgradite. Purtroppo in Europa, trattandosi di rapporti tra governi sovrani, non ci si può comportare allo stesso modo.

  

Anche il «Fiscal Compact» è figlio dell’ansia ingenerata da una crisi del debito che minacciava di mandare in pezzi l’area euro.

  

Nel tentativo di placare mercati impazziti, si adottarono norme che oggi perfino il Fondo monetario internazionale giudica troppo severe. Da allora, la Commissione europea le ha interpretate con crescente quanto opaca elasticità; ma ignorarle non può.

  

Dunque inutile prendersela contro l’Europa. Se errore c’è stato, è stato condiviso. Allo scopo di allontanare il pericolo della bancarotta, l’Italia aveva sottoscritto impegni di austerità feroci che per fortuna nessuno ci ha chiesto di rispettare in pieno; abbiamo evitato il peggio realizzandone solo una parte, pesante come tutti sappiamo, eppure solo una parte.

  

Purtroppo proprio gli stessi mercati che ci hanno costretto ad esagerare oggi ci stanno spingendo, nella loro instabilità, verso l’errore opposto. I capitali affluiscono verso l’Europa, diversi esperti vedono una nuova «bolla» speculativa che abbassa fin troppo i rendimenti dei titoli di Stato dei Paesi deboli (i decennali dell’Italia sono al 3,4%, gli irlandesi al 3%).

  

Allentare un poco la stretta del rigore è possibile, per l’Italia. Ma la scarsa fiducia reciproca tra gli Stati, rivelatasi nel momento del pericolo, sussiste ancora; e fa temere agli altri che la fase favorevole dei mercati ci renda troppo disinvolti. Proprio perché siamo un Paese grande, preoccupiamo di più. Sanno che se ci mettessimo di nuovo nei guai, nessuno avrebbe forze sufficienti per salvarci.

  

D’altra parte, l’esperienza insegna che oltrepassare la soglia del 3% di deficit di per sé non garantisce nulla. Grazie alla «finanza creativa» di Giulio Tremonti la superammo con l’inganno dal 2001 al 2005: ciò nonostante, la crescita già ristagnava, e siamo arrivati alla grande crisi già più deboli.

  

Non solo: con una economia come la nostra, capace di crescere in media meno dell’1% all’anno, il debito accumulato scende solo se il deficit va ben sotto il 3%; altrimenti sono dolori, per noi stessi già prima che «per i nostri figli» come Matteo Renzi ha imparato a dire giorni fa.

  

Possiamo chiedere una deroga temporanea ai dettami più severi del «Fiscal Compact» (la riduzione annua del deficit strutturale riproposta ieri dalla Bce e da Olli Rehn) in nome di un impegno forte per rimettere a posto il nostro Paese – non solo i suoi bilanci – anno dopo anno. Basti come paradossale esempio uno dei casi citati dal commissario alla spesa Carlo Cottarelli: coordinando meglio Polizia e Carabinieri, avremmo una migliore tutela dell’ordine pubblico spendendo meno. Finora, ci siamo ripetuti che questa in Italia è una delle cose davvero impossibili. Possiamo provare?

(da la Stampa - 14 marzo 2014)

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