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Gli spazi lasciati vuoti dai partiti

di Federico Geremicca

Testo integrale della lettera inviata dal Presidente Napolitano ai Presidenti delle Camere ed al Presidente del Consiglio

Stavolta non ha applaudito nessuno, a differenza di quanto accadde nell’aula di Montecitorio gremita in ogni ordine di posti il 22 aprile scorso. Giorgio Napolitano leggeva il duro discorso da Presidente rieletto e fu quasi costretto a interrompere il suo severo atto d’accusa di fronte ai continui battimani: «Il vostro applauso - disse rivolto a deputati e senatori - non induca ad alcuna autoindulgenza: non dico solo i corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione, ma nemmeno i responsabili di tanti nulla di fatto nel campo delle riforme».

  

Torna utile, oggi, ripensare a quell’intervento. E non solo per i mancati applausi - a Parlamento semideserto - che hanno accompagnato la puntigliosa lettera con la quale il Capo dello Stato, ieri, ha richiamato governo, Camere e forze politiche a un maggior rigore in materia di decreti legge: ma anche e soprattutto perché, nel giro di pochi mesi, quel frenetico batter di mani è stato sostituito da un sentimento, un disagio, del quale naturalmente si intende il senso, ma assai meno l’origine, la ragione e - in qualche modo - perfino la legittimità.

 

Il disagio di cui diciamo è legato agli atti di un Capo dello Stato che starebbe allargando a dismisura il raggio della sua «supplenza», che interverrebbe troppo di frequente per riempire «vuoti» politici, legislativi (e perfino regolamentari) e che - questa è l’accusa finale - starebbe addirittura trasformando l’attuale forma repubblicana in una «monarchia costituzionale». Delle funzioni, del ruolo e delle prerogative dei Presidenti della Repubblica, sono stati riempiti volumi e volumi, dal dopoguerra a oggi: e quindi figurarsi se il tema non ha un suo interesse e una sua legittimità. Ma non è questo il punto.

  

Quel che appare poco comprensibile, infatti, è la circostanza che a porre simile questione - più o meno tra i denti - siano precisamente i soggetti che hanno creato e continuano a creare quei vuoti politici (e non solo politici) che il Capo dello Stato è costretto - spesso suo malgrado - a riempire. Per altro, la contestata funzione di supplenza, non di rado si risolve in iniziative di fronte alle quali le forze politiche dovrebbero - per tornare all’immagine iniziale - nuovamente applaudire. E perfino con qualche riconoscenza.

  

Si pensi, ad esempio, proprio all’ultimo caso in questione: il decreto salva-Roma, che il governo ha dovuto far decadere appunto per iniziativa del Quirinale. Si denuncia, infatti, l’ennesima «ingerenza» del Presidente della Repubblica: e non ci si sofferma su cosa si sarebbe abbattuto - in caso di non intervento e di conversione di quel decreto - sulle forze politiche e sul governo che l’aveva voluto. Una nuova ondata di discredito - per le regalìe, le scelte clientelari e la confusa pioggia di denari fatti cadere qua e là - avrebbe probabilmente investito il sistema: a tutto vantaggio non certo dell’esecutivo, ma di quelle forze «demagogiche, populiste e antieuropee» che pure - così spesso - vengono messe all’indice.

  

Perché piuttosto che denunciare l’«invadenza» del Capo dello Stato i partiti politici - di maggioranza e di opposizione - non riempiono essi quei vuoti, quegli spazi, sui quali deve poi intervenire il Quirinale? «Imperdonabile - disse in quel 22 aprile Napolitano - resta la mancata riforma della legge elettorale del 2005». È stata forse varata una nuova norma elettorale? Non risulta. «Se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro le quali ho cozzato nel passato - aggiunse il Presidente - non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al Paese». C’è qualcuno che si preoccupa di evitare le possibili (perché preannunciate) dimissioni del Capo dello Stato, piuttosto che denunciarne l’invadenza? Non parrebbe.

  

È penoso dirlo, ma l’anno che si conclude finisce così come era cominciato: l’incapacità ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica, due mesi per varare un governo purchessia, nessun passo avanti in materia di riforme e - anzi - il mortificante intervento della Corte Costituzionale scesa in campo a cancellare quella che c’era. È di questo che ci si dovrebbe occupare, piuttosto che lamentare supplenze (non esaltanti, ma inevitabili e certo non nuove) rispetto alle quali tante volte occorrerebbe semplicemente prender atto e perfino ringraziare...

 

(da La Stampa - 28 dicembre 2013)

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