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Commento introduttivo

Gia' negli anni '70, periodo di straordinaria ipertrofizzazione di enti e di espansione incontrollata della spesa pubblica, si parlava di abolizione delle province: dibattito che prese impulso, come agevolmente si comprende, dall'avvio dell'ordinamento regionale.
Oggi il dibattito sulle province e' di estrema attualita', mettendo in ombra una delle piu' grandi fonti di sprechi e, anche nelle migliori situazioni, di molto discutibile utilizzo delle risorse pubbliche.

Nella piu' classica tradizione italiana, allorche' non si intende affrontare un nodo importante, magari perche' troppo vitale per indicibili interessi di poltrone, si appunta il focus del dibattito politico, ampliato dai media, su un tema secondario, meglio ancora se piu' fragile, su cui spostare l'interesse della pubblica opinione.

ed e' con questa tecnica che in questi anni si e' riacceso il tema dell'abolizione delle province, ignorando quello ancor piu' importante, anche sotto il profilo dei costi, delle Regioni, non dico per abolirne ma sicuramente per ridisegnarne il ruolo.
Tema peraltro non nuovo. Ricordo benissimo come gia' alla fine degli anni '70, quindi piu' o meno attorno al decimo compleanno delle Regioni a Statuto Ordinario, si parlava di "ministerializzazione" delle Regioni, il cui ruolo/funzionamento stava degenerando, trasformandosi ormai nettamente da quello di enti di programmazione a quello di enti di gestione.

Processo che e' proseguito e che si e' incontrato con gli altri processi di degenerazione della politica nostrana, portando alla insostenibile attuale situazione in cui e' facile vedere i risultati dell'elefantiasi istituzionale coniugata con la caduta di tensione ideale e morale.

Accenno solo fugacemente, (l'argomento richiederebbe un'analisi molto accurata e senza ipocrisie), che le Regioni sono state istituite nella seconda meta' degli anni '60, fortemente volute dalla sinistra e colpevolmente subite dalla DC, ufficialmente quale atto di realizzazione della Costituzione, ufficiosamente perche' viste dal PSI e dal PCI quale opportunita' di maggior inserimento nella sfera del potere, stante il radicamento locale che queste forze politiche riuscivano sempre piu' ad accrescere, soprattutto in alcune regioni che avrebbero sicuramente governato. Considerazioni queste di cui gia' allora i piu' accorti avevano piena consapevolezza.

Il tema degli sprechi delle Regioni e' stato piu' volte trattato nelle pagine di questo sito, soprattutto grazie alle attente analisi di Antonio Rossetti.
Il testo di Michele Ainis di seguito riportato, offre un ulteriore dato di riflessione.

Concludendo questa breve riflessione, senza nulla voler togliere alla fondatezza del dibattito sulle province, mi pare impensabile che tale dibattito non debba riguardare anche il livello regionale. Anzi, non credo di sbagliare affermando che proprio questo e' probabilmente il piu' vorace divoratore di risorse pubbliche.

Paolo Razzuoli

 Troppe spese e fallimenti delle Regioni

di Michele Ainis

In Piemonte risultano indagati 43 consiglieri regionali su 60. Tagliaerba, mazze da golf, cravatte, lavatrici: spese personali, ma con quattrini istituzionali. In Emilia fra i rimborsi a piè di lista sbuca fuori anche un gioiello di Tiffany. In Sardegna orologi Rolex e penne Montblanc. In Abruzzo l’assessore alla Cultura finisce in galera per mazzette culturali. In Liguria si dimette il presidente del Consiglio regionale, sotto indagine per peculato. In Lazio spunta la truffa dei tirocini, in Sicilia quella dei corsi di formazione. E via via: le inchieste giudiziarie chiamano in causa 17 Regioni e oltre 300 consiglieri regionali.
No, non era questa l’idea federalista, che nell’Ottocento illuminò lo sguardo di Jacini e di Minghetti, nel Novecento di don Sturzo. Non era questo l’orizzonte dei costituenti, che concepirono il decentramento regionale per rinvigorire il corpaccione dello Stato. Ahimè, cura fallita: la creatura è più obesa, più viziosa. Per forza, se la periferia riflette - come in uno specchio infranto - le nefandezze di cui si macchia Roma. Se ogni Regione moltiplica i centri di spesa (quando va bene) o d’illegalità (quando va male, e va quasi sempre male). Se infine i politici locali restano impassibili dinanzi allo sdegno che li sommerge fino al naso. Che altro serve per svegliarli? Non è bastato lo scandalo Fiorito, il successo dei grillini, l’astensionismo elettorale?

Risultato: gli italiani si sono disamorati di queste Regioni, ammesso che se ne fossero mai davvero innamorati. Il loro grado di fiducia viaggia rasoterra (4 su 10, in base all’ultimo Rapporto Istat), e infatti circa la metà del popolo votante ne farebbe a meno volentieri. Perché la spesa regionale è lievitata di 90 miliardi in un decennio. Perché di conseguenza aumentano le tasse locali (del 138% fra il 1995 e il 2010, secondo la Cgia di Mestre). Perché questa tenaglia di costi e di tributi viene oliata dallo spreco: come in Molise, dove i consiglieri senza doppia poltrona (e doppia indennità) sono 3 su 21; o come in Sicilia, dove la buonuscita dei direttori regionali s’è impennata del 225% dal 2001 in poi. E perché infine la loro festa di merende e di prebende non ci ha donato in cambio servizi più efficienti, bensì piuttosto disservizi. Altrimenti, forse, li avremmo pure perdonati.

Le prove? Basta chinarsi sul pozzo nero della sanità, la principale competenza regionale. Nel Mezzogiorno il medico migliore è il treno, oggi come ieri. E ovunque liste d’attesa interminabili, ovunque sperequazioni inaccettabili (un sondaggio gastrico in Campania costa 6 euro, in Piemonte 125). E il dissesto idrogeologico? C’è voluta l’alluvione in Sardegna per scoprire che la metà delle Regioni, dieci anni dopo la riforma della Protezione civile, non ha le carte in regola. Eppure di carte, laggiù, se ne scrivono anche troppe, dato che abbiamo in circolo 20 mila leggi regionali. È il nodo scorsoio con cui si sono impiccate le Regioni: un groviglio di competenze, di burocrazie cinesi, di norme strampalate. Dal basso, ma ormai pure dall’alto: sul federalismo amministrativo, il sito web del ministro Delrio sforna 204 documenti . Sicché è venuta l’ora di prendere in mano un paio di forbici. È indispensabile tagliare norme e posti, funzioni e sovrapposizioni, enti ed accidenti. In caso contrario dovremo rassegnarci a tagliare le Regioni.

(dal Corriere della Sera - 24 novembre 2013)

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