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Breve commento introduttivo

Allorche', nell'inverno 2012, la Corte Costituzionale non ammise il referendum sulla legge elettorale, fui facile profeta dicendo che vedevo "buio pesto" sulla possibilita' della sua riforma. Riforma che gia' allora tutti dichiaravano a gran voce di volere, ma che nei fatti tutti osteggiavano, in modo peraltro nemmeno troppo occulto per chi possieda un minimo di attitudini alla lettura della politica.

Una resistenza opposta anche agli accorati e ripetuti appelli del capo dello Stato che, da figura esperta e responsabile qual e', si rende ben conto dei gravissimi guasti inflitti alle istituzioni da questa legge distruttiva del corretto funzionamento della democrazia e funzionale solo all'autotutela dei piu' degenerati aspetti del nostro sistema partitocratico.

Pensate, cari lettori, al paradosso di una fase della nostra storia, nata dopo il referendum del 1993 che fu vinto all'insegna della lotta alla partitocrazia: ad un ventennio da allora, mai la partitocrazia e' stata forte nella nostra storia repubblicana!!!

Per poco piu' di un gioco, assieme all'amico Antonio Rossetti ci siamo cimentati nella scrittura di una ipotesi di riforma minimale della legge elettorale, che abbiamo presentato in un incontro pubblico e, naturalmente, su questo sito.

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Si tratta di una proposta minimale non in linea con i grandi progetti di riforma che a parole tutti dichiarano di voler perseguire, sapendo che in questa fase non sussistono le condizioni per realizzarli.
I fatti ci stanno dando ragione. Ormai siamo alle porte della decisione della Consulta, fissata per il 3 dicembre p.v. che, ancora una volta, segnera' una cocente sconfitta per l'intera classe politica.

Avevo gettato giu' qualche appunto per scrivere una riflessione sul tema, quando e' apparso sul Corriere della Sera il testo di Michele Ainis che, condividendolo in pieno, propongo al posto del mio contributo.

Ainis fa cenno al referendum del 1993: credo che solo riprendendo la strada di questo strumento si potra' dare una spallata ad una classe politica capace solo di tutelare se stessa ed i suoi privilegi.

Un importante statista, Padre della nostra Repubblica, disse una volta che "non e' tanto importante avere ragione oggi quanto non aver torto domani". Un'affermazione che propone un senso della prospettiva oggi deltutto assente dagli orizzonti della politica. Qui e' pero' necessario aver ragione oggi, perche' il tempo e' scaduto: occorre aver ragione oggi proprio per non aver torto domani.
E' con questa consapevolezza che va letta l'idea, di per se' assai bislacca, di intervenire con decreto legge. Una forzatura sicuramente, ma che costringerebbe ciascuno a giocare a carte scoperte.
"A mali estremi estremi rimedi..."

Paolo Razzuoli

Legge elettorale. Le amanti del porcellum

di Michele Ainis

Il Porcellum non ha mogli, però è stracarico d’amanti. In pubblico non lo vezzeggia mai nessuno; in privato lo sbaciucchiano molte signorine licenziose.
Sicché il marchingegno elettorale con la pelle da suino è sempre vivo e vispo, alla faccia di chi vorrebbe celebrarne il funerale.

Ma poi, c’è qualcuno che lo desidera davvero? Tutti sanno che per sbarazzarsene occorre una nuova legge elettorale; che quest’ultima non può sbucare fuori dall’idea solitaria d’un partito solitario; che dunque servono accordi, alleanze, compromessi; e invece tutti, nessuno escluso, s’esercitano a impallinare le proposte altrui, o talvolta anche le proprie.
Insomma nessun testo, solo una fiera di pretesti. Compreso il più risibile, che invoca la riforma della Costituzione prima di cambiare la legge elettorale: campa cavallo. Ma se il cavallo campa, è perché i suoi tre vizi diventano virtù, riguardati con gli occhi dei politici.

Primo: le liste bloccate, che trasformano ogni eletto in nominato. E trasformano perciò i capipartito negli eredi di Caligola, che per l’appunto fece senatore il suo cavallo. Quando mai sapranno rinunziarvi?
Secondo: il premio di maggioranza senza soglia, quindi un superbonus per la minoranza più votata. Tanto che alla Camera il Pd, con il 29% dei suffragi, s’è messo in tasca il 54% dei seggi. Oggi a te, domani a me; e infatti Grillo ha già detto che intende rivotare col Porcellum .
Terzo: la lotteria del Senato. Dove il premio si guadagna regione per regione, con esiti bislacchi e imprevedibili. Male per gli elettori, bene per gli eletti, giacché con questo sistema non perde mai nessuno.

Il guaio è che i tre vizi del Porcellum si traducono in altrettanti vizi di costituzionalità, sicché a dicembre la Consulta dovrà prendere il toro per le corna. Ma a quel punto si scorneranno tutte le nostre istituzioni, e tutte ne usciranno un po’ ammaccate. In primo luogo la Consulta stessa, chiamata a un improprio ruolo di supplenza per l’inerzia dei partiti. D’altronde, già in lontananza echeggiano gli spari. I 15 giudici segheranno il premio di maggioranza? Vade retro , ci troveremmo sul groppone un proporzionale puro. Demoliranno l’intera legge elettorale, riesumando il Mattarellum ? Niet , non si può fare. Chissà perché, dato che si tratterebbe viceversa d’un esito obbligato: quel sistema normativo è fatto a strati, è come un grattacielo, se togli l’attico rimarrà l’ultimo piano.

L’illegittimità del Porcellum renderà poi illegittimo l’intero Parlamento. Nel 1994 Scalfaro lo sciolse dopo un referendum elettorale, giacché erano mutate le regole del gioco; adesso la crisi sarebbe ancora più lampante, avremmo la prova d’aver giocato con regole truccate. E infine l’esecutivo: difficile rimanga in sella nello sfascio generale. Da qui l’urgenza di un’iniziativa del governo, prima che la Consulta scriva il finale di partita. Con un decreto legge, perché no? Nel 2012 stava per adottarlo Monti, poi non ne fece nulla per paura di cadere. Cadde lo stesso, com’è noto. E prima o poi cadrà anche Letta. Ma è meglio uscire di scena con onore, e senza troppi calcoli. Può darsi che fra le amanti del Porcellum ve ne sia qualcuna proprio a Palazzo Chigi:
dopotutto con questa legge non si può votare, dunque si deve governare. Ma è un altro calcolo miope, un altro sguardo corto. Vorrà dire che alle nostre istituzioni regaleremo un paio d’occhiali.

(dal Corriere della Sera - 10 novembre 2013)

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