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 Un leader per il centrodestra - L'inevitabile successione

di Ernesto Galli Della Loggia

È molto difficile chiudere l'era Berlusconi, ma è certo che in una prospettiva non troppo lontana la sentenza della Cassazione ha posto fine alla sua leadership politica. In un Paese civile le sentenze delle Corti, infatti, fossero anche le più infondate e discutibili, vanno eseguite. Su questo non possono e non devono esserci dubbi.

Fine della leadership di Berlusconi, dunque. Certo, il Cavaliere potrebbe sempre in qualche modo dirigere il Pdl da casa sua, mandare cassette registrate da trasmettere alla televisione, rilasciare un'intervista al giorno, collegarsi dovunque in teleconferenza. Ma il fatto di non poter essere eletto e far ascoltare mai la sua voce in Parlamento, di non poter farsi vedere in un comizio, di non potersi recare in alcuna riunione all'estero, tutto ciò rende di fatto impossibile qualunque suo reale ruolo di comando. È vero che egli non è uomo da rassegnarsi facilmente, e che l'Italia ha ormai abituato il mondo alle proprie numerose anomalie, ma si può immaginare un Paese o un partito guidati a questo modo? Cioè nel modo in cui si troverà Berlusconi tra poche settimane? Dunque prima o poi egli dovrà passare la mano in qualche modo. L'ora della sua successione è arrivata.

Anche se come si sa, egli non si è mai curato di prepararla. Non è un caso che finora, a quel che sembra, l'unica forma di successione che gli è venuta in mente non è all'interno del suo partito di plastica, bensì è quella personal-familiare nella persona della figlia Marina (che peraltro ha detto proprio ieri di non pensarci nemmeno): un'incredibile e, più che incredibile contraddittoria, trasposizione nella dimensione dinastica della vicenda più orgogliosamente self made man e più sfrenatamente egotista che abbia mai visto la politica italiana.

La verità è che finché si rimane nell'ambito del partito berlusconiano il problema di trovare una futura leadership è per la Destra un problema insolubile. All'interno del Pdl non esiste alcuna personalità in grado di essere realmente accettata da tutti gli altri come capo, e al tempo stesso di risultare credibile agli occhi dell'elettorato.

Per rappresentare nelle urne gli elettori italiani di destra è necessario perciò che oggi si avvii la nascita di qualcosa di nuovo e di diverso, che può essere il frutto solo di un grande rimaneggiamento di sigle, di famiglie, di gruppi e di storie politiche. Al quale - questo sembra essere il punto decisivo - deve partecipare attivamente anche quell'area moderata, non di sinistra, che finora si è detta di centro: si è detta tale, a me pare, per un solo motivo, in sostanza: per la comprensibile paura di essere confusa con la Destra esistente, vale a dire con Berlusconi, con il suo stile e le sue pratiche. Ormai, però, si è aperta una prospettiva in cui tale paura non ha più motivo di essere.

Le donne e gli uomini del Centro, gli ambienti che li esprimono, devono solo convincersi che in un Paese normalmente bipolare - e l'Italia ormai lo è definitivamente - essere di destra vuol dire semplicemente avere opinioni, valori e adottare politiche diverse da quelle della Sinistra. E che dunque se, come è il loro caso, non si hanno le opinioni e i valori della Sinistra, ciò significa inevitabilmente che si è di Destra, e che in ciò non c'è nulla di male. In una democrazia Destra e Sinistra, infatti, non sono l'una il male e l'altra il bene, o viceversa. Sono semplicemente due diversi luoghi dello schieramento politico, e in parte (ma solo in parte) anche due modi di pensare il mondo: entrambi legittimi perché a sostegno di entrambi possono essere addotte ottime ragioni. Se migliori in un caso o nell'altro, dipende solo dalle circostanze.

Se non si è di sinistra, dunque, è all'elettorato di destra che bisogna rivolgersi. Ma senza retropensieri e infingimenti. Senza fare, ad esempio, ciò che invece ha fatto rovinosamente il Centro nell'ultima campagna elettorale: e cioè di dare chiaramente a intendere che, se del caso, esso non escludeva dopo le elezioni di potersi alleare con la Sinistra. Oggi come oggi, infine, una ricostruzione politica della Destra a partire dal Centro dovrebbe anche avere chiaro che per interloquire con l'elettorato che per anni si è riconosciuto nel Pdl non si devono, no, tacere le ombre pesanti che via via si sono venute addensando su Berlusconi, ma al tempo stesso si deve non solo riconoscergli la parte imprescindibile e positiva che egli ha avuto a suo tempo nella trasformazione del sistema politico italiano, ma anche fare proprie alcune battaglie (perdute) che hanno caratterizzato la sua vicenda. A cominciare da quella altamente simbolica, ma assolutamente sacrosanta, per una riforma del sistema giudiziario.

È vero che in Italia per adottare la linea che ho sommariamente indicato bisogna superare un potentissimo interdetto socio-culturale: quello costruito per anni e anni dalla Sinistra, la quale ha sempre cercato di far credere che essere di destra voglia dire essere contro la democrazia (dimenticando, tra l'altro, che su questo piano essa stessa non aveva certo tutte le carte in regola...). Ed è pure altrettanto vero che nel nostro Paese, a partire almeno dagli anni 70 del secolo scorso, la borghesia corporativa e della rendita e il capitalismo senza capitali - pieni com'erano e come sono di scheletri negli armadi, e perciò oltremodo bisognosi di un protettore politico - hanno sempre trovato comodo cercarlo a sinistra: cioè nella parte che gli appariva di volta in volta più forte, più cattiva, o più alla moda. Ma tutto questo, se non m'inganno, il vorticoso incalzare dei tempi e l'urgenza dell'agenda politica se lo stanno ormai portando via. La crisi del Paese vuol dire la fine, tra tante altre cose, pure di questi antichi riflessi condizionati. Anche a destra è venuto il momento di voltare pagina.

(dal Corriere della Sera - 11 agosto 2013)

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