logo Fucinaidee

La sfida della stabilità, la responsabilità di Berlusconi, le carte di Letta

di Stefano Folli

Alla vigilia delle ferie del Parlamento (quattro settimane e non un giorno di meno), si respira un pessimismo di maniera molto diffuso. Le larghe intese – così si ragiona – sono ormai agli sgoccioli e non potranno resistere alle micidiali tensioni provocate dalla condanna di Silvio Berlusconi. Pdl e Pd sono entrati in un vortice e presto le voci più intransigenti avranno il sopravvento sui settori più moderati della maggioranza.

È possibile che questo accada, forse è persino probabile, ma l'esito a tutt'oggi non è così scontato. I difensori della stabilità sono più numerosi di quanto si creda e hanno ancora dalla loro dei buoni argomenti. Certo, si cammina senza rete su un filo sottile. Vediamo perché.

Punto primo. Non c'è dubbio che il governo Letta è destinato alla rovina se l'unico tema sarà anche nei prossimi tempi il sì o il no al «salvacondotto» per Berlusconi. Se l'ex premier pretende davvero – e non solo per ragioni di orgoglio e di propaganda – che le istituzioni, dal Quirinale al Parlamento, trovino il modo di sterilizzare le conseguenze politiche della sua condanna, sarà difficile immaginare un esito che non sia il collasso dell'esecutivo. Anche perché su questo punto il Pd non sembra in condizione di sostenere un compromesso che suoni come una mezza vittoria del condannato. Non a caso il segretario Epifani ha detto al «Corriere della Sera», con toni certo poco concilianti, che Berlusconi deve accettare la realtà e lasciare il campo. Parole non diverse da quelle pronunciate nel pomeriggio da Renzi («le sentenze vanno rispettate»). Ora, è vero che il Pd deve convivere con complicati problemi interni e con una pressione di opinione pubblica non indifferente, ma a maggior ragione non si può pensare che compia un suicidio politico. Per cui si capisce che un po' tutti, da Epifani a Renzi, da Bersani a D'Alema, divisi sul futuro del partito e sulle famose regole congressuali, sono invece uniti nel chiudere la porta a Berlusconi.
In altre parole, se Pdl e Pd restano sullo loro attuali posizioni, il pessimismo è inevitabile. Se viceversa Berlusconi facesse un ulteriore passo avanti sulla via del realismo e riconoscesse che la sua stagione si è conclusa, le ragioni della stabilità finirebbero per prevalere. Il che aiuterebbe l'affermazione a destra di un nuovo gruppo dirigente. Del resto nel Pdl sono in molti a muoversi in tale logica, da Alfano a Quagliariello a Lupi e altri. Per il vecchio leader non sarebbe un'altra sconfitta, piuttosto un modo per evitare più gravi disastri.

Punto secondo. Enrico Letta ha la possibilità di sfruttare a suo vantaggio quel minimo di ripresa economica che qualcuno intravede, ma deve trasformare il mese di settembre in un vero trampolino per il rilancio del governo. Su questo c'è poco da discutere. Matteo Renzi è convinto che il suo amico-avversario di Palazzo Chigi non ce la farà e quindi bisogna prepararsi alle elezioni e a prendere i voti del centrodestra. Ma Letta è in grado di smentirlo, a patto che il caso Berlusconi non lo faccia inciampare. Lo si vedrà entro poche settimane. Se Berlusconi, anziché dimettersi volontariamente dal Parlamento, attenderà il voto di esplusione in aula, prepariamoci al peggio. Se invece saranno accolti i consigli del Quirinale e la coalizione troverà in sé la forza di fare le riforme, la storia potrà essere diversa.

(dal Sole 24 Ore - 8 agosto 2013)

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina