di Sergio Romano
Nel Pdl molti sembrano pensare che il nostro maggiore problema sia Berlusconi e la sua sorte. Coloro che vogliono riscattarlo dall'«infamia" di una sentenza «ingiusta" chiamano i seguaci a scendere in piazza anche in una domenica d'agosto e fronteggiano quelli che vogliono trasformare il verdetto della Corte di cassazione nella sua definitiva eliminazione dalla politica nazionale.
Le intenzioni sono opposte, ma entrambi i campi si comportano come se l'Italia non avesse altri problemi, come se questa fosse una questione di famiglia e i due fronti avessero il diritto di risolverla fra le quattro mura della loro casa comune senza preoccuparsi del giudizio di quanti ci guardano dall'esterno e attendono di sapere con chi avranno a che fare nei prossimi mesi. Accecati dallo spirito di parte, i paladini del riscatto e quelli della punizione hanno dimenticato che l'Italia è un problema europeo e che il suo futuro dipende in larga misura dal modo in cui gli altri giudicheranno la tenuta del Paese e la sua credibilità.
Questo accecamento era già percepibile negli ultimi mesi del governo Monti ed è nuovamente evidente da qualche settimana nel giudizio di una parte dell'opinione
pubblica sul governo Letta.
Le critiche sono comprensibili e spesso giustificate, ma non sembrano tenere alcun conto del modo in cui Monti e Letta sono
riusciti a correggere l'immagine dell'Italia, a renderla un interlocutore credibile e necessario. Della riforma Fornero ricordiamo soltanto il problema
degli esodati, ma un articolo di Enrico Marro sul Corriere del 28 luglio ci ha segnalato che la diminuzione dei pensionamenti è già significativa e potrebbe
risparmiare all'erario 80 miliardi nel corso di un decennio. Abbiamo parlato molto di Imu, ma abbiamo dimenticato che la diminuzione dello spread (il divario
fra i tassi d'interesse delle obbligazioni italiane e tedesche) ha sdrammatizzato il problema del rifinanziamento del debito pubblico. Abbiamo trattato
la questione dei marò in India e il caso kazako come indici della nostra irrilevanza internazionale, ma abbiamo dimenticato che Barack Obama, preoccupato
dal caos libico, ha chiesto l'aiuto dell'Italia, non quello della Francia.
Che cosa accadrebbe dello spread e dello status del Paese come interlocutore
europeo se il caso Berlusconi ci sembrasse più importante della nostra stabilità politica?
Come reagirebbero i governi e i mercati se apprendessero che
l'Italia sta tornando alle urne con una legge elettorale che non garantisce maggioranze?
Che cosa accadrebbe se impiegassimo i prossimi mesi a fare campagna
elettorale e i mesi successivi a ricucire coalizioni precarie?
Ho accennato al giudizio di chi ci guarda dal di fuori, ma esiste anche quello degli italiani. Credono davvero i partigiani del riscatto di Berlusconi
che l'Italia moderata, ragionevole e con la testa sulle spalle sia disposta a seguirli in questa nuova avventura elettorale?
Credono gli altri che il Pd
sia già pronto a un nuovo appuntamento con le urne?
Entrambi, dopo il voto, potrebbero scoprire di avere ingrossato le file degli astensionisti e di avere lavorato per il re di Prussia, vale a dire, in questo caso, per il movimento di Beppe Grillo.
(dal Corriere della Sera - 5 agosto 2013)