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Breve commento introduttivo

Certo le riflessioni di Ernesto Galli Della Loggia sviluppate nel testo di seguito riportato, non autorizzano alcun ottimismo. Riflessioni che - nel loro crudo realismo - offrono tuttavia una fotografia tanto realistica quanto spietata della situazione politica italiana.
Una condizione dalla quale dovremo comunque trovare la forza e la capacita' di uscire, se vogliamo dare un futuro ai nostri figli.
Uno sforzo collettivo che interpella tutte le forze vive della societa' poiche', come emerge anche nel testo proposto, tutti siamo chiamati a rivedere posizioni e/o privilegi in favore di una ricomposizione su basi nuove del nostro tessuto nazionale.
Uno sforzo che deve partire dalla capacita' di metterci in discussione, superando quella diffusa ipocrisia secondo cui le riforme sono si' necessarie, ma debbono sempre riguardare gli altri.
Come ho avuto modo di dire in varie circostanze, occorre recuperare una autentica cultura della responsabilita', tanto nella dimensione individuale quanto in quella collettiva
Una cultura della responsabilita' per cui ciascuno deve sentirsi parte attiva nel comune sforzo di ricostruzione delle condizioni necessarie per la ripresa del Paese.
Certo c'e' la crisi economica che morde, che mette in ginocchio tante famiglie, dalla quale si dovra' trovare il modo di uscire. Ma nel nostro Paese occorre riuscire a superare una crisi forse ancor piu' profonda: quella della politica.
Si' perche' al di la' dei banali luoghi comuni, solo una forte ripresa della capacita' di guida politica potra' trascinarci fuori dalle secche in cui ci siamo arenati.
Gli ultimi venti anni sono stati persi; non credo che potremo permetterci il lusso di perderne altrettanti.

Paolo Razzuoli

Venti anni di dissipazione - la scena che non riesce a cambiare

di Ernesto Galli della Loggia

Già a distanza di tre giorni è chiaro che porre termine all'era Berlusconi non è per nulla facile, a dispetto di chi ci aveva assicurato del contrario appena conosciuta la decisione della Cassazione che ha condannato in via definiva il Cavaliere. Non è facile, non solo perché il diretto interessato non sembra troppo disposto a farsi da parte; non solo perché né il Pd né il Pdl sembrano effettivamente intenzionati a muovere il primo passo verso la caduta del governo Letta e lo scioglimento delle Camere (così sfidando, tra l'altro, l'orientamento del presidente della Repubblica, presumibilmente per nulla entusiasta di una simile prospettiva), ma non è facile per un'altra e forse più sostanziale ragione. E cioè che politicamente dopo la fine dell'era Berlusconi non è dato vedere ancora nulla. Politicamente c'è il vuoto. Sono anni, ormai, che il Paese aspetta un nuovo che non c'è. Da anni siamo un Paese che nell'ambito delle idee sulla società e sull'economia, così come sul piano delle proposte politiche e delle relative leadership, nella lotta contro i suoi mali storici, non riesce più a pensare e a produrre nulla di nuovo. Scelta civica e il Movimento 5 Stelle sono stati gli ultimi tentativi abortiti di una ormai lunga serie: così Monti ha cessato da tempo di essere una riserva della Repubblica, Beppe Grillo è rimasto un attempato comico televisivo, mentre Matteo Renzi, dal canto suo, è già sul punto di apparire l'uomo di una stagione ormai trascorsa.

Ci mancano energie, idee, donne e uomini nuovi. Non per nulla, nell'assenza di qualunque soluzione audacemente imprevedibile, di una qualsivoglia inedita, valida, vocazione collettiva e personale, e stante l'incapacità sempre più clamorosa dei partiti di essere qualcosa di diverso dal passato, non ci è restato altro, per far comunque qualcosa di fronte all'emergenza, che ricorrere all' union sacrée di tutto il vecchio. A una versione aggiornata delle «convergenze parallele».

La verità è che siamo un Paese politicamente stanco, sfibrato, il quale troppo a lungo invece di guardare avanti si è perso nei reciproci risentimenti e nella recriminazione universale. I venti anni alle nostre spalle - i venti anni dell'era dominata sì da Berlusconi, ma in cui sulla scena c'erano pure tutti gli altri, pure tutti i suoi avversari - sono stati gli anni perduti della nostra storia repubblicana, i più inconcludenti e i più grigi. Gli anni della nostra dissipazione. Più che quelli dell'era Berlusconi essi, a considerarli retrospettivamente oggi, appaiono soprattutto come l'ultimo ventennio del Dopoguerra italiano. Quello in cui abbiamo creduto che fosse ancora possibile continuare a mantenere in vita il vecchio modello precedente, al massimo con qualche aggiustamento ma conservando la sostanza di molte, di troppe cose.

Quello in cui abbiamo creduto che anche nel sistema politico bastasse rimaneggiare le identità dei partiti, cambiare qualche persona, una regola elettorale; che bastasse ciò e non già che, invece, fosse necessario ben altro: ad esempio prendere di petto il potere delle corporazioni, tagliare le unghie all'alta burocrazia, disboscare selvaggiamente i codici, riportare la scuola a una regola antica di severità e di merito personale, impedire la finanza allegra di mille enti vampiri del denaro pubblico. Soprattutto esercitarci tutti in una spietata autocritica dei nostri peccati, delle azioni e delle omissioni di cui eravamo stati responsabili. Questo e molto altro sarebbe stato necessario: e ancora lo è. Urgentemente, drammaticamente.

Ma invece della verità, la politica sembra apprestarsi oggi a dare all'Italia al massimo le elezioni. Siamo davvero ansiosi di sapere che cosa mai ci prometteranno nell'occasione i duellanti di sempre. Sì, vogliamo proprio sentirlo il Pdl promettere per la decima volta la riforma di questo e di quello, dopo che non è stato capace per anni di farne nessuna. Sì, siamo davvero ansiosi di ascoltare finalmente dal Pd - visto che a smacchiare il giaguaro ci ha pensato qualcun altro - quali mirabolanti progetti ha per il Paese, soprattutto dove troverà i soldi per finanziarli e magari anche se intende chiamare a parteciparvi, chessò, il senatore Crimi (M5S) o l'onorevole Migliore (Sel). Ascolteremo, dunque. Comunque parteciperemo. Ancora una volta voteremo. Ma possiamo dirlo? Di questo vuoto, di questo nulla riempito solo di parole, non ne possiamo davvero più.

(dal Corriere della Sera - 4 agosto 2013)

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