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L'immagine nazionale - La nostra vocazione a finire nei pasticci

di Sergio Romano

Cerchiamo di tralasciare, almeno per il momento, tutti i risvolti del pasticcio kazako su cui abbiamo notizie incomplete e approssimative.
Conosciamo male la vita, gli affari e le opinioni politiche di Mukhtar Ablyazov, ricercato dal governo del Kazakistan per reati di cui non ci è stata data notizia. Non sappiamo se il suo caso assomigli a quello di Mikhail Khodorkovskij e Boris Berezhovskij, nemici di Vladimir Putin, o a quello di Yulija Timoshenko, nemica del presidente ucraino Viktor Janukovic.

Non ci è stato detto ufficialmente se e da chi siano state fatte pressioni sulle autorità italiane per ottenere l'arresto e la fulminea estradizione di sua moglie e sua figlia. E neppure fino a che punto sia salita, lungo la scala gerarchica, la notizia che la polizia si preparava a espugnare con cinquanta uomini, nel cuore della notte, un villino di Casal Palocco nei pressi di Roma. Abbiamo il diritto di avere risposte chiare e speriamo che il governo non si limiti a dirci, come nelle scorse ore, che non era informato e che l'operazione «presenta elementi e caratteri non ordinari».

A noi sembra che una definizione più adeguata dell'intera vicenda, in questo contesto, sia «non professionale». La semplice elencazione degli interrogativi evocati dal caso (per non parlare del frettoloso noleggio di un aereo speciale a nome del governo kazako per l'estradizione di Alma Shalabayeva e della figlia Alua) avrebbe dovuto suggerire una maggiore circospezione e il coinvolgimento di autorità politicamente responsabili. Era davvero impossibile avere qualche dubbio e sospettare che la polizia italiana corresse il rischio di lasciarsi invischiare in una oscura vicenda straniera?

Mi piacerebbe credere che quello di Casal Palocco sia un episodio isolato, l'occasionale «errore umano» che capita prima o dopo in tutte le forze di sicurezza e in tutti i servizi d'intelligence. Ma la stessa mancanza di professionalità è evidente in altri casi, solo apparentemente diversi. Penso al naufragio della Costa Concordia e alla fuga del suo capitano dalla nave in pericolo. Penso alla vicenda dei marò arrestati in India per l'uccisione di due pescatori indiani nell'ambito di una operazione contro la pirateria nel mare Arabico: un caso ancora non sufficientemente chiarito che è stato ulteriormente complicato da una politica ondeggiante, promesse non mantenute e un bisticcio tra due ministri recitato di fronte al Parlamento e alle telecamere di tutto il mondo.

Il filo che lega questi diversi casi è l'indifferenza dei loro protagonisti per il modo in cui saranno giudicati e interpretati da tutti coloro che assisteranno allo spettacolo sugli schermi della televisione globale.
Un capitano lascia la sua nave senza chiedersi che cosa penserà il popolo del turismo mondiale.
Un ministro degli Esteri si dimette senza chiedersi quale effetto avrà il suo gesto sulla sorte di un governo che è stato costituito per recuperare il credito perduto dal Paese sui mercati internazionali.
La polizia conquista Casal Palocco con l'animo di chi sembra ignorare quanto siano imbrogliate le vicende degli oligarchi e dei dissidenti nei Paesi post-sovietici.
E un manipolo di deputati si spoglia di fronte alle telecamere, come è accaduto negli scorsi giorni, per convincere il mondo che l'Italia è sempre e soprattutto «commedia dell'arte».

Usciremo dalla crisi, prima o dopo. Ma vincere contro questi connazionali è una fatica di Sisifo.

(dal Corriere della Sera - 14 luglio 2013)

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