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L'Europa e i conflitti nel mondo Islamico - Il Mediterraneo dimenticato

di Sergio Romano

I «bollettini di guerra» che occupano gran parte della nostra attenzione sono quelli che provengono dal fronte elettorale di Berlino, dal tribunale costituzionale di Karlsruhe, dal numero 10 di Downing Street, dall'ultima conferenza stampa di Mario Draghi, dal palazzo dell'Eliseo, dai mercati finanziari. È normale. Il nostro futuro dipende dalle sorti dell'euro, dall'accordo sull'Unione bancaria, dalla ricerca di un punto di equilibrio fra il rigore e la crescita e, in ultima analisi, dalle elezioni tedesche. Ma non possiamo ignorare il Mediterraneo o trattare le sue vicende come questioni esotiche a cui dedicare un'attenzione saltuaria e qualche velleitaria iniziativa di pace.

Per una serie di circostanze, che lascio volentieri agli storici e ai sociologi, quello a cui stiamo assistendo, dopo la rivolta tunisina del dicembre 2010, è il fallimento dello Stato arabo-musulmano. È fallito lo Stato dei nuovi sultani: l'Egitto di Hosni Mubarak, la Tunisia di Zine El Abidine Ben Ali, la Libia del colonnello Gheddafi. È fallito il nazionalsocialismo iracheno di Saddam Hussein e quello siriano della famiglia Assad. È fallita la democrazia multireligiosa e multiculturale del Libano. È fallita la Lega Araba. E potrebbero fallire, prima o dopo, gli Stati patrimoniali del Golfo. Sopravvivono paradossalmente le monarchie, da quella di Mohammed VI in Marocco a quella di Abdullah II in Giordania, ma il rischio del contagio, soprattutto nella seconda, è altissimo.
In alcuni casi, Siria e Libia, la crisi è diventata rapidamente guerra civile. In altri casi, Egitto e Libano, la guerra civile potrebbe scoppiare da un momento all'altro.

Se l'Europa crede che lo scontro sarà fra il partito dei tiranni e quello dei democratici, s'inganna. In molti Paesi vi saranno almeno tre conflitti: fra laici e islamisti, fra musulmani moderati e musulmani fanatici, fra sunniti e sciiti. E vi sarà spesso, pronta a rimestare nel torbido, la mano lunga della Russia, dell'Iran e della Cina. Non è tutto. Che cosa accadrebbe se Israele, preoccupato dall'instabilità della regione, credesse di potere meglio garantire la propria sicurezza con una prova di forza?

Non è facile suggerire all'Europa ciò che potrebbe fare di fronte a fenomeni che si concluderanno sperabilmente (ma dopo una lunga gestazione) con la nascita di nuovi Stati. Dovrebbe almeno astenersi, tuttavia, dal trattare le crisi dei suoi dirimpettai come un semplice problema di democrazia e soprattutto evitare i tic nazionalistici e post coloniali di quelle potenze che hanno già preso iniziative avventate e velleitarie. Non possiamo risolvere i problemi degli Stati arabi, ma possiamo almeno cercare di non aggravarli giocando inutili partite individuali. Se Lady Ashton è davvero l'Alto rappresentante dell'Unione Europea per la politica estera, batta un colpo e richiami i suoi colleghi alla necessità di una politica concordata. Non cureremo tutti i mali della regione ma saremo più rispettati e più efficaci del coro di voci stonate che abbiamo ascoltato negli scorsi mesi.

L'Italia nonostante i suoi guai ha ancora un capitale mediorientale che può essere utilmente impiegato e ha anche, per di più, un ministro degli Esteri che conosce bene la regione per lunga esperienza personale. Anche l'Italia, se c'è, batta un colpo.

(dal Corriere della Sera - 30 giugno 2013)

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