di Stefano Folli
Meglio sfuggire alla tentazione di sopravvalutare il risultato di queste amministrative. Il "trionfo" del Partito Democratico è tale solo se si ammette
che l'ondata dell'astensionismo ha travolto soprattutto gli altri, il Pdl e la Lega.
Il centrosinistra è riuscito a difendersi meglio dalle urne vuote, grazie alla sua buona rete organizzativa e alla capacità di scegliere candidati non
entusiasmanti, ma comunque migliori dei competitori.
Detto questo, ci vorranno ben altre prove prima di stabilire se il Pd è sulla via della ripresa. I sondaggi sono lì a ricordarci che per ora, in caso di
voto politico, è sempre l'eterno Berlusconi a guidare la danza. Il centrosinistra è indietro e cerca la rimonta.
Ne deriva che il risultato di ieri sera rappresenta un mezzo ricostituente per il Pd in cerca di nuove identità. Ma niente di più. Semmai è la conferma,
dopo il 25 febbraio, che gli italiani sono sempre più diffidenti verso i politici. Tant'è che i partiti hanno dovuto nascondersi o mimetizzarsi attraverso
un profluvio di liste più o meno "civiche", utili per far dimenticare le vecchie nomenklature.
Vero è che Berlusconi aveva intuito lo sfacelo e si era limitato a fare il minimo indispensabile, ma proprio il minimo, in favore dei suoi candidati. A
cominciare dal povero Alemanno. Il quale è andato incontro a una sconfitta politica e anche personale che la dice lunga su come è stata amministrata Roma
in questi anni. Si considerino i dati romani: astensionismo alle stelle, ben oltre il 50 per cento, nessun ruolo conquistato dai "grillini", una tradizione
locale che ha sempre visto la destra in ruoli incisivi. Niente di tutto questo è servito ad Alemanno. E l'astensione a Roma, ma non solo a Roma, ha punito
soprattutto le liste del centrodestra.
Per cui possiamo riassumere così. Il Pd esce bene dalle urne, ma è lungi dal rappresentare oggi una proposta politica conclusiva e seducente per la grande
massa degli elettori. In compenso il centrodestra sarà pure in testa nei sondaggi nazionali, ma il colpo assorbito ieri sera dovrà suggerire profonde riflessioni
ai gruppi dirigenti. Non si potrà andare avanti ancora a lungo fidando solo nei giochi di prestigio di Berlusconi e nella sua voglia di competere alle
elezioni politiche (di solito con successo, come è noto). In ogni caso vale la pena sottolineare che, quando pure Grillo non è in campo, i voti non
tornano più di tanto alle vecchie formazioni. Le persone guardano con sconcerto e delusione alle risse fra i Cinque Stelle, ma si guardano bene dal rientrare
nei ranghi.
Sarà interessante poi capire se la Lega intende cambiare strada oppure no. Lo sforzo per portare Maroni alla presidenza della Lombardia, sembra aver lasciato il vecchio partito barricadero svuotato e senza idee. Ma la verità è che una fase storica si è chiusa. Adesso o la Lega dimostra di sapersi radicare di nuovo nel cosiddetto territorio (come Tosi a Verona, ad esempio), oppure il destino sarà molto amaro per gli uccisori del padre, cioè di Bossi.
Detto questo, c'è anche chi ha motivo di rallegrarsi davvero: si chiama Enrico Letta. Il risultato taglia le unghie agli iper-critici del governo e rassicura
tutto il fronte del centrosinistra. Governare non sempre è penalizzante, sembrano dire i sostenitori del Pd.
Sono segnali, naturalmente, e valgono quello
che valgono. Ma un passo dopo l'altro l'esecutivo delle larghe intese si consolida. Se il quadro generale non subirà strappi troppo vistosi, il governo
potrebbe durare persino più del previsto. E comunque non saranno queste amministrative a determinare esiti imprevedibili.
(dal Sole 24 Ore - 11 giugno 2013)