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Il grande sogno del leader ideale

di Gian Enrico Rusconi

Le folle vanno a salutare don Gallo e padre Puglisi, mentre i comizi elettorali trovano le piazze semivuote.

 

È sin troppo facile parlare di ennesima dimostrazione della disaffezione, della delusione verso la politica. E constatare dall’altro lato la grande voglia di continuare a sperare, a credere nelle personalità «diverse» sentite come autentiche, come vicine alla vita quotidiana, alla realtà di tutti i giorni.

  

Ma le persone che hanno amato don Gallo «prete di strada» e quelle che hanno ammirato padre Puglisi «prete della gente» contro la mafia sono le stesse? O appartengono a due mondi diversi ? A Palermo si è celebrata una beatificazione di carattere spiccatamente religioso, con il tripudio dei fedeli, con la presenza di un’imponente rappresentanza della Chiesa ufficiale e della classe politica. Si sono sentiti discorsi edificanti sulla bocca di politici di lungo corso, ben radicati nel sistema partitico.

  

A Genova invece il clima è stato diverso. Tra il trasgressivo e il provocatorio. Pochi politici, e di opposizione al governo. C’era l’ebreo e agnostico Moni Ovadia che si dice sicuro che «don Gallo risorgerà», c’erano i NoTav e si è cantato polemicamente «Bella ciao». L’arcivescovo Angelo Bagnasco ha celebrato il rito funebre, scontando interruzioni e qualche fischio. Applausi invece per Valdimir Luxuria che ha parlato di una Chiesa che non caccia via nessuno. «Grazie don Gallo di averci fatto sentire, noi transgender, creature figlie di Dio e volute da Dio».

  

A questo punto, ciò che unisce Palermo e Genova è soltanto la presenza di un potenziale sociale e umano straordinario ed effervescente – nelle sue differenze - che la politica non sa più né riconoscere né gestire.

 

Lo sa fare la Chiesa? Non è facile rispondere. Certamente riesce a offrire uno spazio pubblico che mantiene l’ultimo vestigio di sacralità. Il rapporto con la morte e quindi il rito del funerale sta diventando uno dei luoghi privilegiati dell’ espressione pubblico-mediatica della Chiesa. Lo è quando si tratta di eventi luttuosi, di disgrazie pubbliche, di gesti di violenza privata particolarmente efferata. Sono tutti eventi che toccano da vicino la fragilità della condizione umana. Qui la religione mantiene e riguadagna il suo ruolo pubblico quando riesce ancora a dire parole che sono percepite come motivo di speranza. A prescidere dal loro contenuto e consistenza dottrinale: spesso infatti sono parole generiche e scontate, ma sentite come autentiche.

 

Ma che cosa può fare la Chiesa quando – come adesso - è la situazione generale ad essere percepita molto grave? O quando il circuito mediatico, sempre più maldestro nel mescolare allarmismi e promesse ministeriali, diffonde un senso di sconcerto e di impotenza della politica? Può la semplice presenza istituzionale della Chiesa, la sua scelta di non schierarsi tra le parti ma di insistere sui valori del bene comune avere un effetto compensativo?

  

Non so fino a quando questo meccanismo può funzionare. A Genova ha toccato il suo limite. La Chiesa ufficiale infatti non può accogliere indiscriminatamente (come i don Gallo individualmente) tutte le voci di disagio della società e dar loro risonanza. Le seleziona e soprattutto non può prendere il posto della politica.

 

Siamo così tornati alla politica che trova le piazze semivuote, mentre è sempre difficile valutare il peso delle piazze mediatiche. Un indicatore importante sarà il tasso di astensione dalle urne nelle elezioni amministrative di oggi. Se sarà come l’ultimo o addirittura più pesante, vuol dire che i cenni di rinnovamento da parte dei politici in queste settimane e le loro promesse non convincono. Vedremo se sarà il Movimento 5 Stelle a trarre beneficio dalla sua strategia sostanzialmente ostruzionista o se viceversa incomincia a pagarne lo scotto. Fra qualche giorno avremo elementi per rispondere e giudicare.

  

Per ora la sfiducia generalizzata verso la politica ha come effetto una crescente insofferenza verso i singoli politici cui spesso non vengono risparmiate gratuite e ingiuste denigrazioni. Ma c’è anche l’altra faccia positiva: la forte aspettativa per le doti personali di chi si mette ora in politica o intende assumersi maggiori responsabilità. E’ un effetto tipico dei momenti di crisi. Più i meccanismi istituzionali sembrano incepparsi o frenare, più si fa affidamento sulle qualità personali. Queste sono facilmente individuate nella efficacia comunicatica, nella simpatia mediatica, nello stile espressivo possibilmente ricco di battute caustiche contro l’avversario. In fondo è questo è il leader ideale che si sogna.

  

Per la verità si tratta di qualità ben note e presenti - molto prima della nostra età mediatica – sinteticamente nei concetti classici di «carisma» e «demagogia» (termine quest’ultimo nel frattempo diventato negativo) . Va da sé che nella dottrina classica della leadership democratica le qualità soggettive, ora elencate, dovessero coesistere con una solida competenza non dilettantesca sul da farsi. Si chiamava competenza politica professionale. Ho l’impressione che dobbiamo cominciare da capo, da qui.

(da La Stampa - 26 maggio 2013)

 

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