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Insulti e polemiche dopo il caso Mentana - Se Twitter diventa la piazza dell'oltraggio

di Pierluigi Battista

Parole pesanti e sessismo contro i big: è caccia all'Isola dei famosi

Spesso coperto dall'anonimato, la sigla che richiama qualcosa di battagliero o qualcosa di grevemente scurrile, l'insultatore professionale, il violento seriale che certo non sa che farsene delle generose esortazioni del presidente Napolitano a moderare le parole per non infiammare una platea vulnerabile ai richiami della guerra civile, ha trovato in Twitter il suo paradiso dell'oltraggio purificatore.

Prendi uno «famoso», fallo a fette, irrompi nella sua vita, offendi quanto ha di più caro, demoliscine l'immagine, deridi il suo aspetto, picchia duro nelle sue debolezze, offendilo a morte. E sarai un campione della vendetta via Web. Si può fare, si può fare tutto, nei social network, e su Twitter in particolare. Si possono fare molte cose belle. Tipo: scambiarsi battute amichevoli, informare, scherzare, suggerire letture, film, canzoni, musiche, commentare insieme eventi sportivi, di intrattenimento, di approfondimento, cimentarsi nei calembour, rimorchiare, sentirsi meno soli, entrare in contatto con mondi sconosciuti, levarsi dalla testa la provincia e l'asfissia del piccolo gruppo, promuovere se stessi, pubblicizzare cose che vale la pena far conoscere, esibirsi, stupire, giocare, litigare. Se però il tuo volto è apparso qualche volta in tv, se il tuo profilo è seguito, se c'è curiosità attorno a quello che dici e sintetizzi nella densa concisione dei 140 caratteri, allora devi essere psicologicamente pronto alla deriva del linciaggio verbale, della violenza allo stato puro, anche se il sangue (per fortuna, eh) scorre solo verbalmente. Devi sapere che nulla ti verrà risparmiato.

La presidente Laura Boldrini ha denunciato l'atmosfera intossicata, violenta, turpemente sessista che l'ha colpita nel sottosuolo mefitico di Twitter. L'orrore del disprezzo violento per le donne, possibilmente di fede politica opposta a chi insulta selvaggiamente, non è una novità. La quantità di offese vomitevoli a politiche come Mara Carfagna non è storia di oggi. L'odiatore delle donne blatera, fantastica le sevizie più turpi, stupra con il linguaggio il bersaglio del suo berciare: anche questo è l'incantato mondo del social network. Enrico Mentana ha raggiunto il livello di insopportazione e ha deciso di farla finita con i «ceffi» che hanno invaso quel grande «bar» che è Twitter . Ma forse quel bar è da sempre il ricettacolo di sentimenti non proprio limpidi. Si può disertare o abbandonare. Ma se la decisione è di restarci, allora bisognerà accettare una dose di odio che nemmeno si credeva fosse tanto ribollente. Se ci si chiama Giuliano Ferrara, ogni abominio sulla grassezza non verrà risparmiato e tutte le espressioni che possano rendere più odioso, duro, mascalzonesco l'uso del termine base «ciccione» saranno sventagliate come una scarica simbolica di mitra per fustigare e umiliare la mole del Nemico: altro che la moderazione saggiamente raccomandata dal capo dello Stato. Se ci si chiama Anna Paola Concia e si mette sul profilo la foto scattata insieme alla moglie tedesca, la criminologa Ricarda, la raffica di insulti associati al termine «lesbica» appesantito di tutti i cattivi umori della paranoia omofobica striderà pesantemente nel dorato mondo del social network. Poi arriva lo staff di Renato Brunetta a mimare le movenze della persona decisa a far rispettare la propria autorità: «si comunica che qualsiasi commento ingiurioso, minaccioso o atto a istigare la violenza verrà segnalato alle autorità giudiziarie competenti». Anzi, «qualsiasi» è scritto «qls», altrimenti l'editto non rientrava nei 140 caratteri. Ma tutti sanno che le autorità giudiziarie competenti non potranno fare nulla di nulla per arginare gli agguati del fetentissimo sottomondo dei trolls e che il profilo di Brunetta verrà sommerso di commenti ingiuriosi e minacciosi e anche, si accettano scommesse, con maleodoranti volgarità sulla statura del suo titolare (come fanno i satiri «canonizzati», del resto).

E insomma, se si decide di entrare in quel bar, bisognerà anche saper convivere con la folla di «ceffi» che hanno molestato Mentana e che sembrano molestatori professionali. Il terrorismo, la violenza politica, c'entrano poco, o quasi per niente. C'entra che con Twitter quel mondo rinchiuso nell'impotenza periferica e vaniloquente dei bar reali può finalmente realizzare il sogno frustrato da una vita: entrare in contatto, sia pur immateriale, con il personaggio da massacrare, offendere, annichilire, oltraggiare. Il classico bullo da bar che grida agli avventori: «Io quelli li farei fuori uno per uno», ora può, con le parole, con la violenza verbale, in 140 caratteri, realizzare quella losca fantasia. I «ceffi» possono finalmente cantargliela a quelli della «casta», ai politici ladri, ai giornalisti invariabilmente bollati come «venduti», «lecchini», «servi del potere», «pennivendoli», «mercenari», ricalcando alla lettera gli epiteti che risuonano nei blog grillini.

Non è che prima non ci fossero: ma erano invisibili, ora sono visibilissimi, anche se molti nascosti nell'anonimato, perché la vigliaccheria è uno stato d'animo che prescinde dal mezzo in cui ci si esprime. Come negli anni Ottanta, quando la diretta senza filtri di Radio Radicale si trasformò in «radio parolaccia», un esplodere di odi immondi, di razzismo, di intolleranza, di violenza che si ritroverà un po' di lustri più tardi nell'antro di Twitter, il luogo della massima trasparenza e della massima tossicità. Grande platea di incontri e di scambi e anche arena di rancori inestinguibili, un ring dove le regole non valgono più e la violenza tracima senza ritegno. Il bello e il brutto, inestricabilmente mescolati. Non è obbligatorio starci, ma se sì, è il social network, bellezza.

(dal Corriere della Sera - 10 maggio 2013)

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